di Matelda Giachi ![]() Paese: Stati Uniti Anno: 2018 Formato: Miniserie Tv Genere: Commedia, drammatico, fantascienza Puntate: 10 Regia: Cory Fukunaga Sceneggiatura: Patrick Sommerville Produzione: Anonymous Content, Paramount Television Cast: Emma Stone, Jonah Hill, Justin Theroux, Sonoya Mizuno; Gabriel Byrne, Sally Fields Torna la stagione delle serie tv e Maniac è la mini serie con cui Netflix apre i giochi. Diretta da Cory Fukunaga (il primo True Detective) e sceneggiata da Patrick Sommerville (The Leftovers), Maniac è basata su di un omonimo format norvegese del 2014 e conta dieci puntate di durata variabile tra i 25 e i 50 minuti. In un futuro un po’ involuto e dal gusto vintage, tappezzato da grossi e luminosi neon che ricordano “Blade Runner” e dove i computer tornano a essere grosse scatole e a occupare intere pareti, vivono Annie (Emma Stone) e Owen (Jonah Hill). Lei è fortemente depressa, lui schizofrenico; presentati in poche brevi inquadrature, in un primo momento non sappiamo nulla di loro. Solo due cose appaiono subito evidenti: una enorme sofferenza e un baratro di solitudine. I due, ormai passivi nei confronti dell’esistenza, decidono di prendere parte a una sperimentazione clinica su base volontaria che, se avrà successo, promette di curare, con tre pasticche, tutti i loro disturbi. Ideatore di questo rivoluzionario trattamento, l’eccentrico Dott. James Mantleroy (Justin Theroux), esso stesso oppresso da ingenti problemi irrisolti legati alla presenza ingombrante della celebre madre psichiatra, interpretata da un’eccezionale Sally Fields. Comincia la sperimentazione e quindi un viaggio nei meandri della mente umana e che, a causa di un’anomalia del sistema, diventa un susseguirsi di fantasie bizzarre attraverso le quali i due protagonisti devono affrontare i propri demoni interiori e che, cinematograficamente, si traduce nell’esplorazione di diversi generi, dal fantasy fino al noir. Due interpretazioni opposte ma complementari e grandiose. Emma Stone è istrionica: a ogni svolta narrativa la si vede cambiare sfumatura emotiva, passando dalla rabbia alla rassegnazione, fino quasi al cartoon. Più interiorizzata e introversa la performance di Jonah Hill, voluto come coprotagonista dalla stessa Stone, con la quale ha stretto una grande amicizia dai tempi di Superbad (2007) e che si è cimentato in uno studio drammatico di enorme spessore. La serie si pone il grande interrogativo dei nostri giorni, in cui, tra videogiochi e social network, è sempre più forte il mondo virtuale. Cosa è reale? Cosa conta davvero? Se ha un difetto, è quello di non dare una risposta, perdendosi nei risvolti spesso bizzarri della sua stessa narrazione. Eppure è una mancanza che non pesa sulla riuscita finale di un prodotto assurdamente divertente che ti invoglia a procedere da un episodio al successivo, spinto da una curiosità irrazionale, che non sa cosa aspettarsi, cosa esattamente voglia scoprire. I mondi interiori di Annie e Owen si sovrappongono e tra i due si sviluppa un legame, un’empatia, una complicità sconosciuta che all’inizio li spaventa e viene osteggiata ma che, alla fine dell’esperienza a cui si sono sottoposti, li lascerà, se non guariti, di certo non più soli. La serie, quindi, narra anche la storia di un sentimento che nasce dove tutto allontana, sviluppata con equilibrio e dolcezza. Maniac è una serie audace, innovativa, assolutamente e totalmente strana. Facendone la sua serie di punta per questo autunno, Netflix osa, come solo una potenza quale il sito di streaming è ormai diventato, può e deve fare. Osa ma avvalendosi di professionisti eccezionali, compresi i doppiatori italiani (Domitilla D’Amico, Simone Crisari, Chiara Salerno, Massimo Lodolo, Christian Iansante), il cui lavoro è stato ineccepibile. E il risultato vale l’investimento. Consigliato a chi ha una grande apertura mentale, a chi cerca qualcosa di diverso, a chi ama il cinema e la sua capacità esplorativa e intrattenitrice. Voto: 8,5/10 Immagini tratte da: www.cartoonmag.it www.avclub.it www.avclub.it www.mashable.com www.gingergeneration.it
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di Salvatore Amoroso
BlacKkKlansman: la recensione del film di Spike Lee vincitore del Grand Prix al Festival di Cannes 2018. ![]()
Titolo: BlacKkKlansman
Paese di produzione: USA Anno: 2018 Durata: 135’ Genere: commedia, poliziesco Regia: Spike Lee Sceneggiatura: Spike Lee, David Rabinowitz, Charlie Wachtel, Kevin Willmott Produttore: Jason Blum, Spike Lee, Jordan Peele Distribuzione: Universal Pictures Fotografia: Chayse Irvin Montaggio: Barry Alexander Brown Colonna sonora: Terence Blanchard Costumi: Marci Rodgers Cast: John David Washington (detective Ron Stallworth), Adam Driver (detective Flip Zimmerman), Laura Harrier (Patrice Dumas), Topher Grace (David Duke), Jasper Pääkkönen (Felix Kendrickson), Ryan Eggold (Walter Breachway), Robert John Burke (Bridges), Corey Hawkins (Stokely Carmichael), Harry Belafonte (Jerome Turner).
Non ci avrebbe più scommesso nessuno ma a sessantuno anni suonati il ribelle Spike Lee è tornato e lo fa in grande stile. Con il suo BlacKkKlansman è riuscito a vincere il Grand Prix al Festival di Cannes 2018 combinando la levigatezza stilistica della 25a ora con il controverso potenziale di Bamboozled. Spike mette le cose in chiaro fin dall’inizio: “DIS JOINT IS BASED UPON SOME FO’ REAL, FO’ REAL S”, si tratta appunto di un romanzo sconosciuto di un poliziotto afroamericano Ron Stallworth che nel 1972 si infiltra nel Ku Klux Klan di Colorado Springs. Prodotto dal team di Get Out, capitanato dal rampante Jordan Peele, che ha portato la storia a Lee, BlacKkKlansman scivola senza soluzione di continuità dall'umorismo assurdo all'orrore fin troppo realistico, evocando un'urgente miscela di satira d'epoca sociopolitica e sveglia moderna.
John David Washington offre una performance meravigliosamente ironica ed eroica come Ron Stallworth, un idealista afro che diventa "la Jackie Robinson" della ex-polizia bianca di Colorado Springs. Dopo aver ingoiato diversi “rospi” nell’archivio del dipartimento, Stallworth viene subito promosso nella sezione intelligence e risponde a un annuncio di giornale per il KKK, spacciandosi al telefono per un bianco suprematista in erba. Qui subentra la parte comica del film, perchè Ron commette un errore da principainte e quando sono richiesti incontri faccia a faccia, il suo collega ebreo, Flip Zimmerman, interpretato da un timido Adam Driver, viene arruolato per vestire i suoi panni e partecipare alle riunioni del KKK, in cui il terrorismo fatto in casa viene servito con “formaggio e cracker”. Presto nascerà un forte legame con il grande maestro David Duke (Topher Grace), il “futuro sorridente” dell’organizzazione.
Con le sue lunghissime inquadrature, riprese in 35mm dal direttore della fotografia Chayse Irvin e un ottimo lavoro dei costumi, BlacKkKlansman evoca elegantemente il cinema del suo ambiente, le citazioni a The French Connection, Serpico e Dog Day Afternoon vengono riproposte di continuo. Ci sono conversazioni giocose su Shaft vs Super Fly e sui relativi meriti di Richard Roundtree e Ron O'Neal, mentre la splendida colonna sonora di Terence Blanchard fonde il funk della chitarra e della batteria con le corde del thriller classico. Eppure non c'è nulla di nostalgico in quest’evocazione di un'epoca passata: Lee infatti ci ricorda che lo storico odio razziale non è affatto cambiato, mostrandoci le terribili immagini di Charlottesville nel 2017 e la stupefacente “colpa da entrambe le parti” del presidente Trump agli attacchi neonazisti. Come in Malcolm X, utilizzando il filmato di Rodney King, Lee combina efficacemente le lotte del passato e del presente in un potente continuum cinematografico di grande impatto emotivo.
La cosa più notevole è quanto Lee sia in grado di bilanciare i cambiamenti di tono del film, provocando sia risate che sussulti con un soggetto basato sul dualismo: realtà e finzione, passato e presente, dentro e fuori e persino le grida arrabbiate di “potere bianco” e “potere nero”. É arrabbiato Spike Lee, e giustamente. Ma la sua rabbia non lo acceca. Il newyorchese è anzi lucidissimo nelle sue intenzioni e nel modo di declinarle, usando il cinema per demolire, stigmatizzare e demonizzare il suprematismo bianco, così come il cinema e Nascita di una nazione gli diedero nuova vita. Sa bene che oggi c'è bisogno di un nuovo radicalismo che non sia limitato alla sola comunità nera, ma che coinvolga tutti, anche i bianchi, e tutte le altre etnie e razze del pianeta, che porti avanti la sua protesta nel nome di quello che è giusto e umano. Crede fermamente anche nel potere del cinema di cambiare le persone per sempre e lo dice chiaramente: non solo “power to the people”, ma “all the power to all the people”.
Da un'apparizione di apertura brillante di Trump-flagello Alec Baldwin al duro e pesantissimo racconto di Harry Belafonte, l’intero cast è un pugno poderoso, aiutato da ottime spalle come la perfida Ashlie Atkinson alias la perfida e insopportabile Connie, Corey Hawkins aka il leader ex pantere nere Kwame Ture o Paul Hauser che interpreta l’imbranato Ivanhoe. Eppure la vera star qui è Lee. Dopo le incertezze di Oldboy e Chi-Raq, è bello vedere questo cineasta ribelle all'apice dei suoi poteri provocatori. Bentornato fratello Spike.
Immagini tratte da: iVID Coming Soon Youtube LongRoom.com elmundo.es 29/9/2018 Il Termopolio e Venezia75: Speciale Mostra internazionale d’arte cinematografica #4Read Now
Quarto appuntamento con il nostro recap del primo anno al Lido. Emozioni e tanti buoni film da condividere con voi lettori. Oggi vi racconteremo tre film imperdibili: Suspiria di Luca Guadagnino, La Noche de 12 años di Alvaro Brechner e il thriller mozzafiato Frères ennemis di David Oelhoffen.
di Salvatore Amoroso
Il resoconto della giornata di venerdì trentuno agosto continua nel nostro quarto focus dedicato al festival del cinema di Venezia. Oggi parleremo di tre discussi e apprezzati film che tuttora sono al centro di animati dibattiti. Il primo è il drammatico La Noche de 12 años di Alvaro Brechner.
TRAMA: 1973. L’Uruguay è governato da una dittatura militare. Una sera d’autunno, tre prigionieri tupamaro vengono sequestrati dalle loro celle nell’ambito di un’operazione militare segreta. L’ordine è preciso: “Dato che non li possiamo uccidere, facciamoli diventare pazzi”. I tre uomini resteranno in isolamento per dodici anni. Tra loro c’è Pepe Mujica che diventerà presidente dell’Uruguay. Presentato nella sezione Orizzonti il commovente film di Álvaro Brechner si domanda che cosa resta di un uomo a cui è stato strappato tutto? Senza poter comunicare, isolato nel tempo, senza stimoli o un luogo tangibile al quale aggrapparsi. L’unica cosa che non potrà mai essere portato via a un uomo è l’immaginazione. La noche de 12 años è, soprattutto, una discesa negli abissi. Basato su una storia vera, mostra come, nell’arco di dodici anni, tre uomini, Josè Mujica, Eleuterio Fernandez, ex ministro della difesa e il giornalista scrittore Mauricio Rosencof siano stati gradatamente defraudati di tutto ciò che li rende individui. Hanno sopportato un processo fisico e mentale che avrebbe dovuto portarli alla pazzia e alla distruzione di qualsiasi resistenza nella loro natura più profonda. Si sono dovuti reinventare, partendo dai brandelli della propria condizione umana per poter resistere a uno dei più infami tormenti immaginabili. Film dotato di una potenza emotiva disarmante che sorprendentemente non ha ottenuto riconoscimenti dalla giuria del festival.
Terminata la giornata di venerdì vi raccontiamo il nostro pazzo e tanto atteso sabato, primo settembre. La consueta pioggia di Venezia ci ha accompagnato per tutta la giornata ma temerari come sempre abbiamo sfidato l’avverso clima per vedere SUSPIRIA di Luca Guadagnino. TRAMA: In un’accademia di danza di fama mondiale si muove una presenza oscura che inghiottirà il direttore artistico della troupe, una ballerina ambiziosa e uno psicoterapeuta in lutto. Qualcuno soccomberà all’incubo. Altri, alla fine, si sveglieranno. L’attesa per il remake di Suspiria targato Luca Guadagnino era alle stelle da molto tempo, ancor di più dopo il successo globale di Chiamami col tuo nome. Presentato in concorso, è il film di cui tutti, nella giornata di sabato, parlavano a Venezia, accolto da molti applausi e qualche sporadico fischio, come al solito alimentando un dibattito accanito. Nella sala delle conferenze stampa del Casinò del Lido di Venezia siamo riusciti ad assistere alla conferenza, in basso trovate due risposte rilasciate dal regista Guadagnino:
“Non tematizzo mai i miei film mentre li faccio, parlano loro dopo, indipendentemente dai realizzatori. In Suspiria è indubbio che al centro ci siano i rapporti interpersonali del femminile e nella storia e il terribile. La danza ha un ruolo importante, è un mezzo espressivo che amo, pur non essendo un esperto. È un piacere straordinario vedere grandi coreografi che si esprimono, qui abbiamo avuto l’onore di contare su Damien Jalet. Era cruciale che i movimenti di ballo non fossero un orpello, ma permettessero di essere utilizzati come personaggi trascendenti della magia.”
Un remake che non fa che confermare l’amore del regista per Dario Argento, come ha tenuto a ricordare: “Amo, amiamo Dario, non sarei qui se non fosse per lui. Sono uno stalker di maestri del cinema come lui. Se volete un aneddoto, avevo credo 15 anni quando vidi Suspiria, recuperando poi gli altri suoi film. Un giorno mia madre sentì la voce che stava cenando in un ristorante della mia città, Palermo. Sono corso a verificare: era lì e io sono rimasto con la faccia appiccicata al vetro, aspettando che finisse di mangiare. È una persona gentilissima”.
Luca Guadagnino omaggia Argento con un film personale, riflessivo, originale nello stile e coraggioso nella messa in scena, Suspiria è atteso nelle sale americane per il 26 ottobre.
Il terzo film della giornata è stato una grande sorpresa. Ancora storditi dal lungometraggio del regista palermitano ci siamo messi in coda, sempre più bagnati e infreddoliti, per vedere Frères ennemis diretto da David Oelhoffen. TRAMA: Nati e cresciuti in una periferia in cui domina la legge del narcotraffico, Manuel e Driss erano come fratelli. Da adulti però finiscono per prendere strade opposte: Manuel ha scelto di abbracciare la vita del criminale, Driss l’ha rinnegata ed è diventato un poliziotto. Quando il più grande affare di Manuel va storto, i due uomini si incontrano di nuovo e si rendono conto che entrambi hanno bisogno l’uno dell’altro per sopravvivere nei loro mondi. Nonostante l’odio, fra tradimenti e rancori, riscoprono l’unica cosa rimasta a unirli nel profondo: l’attaccamento viscerale al luogo della loro infanzia. Thriller mozzafiato in cui tradimento, vendetta e sopravvivenza spingeranno i due travolgenti protagonisti a mettere in dubbio la lealtà e la fiducia verso i loro due mondi. Il film è interpretato da due tra i più iconici e brillanti attori della loro generazione, Matthias Schoenaerts e Reda Kateb, per la prima volta insieme sullo schermo. Dopo l’acclamato successo di Loin des hommes, il regista e sceneggiatore francese David Oelhoffen va alla ricerca di una fratellanza che superi i legami di sangue. Grande ritmo e prova attoriale di alto livello fanno di questo action film dalle tinte noir un titolo da non perdere. Per oggi concludiamo qui il nostro quarto recap. Il quinto appuntamento su Venezia 75 sarà l’ultimo ma state tranquilli perché prossimamente sbarcheremo alla Festa del Cinema di Roma; nuovi film, approfondimenti e live arriveranno presto per voi dalla nostra redazione. Trailer Venezia75: Immagini tratte da: - Corriere delle Sport - Sentieri Selvaggi - Orgoglio Nerd.it - Variety.com
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Milano, 18 settembre 2018 – La XXIII edizione di Milano Film Festival, guidata dal nuovo direttore artistico Gabriele Salvatores - in co-direzione con Alessandro Beretta (in direzione dal 2011), apre venerdì 28 settembre e si chiude domenica 7 ottobre. Milano Film Festival – una produzione di esterni – è realizzato con il supporto del Comune di Milano – Assessorato alla Cultura, il contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in collaborazione con Lavazza, Main Partner, e CHILI, Digital Partner. Milano Film Festival – una produzione di esterni – è realizzato con il supporto del Comune di Milano – Assessorato alla Cultura, il contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e di Regione Lombardia. L’ingresso di Lavazza in qualità di Main Partner e CHILI in qualità di Digital Partner hanno permesso alla manifestazione di tornare a far vivere le piazze della città e di sognare nuove sale virtuali ad essi di unisce Logic grazie a cui abbiamo riportato nelle sale un grande cult del cinema. Nuove collaborazioni che si affiancano a storiche partnership come quella con Gruppo CAP arrivata al decimo anniversario; Fastweb Digital Academy che per prima ha creduto con Milano Film Festival alla forza dei nuovi linguaggi audiovisivi e il Piccolo Teatro di Milano che con BASE Milano si confermano partner di eccellenza con cui ideare, sviluppare e presentare sempre nuovi progetti. Tante le location di questa edizione, che torna a essere diffusa in città. Il quartier generale in piazza XXV Aprile, progettato dallo studio milanese dotdotdot e realizzato in collaborazione con Lavazza, sarà il cuore pulsante della XXIII edizione, accanto cui spiccano venues d’eccellenza: Anteo Palazzo del Cinema, Piccolo Teatro Studio Melato, Cineteca Spazio Oberdan, BASE Milano, Palazzo Litta e Cascina Cuccagna. Sarà un Festival ‘sul cinema’ – come ha voluto e sottolineato la nuova direzione artistica sin dall’inizio del suo mandato: una manifestazione che continua ad essere indipendente (come alle sue origini, nel 1995), sempre più internazionale (quest’anno il Festival travalica i confini italiani, e approda, grazie alla collaborazione con CHILI, anche in UK) e che, grazie al crossover tra le diverse forme d’arte, punta a costruire nuovi ponti tra pubblico e cinema. Grazie alla fiducia che istituzioni e partner hanno riposto in questo rinnovato e ambizioso progetto culturale - all’insegna del cambiamento e della sperimentazione di nuove formule - la XXIII edizione di Milano Film Festival fonde le arti e celebra il cinema come occasione sociale, senza dimenticare la necessaria e costante ricerca nel contemporaneo. Il programma della XXIII edizione - composto dai 2 concorsi internazionali (8 lungometraggi e 38 cortometraggi), 3 nuove sezioni (Ultra Reality, My Screen, Art Cinema), e le diverse rassegne che ne hanno fatto la storia (The Outsiders, Focus Animazione, VideoEspanso, milano film festivalino), si muove tra registi emergenti, omaggi a grandi autori (Matteo Garrone, lunedì 1 ottobre alle 20, alla Cineteca Spazio Oberdan; il Premio “Grazie Maestro!” consegnato a Lamberto Caimi giovedì 4 ottobre, alle 20, alla Cineteca Spazio Oberdan), temi contemporanei da approfondire (Immigration Day, martedì 2 ottobre alle 19, al Piccolo Teatro Studio Melato), e nuovi linguaggi. The Outsiders è il fuori concorso del Milano Film Festival, una scelta di film fuoriclasse e anteprime che tracciano tensioni del cinema contemporaneo. Dalle anteprime italiane di "Le livre d’image" di Jean-Luc "Godard a Climax" di Gaspar Noé, entrambi premiati a Cannes, entrambi film da vivere in sala, per provare il cinema come pensiero in diretta con Godard e l’estasi e performance in Noé, a un’esperienza di panico, come l’essere in fuga durante una strage, in "U-July 22" di Erik Poppe, sulla strage di Utøya, film discusso che era in concorso in Berlinale, in anteprima italiana. Opening film della sezione, all’incrocio tra genere e autorialità, "The World is Yours", scatenato gangster movie europeo di Romain Gavras, regista di discussi videoclip, con Vincent Cassel e Isabelle Adjani, in anteprima italiana. Senza dimenticare il kitch brillante e paradossale di "Diamantino" di Gabriel Abrantes e Daniel Schmidt, vincitore alla Semaine della Critique, in cui il migliore calciatore portoghese - ben simile al reale CR7 - viene sfruttato come testimonial nazionalista suo malgrado. Da Venezia, infine, in collaborazione con BookCity Milano, arriva "Non-Fiction" di Olivier Assayas, commedia sul mondo dell’industria culturale. Completa l’eterogenea e ampia programmazione un ricco calendario di eventi e serate speciali. Una doppia proiezione della copia appena restaurata di "Grease" (martedì 2 ottobre alle 20; mercoledì 3 ottobre alle 21.30) realizzata in collaborazione con Logic, e a seguire una serata a tema in piazza XXV Aprile (mercoledì 3 ottobre alle 19); la serata tra cinema e musica con Raiz (giovedì 4 ottobre dalle 19); l’evento in collaborazione con HotCorn per festeggiare i vent’anni di "The Big Lebowski" (venerdì 5 ottobre alle 22, all’Anteo Palazzo del Cinema). Ma non solo: Amarcord Milano (giovedì 4 ottobre dalle 18.30, ex cinema Orchidea), la passeggiata tra letteratura e cinema a cura dell’associazione piedipagina; la tradizionale Festa della Civica Scuola di Cinema Luchino Visconti (martedì 2 ottobre alle 16.30, all’Anteo Palazzo del Cinema) e la cerimonia di premiazione (domenica 7 ottobre alle 19, all’Anteo Palazzo del Cinema) arricchiscono il programma del Festival. Dal tramonto a tarda notte, ogni giorno, la musica del Festival anima piazza XXV Aprile; una programmazione che alterna dj set a concerti dal vivo – a cura di Matteo Saltalamacchia di Buka - all’insegna del crossover e del weirdo. Non mancheranno, infine, incontri e appuntamenti con registi e ospiti internazionali, all’HotCorn Social Club in piazza XXV Aprile ogni giorno a partire dalle 18. Confermati gli storici appuntamenti del Festival: il Focus Animazione, con proiezioni dedicate al meglio dell’animazione contemporanea tra cui l’imperdibile Maratona Animazione, la lunga e appassionante notte di corti animati d’autore (lunedì 1 ottobre dalle 20.30, all’Anteo Palazzo del Cinema); il doppio appuntamento con VideoEspanso, l’esplorazione delle nuove traiettorie dei video musicali (sabato 29 settembre alle 22.30, e mercoledì 3 ottobre alle 22, al Piccolo Teatro Studio Melato), e il milano film festivalino, il Festival formato bambino (sabato 29 e domenica 30 settembre, Piccolo Teatro Studio Melato; sabato 6 e domenica 7 ottobre, Cascina Cuccagna). www.milanofilmfestival.it info@milanofilmfestival di Vanessa Varini ![]() Paese: Regno Unito, Stati Uniti d'America Anno: 2016 Formato: miniserie TV Genere: drammatico, in costume, sentimentale, storico Puntate: 6 Durata: 380’ (totale) Regia: Tom Harper Sceneggiatura: Andrew Davies Cast: Paul Dano (Pierre Bezuchov); Lily James (Natasha Rostova); James Norton (Andrej Bolkonskij); Jessie Buckley (Marja Bolkonskaja); Aisling Loftus (Sonja Rostova); Tom Burke (Fedor Dolokhov); Tuppence Middleton (Hélène Kuragina); Callum Turner (Anatole Kuragin); Greta Scacchi (Natalya Rostova); Aneurin Barnard (Boris Drubetskoy); Mathieu Kassovitz (Napoleone Bonaparte); Gillian Anderson (Anna Pavlovna); Jim Broadbent (Nikolai Bolkonsky). Nel luglio 1805 le truppe austriache e russe mettono a freno l’avanzata di Napoleone e a San Pietroburgo si tiene un importante ricevimento organizzato da Anna Pavlovna, dove partecipano diversi nobili. Pierre Bezuchov, goffo e dall'animo buono, è il figlio illegittimo di un conte. Dopo la morte del padre eredita il titolo nobiliare e ricchezze e si sente sopraffatto dalle responsabilità. Si sposa con Hélène, la figlia infedele del principe Kuragin, ma in preda ai tormenti decide di rivoluzionare la sua vita. Poi c'è Natasha Rostova, la vivace e solare figlia di Nikolaj Rostov, che s'innamora del principe Andrej, ma è una relazione impossibile e delusa dalla lontananza di lui, si lascia ingannare da Anatole (fratello di Hélène) che le fa credere di amarla. Infine, c'è il principe Andrej Bolkonskij che preferisce combattere piuttosto che condurre una semplice vita da uomo sposato. Anni dopo, durante un ballo si innamora, ricambiato, della giovane Natasha ma dopo il tradimento di lei, cerca nuovamente la gloria in battaglia. E poi ci sono tantissimi altri personaggi alle prese con amori, tradimenti e scandali di corte... Nonostante questa moltitudine di vicende e di personaggi, War & Peace, tratto dal corposo romanzo omonimo di Lev Tolstoj, riesce nell'arduo compito di unire le vicende incrociate delle famiglie nobili Bolkonskij e Rostov con quelle storiche (la battaglia di Borodino, l'incendio di Mosca) e con quelle belliche con epiche scene di guerra (un po' troppo realistiche e crude). Anche i protagonisti hanno affrontato una grande sfida: non è semplice impersonare dei personaggi in continua evoluzione, sia caratteriale, come Natasha che passa velocemente dalla felicità alla disperazione, che personale, come Pierre, costantemente alla ricerca di un posto nella società, ma le loro interpretazioni sono più che soddisfacenti. Natasha Rostova è interpretata da Lily James, famosa nel piccolo schermo come Lady Rose Aldridge di Downton Abbey e ora in grande ascesa nel cinema (ottima la sua interpretazione della giovane Donna Sheridan nel sequel di Mamma mia, attualmente in tutte le sale cinematografiche); Andrej Bolkonsky è interpretato da James Norton (già visto nella serie Grantchester) e Pierre Bezuchov da Paul Dano di Little miss sunshine. Anche i personaggi secondari sono convincenti: il Principe Nikolaj Bolkonsky è impersonato da Jim Broadbent (il professore Lumacorno di "Harry Potter"), Hélène Kuragina è Tuppence Middleton (nota per il ruolo di Riley in Sense8) e Anna Pavlovna è Gillian Anderson (Dana Scully in X-Files). Il risultato é una serie accuratissima, rimarrete incantati dalle ambientazioni (la serie è stata girata in Russia e Lettonia), dai costumi, dalle coreografie dei balli (in specifico la scena cult del ballo tra Andrej e Natasha, il momento in cui con un gioco di sguardi comprendono di essere innamorati) e dalle suggestive musiche russe. Solo il finale, a lieto fine ma non per tutti i protagonisti, è un po' affrettato. Se amate i kolossal d'epoca non perdete questa versione prodotta dalla BBC di Guerra e Pace! Immagini tratte da: http://s.sidereel.com/ http://digitalspyuk.cdnds.net/ http://www.serialcrush.com/ https://keyassets-p2.timeincuk.net/
A 14 anni dall'uscita del primo film, Bird torna all'animazione Disney-Pixar dirigendo uno dei migliori sequel dello studio.
di Salvatore Amoroso
La sfida era decisamente ardua ma dopo ben quattordici anni Brad Bird è riuscito a riportare sul grande schermo la super famiglia Parr. Mr Incredibile, la moglie Elastigirl, Violetta, Flash e il piccolo Jack-Jack sono tornati più super che mai e in questo nuovo sequel di uno dei franchise Pixar più apprezzati di sempre dovranno restare ancora più uniti per far fronte alle nuove insidiosissime minacce. Ma andiamo per ordine. Il sequel riparte laddove il primo capitolo terminava, con la famiglia riunita e pronta a lottare contro il Minatore e il suo piano di svaligiare la banca di Metroville. Mr Incredible ed Elastigirl sono pronti a intervenire ma per farlo affidano a Violetta e Flash il compito di badare al piccolo Jack-Jack, facendo infuriare la ragazza. Ed è qui che prende il via la prima trovata del nuovo film, nel mettere in primo piano i problemi e disagi personali dei protagonisti, sullo sfondo delle imprese da supereroi. Dopo aver portato a termine la missione la famiglia Parr viene scaricata anche dal programma di protezione a causa delle leggi anti-super. Proprio quando Helen e Bob si stanno rassegnando a una vita in fuga perenne, il magnate Winston Deavour e sua sorella Evelyn offrono una soluzione: una totale copertura mediatica per qualche impresa, onde riportare l'opinione pubblica ad amare i supereroi. Vogliono però Elastigirl perché meno dannosa, così Bob rimarrà a casa a badare ai bambini. “Se fatto bene, il mestiere di genitore è un atto eroico”. É proprio la designer creativa e visionaria Edna Mode a ricordarci quanto è dura essere genitori in questo mondo sempre più egoista e folle. Bird, non solo regista ma anche sceneggiatore del film, con grande intelligenza focalizza la storia sui problemi contemporanei. Il potere alle donne è evidente con la mamma Elastigirl nei panni dell’eroina protagonista che ferisce l’orgoglio del vecchio super e un po’ vanesio Mr Incredibile, rilegato a fare il baby sitter a casa e a doversi confrontare con i compiti di matematica del combina guai Flash, i problemi adolescenziali di Violetta e soprattutto gestire il delirio di potenza di Jack-Jack. Bird su quest’ultimo ha saputo giocare benissimo le sue carte, concedendogli più respiro rispetto al primo film, dove in sostanza fungeva da mascotte, invece all'interno del secondo capitolo lo rende un vero e proprio plus valore della produzione, divertente e dolcissimo, gli spettatori non potranno fare a meno di amarlo. Non fatevi ingannare dall’etichetta film per famiglie o per bambini perchè Gli Incredibili 2 parla direttamente agli adulti, con temi profondi e tremendamente attuali. In questo film c’è un cuore amarissimo, molto critico con la mania dei supereroi, che in un lungo discorso, tenuto furbescamente in secondo piano mentre Elastigirl è in cerca del nemico, mette in chiara correlazione l’ossessione per il supereroismo con un più grande desiderio di scarico di responsabilità. Non fare niente e guardare altri che fanno, diventare amebe immobili da schermo. Il risultato finale è un sequel visivamente e tecnicamente impressionante, ma non è più una sorpresa quando si tratta di Pixar, che diverte e coinvolge il pubblico come il suo predecessore, bilanciando con intelligenza la commedia e l'azione indispensabile in un cinecomic. Un film che riesce, però, anche a ritagliarsi i suoi spazi per indagare i personaggi e le loro dinamiche, perdendo qualche punto solo sul versante della novità e della sorpresa. Immagini tratte da: Coming Soon Wikipedia Amazing Cinema anonimacinefili.it Empire Italia Terzo appuntamento con il nostro recap del primo anno al Lido. Emozioni e tanti buon film da condividere con voi lettori. Vi racconteremo le opere in concorso e non solo: curiosità e approfondimenti su Venezia75. di Salvatore Amoroso Nel precedente appuntamento vi avevamo parlato dei due film rivelazione di questa edizione di Venezia75, uno era l’acclamato The Favourite di Yorgos Lanthimos, l’altro il fresco vincitore del Leone d’Oro ROMA di Alfonso Cuarón. Per chiudere in bellezza il giorno trenta agosto manca un titolo che per noi della redazione è stata una sorpresa: L’Heure de la sortie. TRAMA: Un insegnante di scuola superiore si getta dalla finestra davanti agli studenti atterriti. Nonostante la tragedia, sei di essi restano stranamente freddi e impassibili. Pierre, il nuovo supplente, nota che il gruppo, molto unito, ha un atteggiamento ostile. Intelligenti e precoci, i sei adolescenti sembrano impegnati a preparare un piano misterioso. Pierre è ossessionato da loro e viene risucchiato nel loro gioco sinistro. Presto, la sua vita diventa un incubo. L’heure de la sortie (School’s Out il titolo internazionale) è un film del 2018 scritto e diretto da Sébastien Marnier, basato sull’omonimo romanzo di Christophe Dufossé e presentato nella sezione Sconfini. Il regista arricchisce la pellicola di suspense come un thriller, ma allo stesso tempo gli conferisce dei temi molto forti, da vero e proprio film politico, in cui si assiste a una grande tragedia e si sente visceralmente l’inesorabile fallimento del mondo. La domanda che cerca di porre al pubblico Marnier è se dobbiamo necessariamente aspettare che avvenga una catastrofe, prima che la coscienza collettiva prenda forma. Giungiamo alla mattina di giorno trentuno agosto, quando nella Sala Giardino ci godiamo una delle commedie più belle degli ultimi anni: l’irriverente e sagace Mi obra maestra (My Masterpiece) dell’argentino Gastón Duprat. TRAMA: Arturo, un gallerista affascinante, raffinato e spregiudicato, è il titolare di una galleria d’arte nel centro di Buenos Aires, una città che ama molto. Renzo, un pittore cupo, un po’ selvatico e in evidente declino, detesta i rapporti sociali e vive quasi in povertà. Sebbene il gallerista e il pittore siano uniti da un’amicizia di lunga data, si trovano in disaccordo quasi su tutto. I loro mondi e le loro idee sono diametralmente opposti, il che è fonte di gravi tensioni e conflitti tra di loro. Tuttavia, nonostante le differenze abissali, sono grandi amici. La commedia di Duprat è un elogio all’amicizia. Il film racconta la storia di una pericolosa frode nel mondo dell’arte e, parallelamente, la storia di un’amicizia tra i personaggi interpretati da Guillermo Francella e Luis Brandoni. Il tono del film si presta meravigliosamente a questi due grandi attori. Il film è intriso di tensione, dramma, emozione, ma ha anche una profonda vena umoristica. Il cast comprende anche Andrea Frigerio, reduce dell’eccezionale interpretazione di El ciudadano ilustre, e Raúl Arévalo, il grande attore e regista spagnolo. La sceneggiatura di Andrés Duprat (sceneggiatore di El ciudadano ilustre e El hombre de al lado) è straordinaria: un meccanismo perfetto. Il film propone una serie di riflessioni sulle contraddizioni della creazione artistica e sui limiti dell’amicizia. Durate otto settimane, le riprese sono avvenute tra Buenos Aires, Rio de Janeiro e lo spettacolare scenario naturale di Jujuy. Successivamente, nella Sala Grande, dopo aver atteso il nostro turno, con la paura addosso di non farcela a causa della fila chilometrica, siamo miracolosamente riusciti ad assistere al western dei fratelli Coen, The Ballad of Buster Scruggs. TRAMA: The Ballad of Buster Scruggs è un film antologico in sei parti di ambientazione western. Il film si compone di una serie di storie sulla frontiera americana raccontate dalla voce unica e inimitabile di Joel ed Ethan Coen. Ogni capitolo racconta una storia diversa sul West americano. I Coen mostrano la loro passione per i film antologici, in particolare per i film girati in Italia negli anni Sessanta, che mettevano insieme opere di diversi registi incentrate su uno stesso tema. The Ballad of Buster Scruggs è la loro visione del western, di tutto il western e quindi anche quello classico del Grinta, come quello di Sergio Leone, omaggiato nell’episodio in cui un impiegato di banca contrattacca il bandito che lo vuole rapinare usando padelle come giubotto antiproiettile, e tutto quello che ci passa in mezzo ed è venuto dopo, compresi gli speroni e i pistoleri, le carovane e i cercatori d’oro, i banditi e i saloon, i carri con gli spettacoli itineranti e le diligenze. Con la disinvoltura scanzonata e solo in apparenza cialtrona che gli è propria, infatti, i Coen sono riusciti nell’intento di fare di The Ballad of Buster Scruggs un film sulla morte. Sulla morte e, quindi, sulla vita, sulla sua ironia, sul suo senso. Per oggi concludiamo il nostro viaggio a Venezia75 ma abbiamo ancora tanto da raccontarvi e nel prossimo appuntamento vi parleremo di nuovi film da tenere d’occhio per la nuova stagione cinematografica ormai alle porte. Trailer film Venezia75: L’heure de la sortie Mi obra maestra THE BALLAD OF BUSTER SCRUGGS Immagini tratte da: Corriere delle Sport.it La Biennale di Venezia MendozaPost.com EveryEye Cinema.it Potrebbe interessarti anche: di Federica Gaspari La lunghissima notte della cerimonia di premiazione si è conclusa. All’alba di una nuova stagione televisiva chi sono i vincitori e i vinti? Tra un elegante red carpet di star televisive e non e qualche battuta sulla politica statunitense di troppo, la tradizionale cerimonia di premiazione degli annuali Emmy ha tenuto incollati al piccolo schermo milioni di spettatori di ogni nazionalità per quattro ore. Come vi avevamo assicurato questa ultima edizione da cifra tonda ha regalato non poche sorprese e anche qualche delusione. Le iconiche e ambite statuette dorate hanno segnato il destino dei grandi titoli in gara – senza dimenticare relative agguerritissime case di produzione – consolidandone lo status oppure ignorandone il ruolo essenziale. È stata una notte di vincitori inaspettati ma anche di fragorose cadute che hanno saputo attirare non poche critiche a livello internazionale. Su questo fronte, niente di nuovo sotto il sole hollywoodiano: l’aspetto più appassionante di questi eventi, tanto discussi quanto irrinunciabili, è la loro ambiguità, spesso causa di contraddizioni o di fortuite celebrazioni. Sorprese e delusioni I conduttori Michael Che e Colin Jost, senza infamia e senza lode, hanno curato l’intero svolgimento dell’evento senza particolari lampi di genio. Per una volta, i veri protagonisti sono stati gli show in gara nelle diverse categorie, da quelle riservate agli interpreti a quelle per il miglior titolo della stagione passando per regia e sceneggiatura. Nel mondo comedy, contro i pronostici ma non troppo, sin dalle prime assegnazioni, si è subito imposta la serie originale Amazon The Marvelous Mrs. Meisel, prodotto fuori dagli schemi che sin dalla sua prima stagione ha portato una ventata di aria fresca e ironica con un’eccezionale Rachel Brosnahan come protagonista. I cinque premi ottenuti in tutte le categorie principali sono un punto di svolta per il piccolo schermo che si arricchisce di importanti ruoli femminili. La competizione per la corona di miglior serie drama, invece, ha lasciato alle sue spalle diverse vittime, tra favoriti della vigilia e contendenti alla loro ultima chance. La vittoria è andata a Il trono di spade, con la sua esperienza in merito a battaglie all’ultimo sangue e con già due Emmy in vetrina. Questo trionfo, insperato dai fan e inatteso dal resto degli spettatori dopo una stagione per niente eclatante, lascia l’amaro in bocca in una serata che, fin a questa proclamazione, sembrava essere un determinato cambio di rotta. Grande sconfitto, quindi, è il campione uscente e rivale più pericoloso, The Handmaid’s Tale che ha saputo concretizzare solo una delle nove candidature. Questa bruciante disfatta ha cambiato i piani della serata anche per le categorie attoriali in cui gli altri validi show in gara hanno potuto conquistare il loro momento di gloria. Gli occhi sono diventati lucidi davanti ai sorprendenti ed emozionanti discorsi di ringraziamento di Claire Foy (migliore attrice protagonista in The Crown) e Thandie Newton (migliore attrice non protagonista in Westworld), due premi meritati e conquistati in gruppi difficilissimi. Infine, bellissimo e attesissimo – sono servite 6 stagioni per un riconoscimento – il premio per Matthew Rhys, grande protagonista di The Americans. Momenti top e flop Anche in questa edizione di alti e bassi non sono mancati momenti memorabili, sia in positivo che in negativo. Iconica, senza dubbio, la proposta di matrimonio formulata da Glenn Weiss, fresco vincitore di un Emmy alla miglior regia per la messa in onda dei passati Academy Award. Insomma, una scena da Oscar! Anche i premi per le mini-serie sono rimasti in linea con lo spirito contraddittorio ma accattivante della nottata. Se, prima, si è gioito della vittoria di Regina King per l’ottimo e potente Seven Seconds, poi si è rimasti basiti davanti alla pioggia di premi per il sopravvalutato American Crime Story: L’assassinio di Gianni Versace. Le note negative arrivano, quindi, dai mancati riconoscimenti per interpreti e show di altissima qualità come lo strepitoso Benedict Cumberbatch di Patrick Melrose e il grande assente tra le candidature Twin Peaks 3. Il sipario si chiude e, come ogni grande show, la cerimonia continua a far parlare di sé. In ogni caso, ha centrato il suo obiettivo. L’appuntamento è per la prossima edizione senza scordare che, in questi lunghi mesi di attesa, non mancheranno altre prestigiose cerimonie, dai Golden Globe agli Oscar, per non parlare dei Grammy! Immagini tratte da: www.redcapes.it https://gadgets.ndtv.com www.theringer.com www.tv.com www.hollywoodreporter.com Mancano poco più di 24 ore alla consegna delle statuette più ambite del piccolo schermo a stelle e strisce e quest’anno, tra grandi ritorni e travolgenti novità, la cerimonia si preannuncia gustosa. di Federica Gaspari La notte italiana tra il 17 e il 18 settembre si illuminerà con la sfilata di stelle hollywoodiane protagoniste della settantesima edizione dei Prime Time Emmy Awards, i prestigiosi riconoscimenti assegnati annualmente ai prodotti televisivi che più si sono distinti durante l’anno. Gli appassionati italiani potranno vivere le emozioni della scintillante cerimonia di premiazione presentata dal duo comico a stelle e strisce Michael Che e Colin Jost sintonizzandosi su Rai 4 e Radio 2 a partire dalle 2:00. Preparate diverse dosi di caffeina e studiate attentamente i nomi in gara: questa edizione sarà davvero memorabile! I titoli in gioco I front-runner di quest’anno sono proprio tra gli artefici dell’appassionante rivoluzione dell’intrattenimento che negli ultimi tempi sta radicalmente cambiando la qualità e le modalità di fruizione dei contenuti del piccolo schermo. Il titolo con più candidature nelle categorie maggiori – attori e regia - è la mini-serie The Assassination of Gianni Versace: American Crime Story ma la vera sfida, quella più avvincente, sarà tra la seconda stagione di The Handmaid’s Tale e l’ultimo capitolo di Game of Thrones; chi conquisterà lo scettro della migliore serie drammatica del 2018? Entrambe hanno già vinto in passato questo ambito titolo ma solo quest’anno si affrontano direttamente. Chissà, però, se qualche outsider – Stranger Things? Westworld?– riuscirà a lasciare entrambe a bocca asciutta. Nell’universo comedy, invece, è guerra aperta tra un insieme di produzioni fresche e divertenti che hanno saputo creare un fortissimo legame con i propri fan tra risate e riflessioni tutt’altro che scontate. Atlanta, la creatura del piccolo schermo ideata dall’eclettico Donald Glover, ha, sotto quest’ottica, qualche chance in più di vittoria grazie a un tono ironico completamente fuori dal comune. La scuderia Netflix capitanata dallo spumeggiante GLOW, tuttavia, non è assolutamente da sottovalutare. I trionfatori della vigilia I premi non sono ancora stati consegnati ma sin dall’annuncio delle candidature è chiaro che ci sarà un vincitore incontrastato indipendentemente dal bottino finale. Il colosso dello streaming internazionale, Netflix, domina la classifica delle reti con più nomination: ben 37 contro le 29 del rivale di sempre, HBO. Questa, insieme al trionfo di Cuaron a Venezia 75, potrebbe essere la definitiva consacrazione di una figura cruciale quanto essenziale per il futuro dell’intrattenimento. La prossima edizione degli Oscar sarà il banco di prova finale. Non si possono dimenticare, infine, alcuni gustosi dettagli sui record di questa edizione: Peter Dinklage con la sua interpretazione ne Il trono di spade conquista la settima candidatura come miglior attore non protagonista in una serie drammatica. Se la nomination si dovesse concretizzare, Dinklage raggiungerebbe il primato di tre premi in questa categoria detenuto finora da Aaron Paul per Breaking Bad. Sandra Oh, invece, con il suo Killing Eve è la prima donna asiatica candidata come migliore interprete protagonista per uno show drama. Primato, in negativo, per una delle produzioni televisive più discusse degli ultimi anni: la terza stagione di Twin Peaks è stata completamente ignorata nelle categorie più importanti delle mini-serie. Gli ingredienti per un evento scoppiettante non mancano. Bisogna preparare solo le scorte di caffè o, altrimenti, di croccanti pop-corn per affrontare al meglio la lunga attesa notturna che, senza dubbio, verrà ripagata da grandi sorprese e discorsi di ringraziamento. Immagini tratte da: www.redcapes.it www.slashfilm.com www.rollingstone.it www.zazoom.it Dal 12 settembre, nelle sale selezionate e sulla piattaforma Netflix, troverete Sulla mia pelle: film che ha aperto la sezione Orizzonti di Venezia 2018, diretto da Alessio Cremonini, con un grande Alessandro Borghi. di Salvatore Amoroso
Quando Stefano Cucchi muore nelle prime ore del 22 ottobre 2009, è il decesso in carcere numero 148. Al 31 dicembre dello stesso anno, la cifra raggiungerà l’incredibile quota di 176: in due mesi trenta morti in più. Nei sette giorni che vanno dall'arresto alla morte, Stefano Cucchi viene a contatto con 140 persone fra carabinieri, giudici, agenti di polizia penitenziaria, medici, infermieri e in pochi, pochissimi, hanno intuito il dramma che stava vivendo. È la potenza di queste cifre, il totale dei morti in carcere e quello del personale incontrato da Stefano durante la detenzione che hanno spinto il regista del film, Alessio Cremonini, a raccontare la sua storia: sono numeri che fanno impressione, perché quei numeri sono persone. Come dichiarato dallo stesso regista, Sulla mia pelle nasce dal desiderio di strappare Stefano alla drammatica fissità delle terribili foto che tutti noi conosciamo, quelle che lo ritraggono morto sul lettino autoptico, e ridargli vita. Il procuratore della Repubblica di Roma Giuseppe Pignatone ha dichiarato: «Non è accettabile, da un punto di vista sociale e civile prima ancora che giuridico, che una persona muoia non per cause naturali mentre è affidata alla responsabilità degli organi dello stato.» Il compito di Alessio Cremonini non era affatto facile, perchè in pochi sanno realmente quello che è successo dalla mattina in cui è stato arrestato Stefano, alla mattina in cui è stato trovato morto in ospedale, ben sei giorni dopo. Il film prova a colmare questo vuoto, prova a riaccendere il dibattito su uno dei casi italiani più sconcertanti di sempre. Sulla mia pelle non è affatto un film d’accusa, non urla slogan pieni d’odio o si schiera, non è quel genere di pellicola che mira all’indignazione, anzi. Cremonini e la sceneggiatrice Lisa Nur Sultan si aggrappano ai fatti con forza e determinazione e raccontano con una regia solida e dialoghi serrati l’odissea dell’orrore che ha vissuto quel povero essere umano. «Dolore traditore, viene fuori piano piano.» Nella cella di sicurezza del tribunale un detenuto dice a Stefano queste parole ed è proprio in quel momento che a qualsiasi spettatore gli si stringe il cuore. La potenza di questo film è quella di metterci di fronte alle nostre responsabilità, ci saremmo comportati diversamente da quelle centoquaranta persone che Stefano ha incontrato quella notte? Cremonini ci mostra che l’egoismo oggi è insito nella società che viviamo, siamo sempre pronti a giudicare, a scatenare delle vere gogne pubbliche ma quando si presenta l’occasione per far del bene siamo sempre pronti a girarci dall’altra parte. Quel volto tumefatto, gli occhi grandi e lucidi, li riviviamo grazie alla magistrale interpretazione di Alessandro Borghi, che non sbaglia un ruolo da parecchi anni, ma stavolta sa tremendamente sorprenderci. La sua è un’intepretazione testarda e dolorosa che verrà ricordata per molti anni e che avrebbe meritato la Coppa Volpi 2018 alla 75 edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Sulla mia pelle va visto, in sala o a casa sul vostro divano, non fa alcuna differenza; va visto. In questi giorni ho letto recensioni piene di ipocrisie e banalità e uno dei commenti più fastidiosi è «un film necessario.» No, non è un film necessario è una pellicola intelligente e forte, un esempio di come fatti di cronaca delicati andrebbero portati sul grande schermo, senza accuse e senza condanne, solo per non farci dimenticare che il 22 ottobre del 2009, un ragazzo che sarebbe poturo essere nostro fratello o un amico ci ha lasciato nel più orribile dei modi. Immagini tratte da: Locandina: comingsoon.it Immagine1: News Cinema Immagine2: Spettacolo.Eu Immagine3: Optima Italia Immagine4: La scimmia pensa Immagine5: La scimmia pensa |
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Giugno 2023
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