di Matelda Giachi
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Genere: Thriller, Drammatico, Sentimentale
Anno: 2020 Durata: 90 min Regia: Christian Petzold Sceneggiatura: Christian Petzold Cast: Paula Beer, Franz Rogowski, Maryam Zaree, Jacob Matschenz, Anne Ratte-Polle, Rafael Stachowiak, José Barros, Julia Franz Richter Fotografia: Hans Fromm Montaggio: Bettina Böhler Musica: Danny Bensi, Saunder Jurriaans Produzione: Schramm Film Distribuzione: Europictures Paese: Germania, Francia
Nella mitologia le Ondine sono spiriti acquatici che vivono in prossimità di fiumi, laghi, cascate. Sono descritte come sempre a caccia dell’amore e pronte a vendicarsi se per caso vengono ingannate. Il mito è stato di ispirazione per Hans Christian Andersen e la sua Sirenetta, poi rielaborata da Disney; Christian Petzold (La Donna dello Scrittore), lo rilegge e trapianta nell’era moderna.
Titolo fortemente evocativo, Undine (Paula Beer), è una donna non del tutto umana, con un fortissimo legame con l’acqua, sola ma in cerca d’amore e di una vita normale. Il regista e sceneggiatore non l’ha voluta solo bella come le creature mitologiche da cui deriva, ma anche intelligente. Lavora come guida turistica in un museo di Berlino, dove racconta con trasporto i processi di morte e rinascita della capitale tedesca. Nel momento in cui la camera di Petzold accompagna lo spettatore ad incontrare la sua protagonista, lei è distratta, rivolge continuamente lo sguardo verso il caffè dove è seduto il suo compagno, pronto ad abbandonarla dopo averle giurato amore eterno. Proprio mentre, ferita nel profondo dei suoi desideri, lei gli promette vendetta, la vita organizza un nuovo e originale incontro con il palombaro Christoph (Franz Rogowski). Con un colpo di fulmine in piena regola, decolla una storia intensa e particolare di cui poter godere direttamente in sala cinematografica.
Undine è un dramma romantico moderno ma con scheletro antico, che, in corso di svolgimento, vira nel soprannaturale e assume perfino tratti del thriller. Una storia strana ma anche magnetica e affascinante, grazie all’atmosfera creata da un meticoloso e calibrato uso dei silenzi e dei suoni, in particolar modo quelli legati all’acqua. Così come anche dalla bravura dei due interpreti principali, la cui chimica e affiatamento hanno un forte potere polarizzante. Paula Beer, per il ruolo di Undine, ha vinto l’Orso d’Argento come miglior attrice alla settantesima edizione della Berlinale, dove il film è stato presentato. La particolarità intrinseca della pellicola è il suo pregio come anche, forse, il suo tallone d’Achille, perché non convincerà tutti, come non ha messo d’accordo tutti i rappresentanti della stampa a Berlino. Undine è anche un omaggio alla complessa evoluzione della capitale tedesca, nonché un’occasione per aprire gli orizzonti cinematografici e scoprire un ramo di cinema europeo meno noto quale è quello tedesco.
Voto: 7,5
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di Matelda Giachi
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Genere: Thriller, Drammatico
Anno: 2020 Durata: 138 min Regia: Antonio Campos Sceneggiatura: Antonio Campos, Paulo Campos Cast: Tom Holland, Robert Pattinson, Bill Skarsgård, Riley Keough, Haley Bennett, Harry Melling, Sebastian Stan, Mia Wasikowska, Eliza Scanlen, Jason Clarke, Douglas Hodge, Drew Starkey, Abby Glover, Lucy Faust Fotografia: Lol Crawley Montaggio: Sofía Subercaseaux Musica: Danny Bensi, Saunder Jurriaans Produzione: Borderline Films, Nine Stories Productions Distribuzione: Netflix Paese: USA
Le Strade del Male è l’ultimo esempio dell’ambizione tipica di casa Netflix: un progetto importante con un cast stellare. Tratto dal romanzo di Donald Ray Pollock, la cui voce funge da narratore omnisciente, il film racconta l’intrecciarsi delle vite di tre famiglie attraverso una fitta rete di violenza e vendetta che ogni generazione eredita dalla precedente, senza apparente possibilità di scampare al ripetersi dello stesso destino. Tutto comincia con il ritorno a casa di Williard Russel (Bill Skarsgård), reduce della seconda Guerra Mondiale, che gli ha lasciato profonde cicatrici nella psiche, e si protrae fino alla maturità del figlio (Tom Holland), un ventennio dopo, agli albori della guerra del Vietnam, come un cerchio che si chiude. Il trauma sembra essere il tratto comune di tutti i protagonisti di quest’opera corale: ossessionati, sofferenti, fragili, deviati. Cercano pace e redenzione nella religione in un modo che però sembra condurli ancor più verso il peccato piuttosto che verso la salvezza.
Un po’ thriller, un po’ dramma; una patina da cinema d’autore, forse anche data dalla scelta di girare su pellicola, e qualche atmosfera noir. Tanti protagonisti, tanta carne al fuoco per una regia che affronta troppo velocemente un numero importante di vicende ma che viene lo stesso percepita dallo spettatore con lentezza. Solo Bill Skarsgård, Tom Holland e Robert Pattinson hanno un tempo scenico sufficiente per dire qualcosa di più. Forse, come sostengono molti, il formato di miniserie avrebbe concesso di avere maggiore cura della sceneggiatura. Se, da una parte, questo è indubbio, è necessario anche valutare l’impatto di un’ambientazione quale l’America rurale: interessante ma anche una realtà estremamente lontana da quella di noi europei e in cui, a volte, albergano delle dinamiche e un disagio psicologico a noi, per fortuna, poco noti. Questo divario culturale aumenta la distanza tra personaggio e spettatore, rallentando ulteriormente il processo di coinvolgimento nella vicenda.
Tra le interpretazioni spiccano quelle di Bill Skarsgård e di Harry Mellin (ex Dudley Dursley, il terribile cugino di Harry Potter) che i produttori di Netflix ormai amano nel ruolo dello psicopatico (avete visto The Old Guard?). Degni di nota anche Tom Holland, che affronta per la prima volta un ruolo adulto e introspetto, e di Robert Pattinson, che non cessa di mettersi alla prova con quella che lui stesso ha definito una delle interpretazioni più difficili della sua carriera, per la quale gli è stato richiesto di incarnare la malvagità subdola del diavolo nascosta dietro la piacevolezza di un involucro attraente.
Non si può parlare de’ Le Strade del Male come di una ciambella riuscita col buco; è un film altalenante, si ha addosso una costante sensazione di già visto e ci si sente spesso distaccati. Allo stesso tempo ha qualcosa di terribilmente interessante che non si riesce bene ad afferrare e che perciò ti fa arrivare fino al finale intimo, forse la parte meglio riuscita della pellicola. Voto: 6,5 Di Federica Gaspari ![]() Genere: supereroi, fantascienza, horror Anno: 2020 Regia: Josh Boone Attori: Anya Taylor-Joy, Maisie Williams, Charlie Heaton, Alice Braga, Blu Hunt, Henry Zaga, Adam Beach Sceneggiatura: Josh Boone, Knate Lee Fotografia: Peter Deming Produzione: Marvel Enterteinment, 20th Century Studios Paese: Stati Uniti d’America Durata: 94 min L’attuale concetto dei cine-comic moderni deve indubbiamente moltissimo all’ondata di film sui supereroi di inizio anni Duemila. All’alba di un nuovo secolo cinematografico, registi come Sam Raimi e Bryan Singer sono stati fautori di una rivoluzione che ha ridefinito il racconto delle origini dei personaggi coniugandolo con le più classiche narrazioni di formazione. In questo contesto la saga cinematografica degli X-Men, con un racconto complesso ed empatico della figura del mutante, hanno ispirato un’intera generazione riuscendo a trovare una voce autentica in grado di mettere in discussione anche aspetti di attualità con riflessioni sulle minoranze. Paradossalmente, tuttavia, il promettente franchise, capitolo dopo capitolo, ha perso la sua efficacia sul grande schermo, incagliandosi anche in fragorosi flop. The New Mutants di Josh Boone racchiude in sé tutti i problemi e potenziali di un intero franchise che, questa volta, è stato pesantemente influenzato anche da lunghe vicissitudini di produzione. Sulla carta, quindi, dopo due anni di attesa, di nuove scene, montaggi e cut poi annullati, il film sembrava essere un disastro annunciato e, proprio in questi termini, la maggior parte della critica internazionale si è espressa in merito alla pellicola. A volte, però, servirebbe solo andare oltre una superficie di pregiudizio per scoprire una storia d’intrattenimento senza pretese ma senza dubbio genuina. Introducendo per la prima volta al cinema un gruppo di mutanti teenagers, il cinecomic di Boone sceglie di raccontare una origin story di personaggi sconosciuti al pubblico poco avvezzo al materiale fumettistico di partenza. Raccontando, quindi, le difficoltà e le personalità di cinque ragazzi. Rahne, Illyana, Sam, Bobby e Dani vivono in un centro dove quotidianamente sono sottoposti a prove fisiche e test psicologici che li costringono ad affrontare i loro traumi e, spesso, anche a trovarsi in condizioni al limite. Mentre i ragazzi si confrontano con mille difficoltà legate alla loro natura, una minaccia però incombe sulle loro vite. Un cast di giovani stelle – in piena crescita o già affermate - e un regista reduce da un successo young adult come Colpa delle stelle sembrano essere gli ingredienti perfetti per un prodotto che ambisce a rinnovare il suo fandom e a dare un nuovo tono all’intero franchise. La confusione legata alle vicissitudini produttive del film segnano tuttavia un risultato rivoluzionario solamente nelle intenzioni. Questo, quindi, secondo molti basta a compromettere irrimediabilmente un film che, nonostante numerosissimi problemi, ha spunti estremamente interessanti oltre all’ennesima valida prova attoriale di Anya Taylor-Joy, vero astro nascente della sua generazione.
L’idea di coniugare le atmosfere horror – con riferimenti ed esplicite citazioni di culto – alle luci ed ombre dell’adolescenza emerge con convinzione sin dalle prime sequenze e sorregge una narrazione altrimenti caratterizzata da uno svolgimento tradizionale ben distante dai modelli in costante crescendo dei più recenti cinecomic. Pur risultando obsoleto nelle scelte narrative, il film tuttavia riesce a raccontare con genuinità e – forse – ingenuità una storia innocua ma curiosa soprattutto grazie a dei protagonisti convincenti che portano in scena tutto il carisma già dimostrato in altri ruoli cult in serie come Game of Thrones (Maisie Williams) o Stranger Things (Charlie Heaton). Non rivoluzionerà il genere né riuscirà a confermare i suoi due sequel inizialmente previsti: tuttavia, The New Mutants riuscirà a intrattenere con spensieratezza per tutta la sua durata. Immagini tratte da: www.vox.com
di Salvatore Amoroso
La recensione di Notturno, il nuovo film documentario di Gianfranco Rosi presentato in concorso a Venezia 77.
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Genere: documentario
Anno: 2020 Durata: 100 min. Regia: Gianfranco Rosi Fotografia: Gianfranco Rosi Montaggio: Jacopo Quadri Soggetto: Gianfranco Rosi Distribuzione: 01 Distribution
Dopo un lavoro di tre anni lungo i confini di Iraq, Kurdistan, Siria e Libano, arriva finalmente a Venezia 77 e in sala (dal 9 settembre) Notturno, nuovo lavoro di Gianfranco Rosi dopo il Leone d’oro 2013 Sacro GRA e l’Orso d’oro 2016 Fuocoammare. Un’opera tecnicamente classificabile come documentario, ma che per via della meticolosità del regista nella costruzione dell’inquadratura e dell’immagine, anche a costo di risultare artificioso, diventa una sorta di cinema teatralizzato, dove i protagonisti si aprono alla telecamera di Rosi, che a sua volta costruisce una narrazione sugli spunti che gli vengono forniti.
Notturno rifugge qualsiasi tentativo di analisi o approfondimento del conflitto su larga scala che sta devastando ormai da anni il Medio Oriente. L’unico abbozzo di contestualizzazione è sui titoli di testa, in cui gran parte delle colpe della situazione attuale vengono scaricate sull’Occidente, che con le sue grandi potenze ha definito a tavolino i confini dei vari stati risultanti dalla caduta dell’Impero ottomano. Una descrizione sommaria e non esente da critiche, che ha lo scopo di togliere dal quadro d’insieme le specificità dei vari popoli e le intricate dinamiche politiche, religiose ed economiche che governano i loro rapporti.L’attenzione di Rosi non è rivolta alla politica, ma all’essere umano. Nello specifico, alle tante luminose vite che cercano di esistere e resistere intorno alla tragedia.
Nel corso di una narrazione costantemente immersiva, si incrociano tante esperienze diverse e contrastanti: un cacciatore che usa le armi per procacciarsi il sostentamento, un cantore che loda Allah alle prime luci dell’alba, il dolore di una madre che riceve i messaggi della figlia prigioniera dell’ISIS. Poi le guerrigliere peshmerga, i terroristi assembrati in anguste carceri e addirittura bambini sopravvissuti ai tagliagole che mostrano a favore di camera i disegni con i quali raccontano la loro esperienza, in una delle scene più moralmente discutibili di Notturno. Come nei già citati Sacro GRA e Fuocoammare, Rosi fa delle esistenze delle persone che si sono concesse alla sua telecamera il perno per una spettacolarizzazione estrema dell’immagine. Gli incantevoli scenari mediorientali si mescolano ai primissimi piani dei protagonisti, che mettono a nudo le loro emozioni e il loro dolore, sotto lo sguardo silenzioso e attento di Rosi, attraverso una serie di inquadrature fisse, monolitiche, glaciali.
Il territorio mediorientale è volutamente rappresentato come un blocco unico, privo di sfumature, proprio perché davanti alla morte e ai più disperati tentativi di sopravvivenza per Rosi non ci sono diversità di religione, lingua o nazionalità. Sgombrato il campo dalla divulgazione, Notturno diventa così una composizione di tasselli e punti di vista, un canto frammentato e decostruito di un territorio ridotto in macerie fisiche ed emotive. Se da una parte è difficile non provare empatia per le situazioni sempre più estreme che Rosi cattura, dall’altra sorge un dilemma prettamente morale: fino a che punto può spingersi il cinema nella rappresentazione del reale, senza risultare artefatto e per certi versi disumano?
Il reale pianto di una madre che accarezza il muro usato per la tortura del figlio può essere usato come strumento narrativo e retorico? In cosa differisce Notturno da quella rappresentazione teatrale mostrata allo spettatore, in cui i pazienti di un ospedale psichiatrico provano e costruiscono a tavolino la loro opera? La risposta a queste domande sta nella personale interpretazione dell’etica e del mezzo cinematografico. Dal canto suo Rosi, in quella che ormai possiamo definire la sua cifra stilistica e artistica, si limita a interrogare il nostro sguardo, a pungolare le nostre più intime convinzioni e, in ultima analisi, a documentare la storia mentre la stessa storia scorre, senza alcun compromesso che non sia la ricerca della bellezza e dell’emozione. Notturno è in sala dal 9 settembre, distribuito da 01 Distribution.
Immagini tratte da:
Locandina: MyMovies Immagine1: Corriere.it Immagine2: Ansa.it Immagine3: Cinematographe.it 13/9/2020 The Exhibition - La mostra dedicata al Maestro del brivido Dario Argento in occasione dei suoi 80 anniRead Nowdi Vanessa Varini Il celebre regista horror Dario Argento il 7 settembre ha compiuto ottant'anni e in suo onore il Museo Nazionale del Cinema di Torino gli dedicherà la mostra Dario Argento - The Exhibition, prodotta in collaborazione con Solares Fondazione delle Arti di Parma e curata da Domenico De Gaetano, direttore del Museo Nazionale del Cinema, e Marcello Garofalo, che verrà allestita all’interno della Mole Antonelliana e sarà inaugurata nel mese di febbraio 2021. “È il nostro primo grande appuntamento del 2021, un progetto inizialmente previsto nell’autunno del 2020, proprio in concomitanza con il compleanno del regista e slittato a causa dell’emergenza Covid - afferma Enzo Ghigo, presidente del Museo Nazionale del Cinema. "Un doveroso omaggio a uno dei grandi autori del cinema italiano e conosciuto in tutto il mondo, che ben si sposa con l’anima misteriosa e magica della Mole Antonelliana e di Torino”. La mostra ripercorrerà la lunga carriera di Argento, proponendo un viaggio nel cinema cult del maestro del brivido attraverso tutti i suoi film da L'uccello dalle piume di cristallo del 1970, il primo che ha diretto e sceneggiato, ispirato al romanzo La statua che urla di Fredric Brown a Dracula 3D del 2012, libera trasposizione cinematografica del celebre romanzo di Bram Stoker, con centinaia di immagini, fotogrammi e fotografie inedite, installazioni, oggetti di scena, musica, manifesti, costumi, video (con testimonianze di collaboratori e fan illustri), memorabilia, raffronti con le produzioni televisive e cinematografiche odierne. Dario Argento ha imposto uno stile influenzato dal cinema espressionista, dalla Nouvelle Vague, dai film noir e dell'orrore, dai polizieschi, dagli spaghetti-western, da Hitchcock, Antonioni, Fellini talmente innovativo da essere stato variamente omaggiato (De Palma, Tarantino, Carpenter solo per citarne alcuni) e imitato, ma mai uguagliato. Il suo nome è conosciuto oggi internazionalmente per il contributo personale e moderno che, fin dai primi titoli da lui diretti, ha saputo dare al thriller, al giallo e all'horror. Infatti Argento utilizza spesso nei suoi film originali tecniche di ripresa, dà molto importanza ai dettagli e alla fotografia, usa una colonna sonora allucinante, rumori amplificati, ricorre al montaggio alternato, alla scarsità dei dialoghi, all'interesse per le psicopatologie e descrive in maniera dettagliata le azioni dell'assassino che veste quasi sempre con impermeabile, cappello e guanti di pelle. "Con questa mostra - affermano i due curatori Domenico De Gaetano e Marcello Garofalo - intendiamo sottolineare non tanto le valenze horror e sanguinolente del suo cinema, quanto la complessa e raffinata composizione visiva delle immagini che lo pongono come uno dei grandi maestri del cinema contemporaneo, punto di riferimento per generazioni di registi cinematografici fino alle serie televisive di questi ultimi anni. Il legame tra Dario Argento e Torino è molto stretto. In questa città ha girato le sue prime opere e Profondo rosso, da molti considerato il suo capolavoro che è stato recentemente votato come il migliore lungometraggio di finzione girato sotto alla Mole, secondo un sondaggio realizzato dalla rivista Ciak. "Sono davvero felice - dice Dario Argento - che proprio in coincidenza di questo mio importante compleanno, il Museo Nazionale del Cinema di Torino comunichi alla stampa che tra gli eventi previsti nel 2021 ci sia anche questo “omaggio” dedicato al mio cinema. Nel corso della mia carriera, iniziata nell'ormai lontano 1970, ho avuto modo di ricevere diversi riconoscimenti in tutto il mondo, specialmente in Francia, in America, in Giappone; in Italia di recente mi hanno consegnato il David di Donatello alla carriera, ma questo riconoscimento del Museo del Cinema di Torino mi entusiasma in particolar modo, non solo perché si svolgerà in una città da me molto amata, dove ho avuto modo di girare diversi film, ma anche perché è organizzata in una sede prestigiosa, simbolica quale è la Mole Antonelliana. Mi pare un modo straordinario per far conoscere anche ai più giovani l'intero mio percorso cinematografico, accompagnandoli all'interno del mio "cinema idealista", fatto di incubi, sogni e visioni, ove la grigia realtà non è mai arrivata e mai ci arriverà.” Per informazioni: www.torinocittadelcinema2020.it Immagini tratte da: https://tg24.sky.it https://opereprime.org https://ivid.it di Vanessa Varini ![]() Titolo: "Nero a metà" Paese: Italia Anno: 2018 – 2020 Genere: poliziesco, drammatico Stagioni: 2 Episodi: 24 Durata: 50 min (episodio) Regia: Marco Pontecorvo Interpreti e personaggi: Claudio Amendola (Carlo Guerrieri); Miguel Gobbo Diaz (Malik Soprani); Fortunato Cerlino (Mario Muzo); Rosa Diletta Rossi (Alba Guerrieri); Alessandro Sperduti (Marco Cantabella); Margherita Vicario (Cinzia Repola) Trama della prima stagione L'ispettore Carlo Guerrieri viene affiancato nelle indagini da un nuovo collega: il ventottenne Malik Soprani, un vice ispettore di colore appena diplomato all'accademia. Al commissariato lavora anche Alba, medico legale e figlia di Carlo. La presenza di Malik porterà scompiglio all'interno del commissariato, Alba s'innamorerà di lui nonostante sia fidanzata con Riccardo e Carlo, molto protettivo nei confronti della figlia che ha cresciuto da solo, non vede di buon occhio questa relazione. I due comunque saranno costretti a lavorare insieme... Dopo quasi due anni dalla prima stagione, giovedì 10 settembre andrà in onda sul piccolo schermo la seconda stagione di "Nero a metà", fiction poliziesca diretta da Marco Pontecorvo e ideata da Giampaolo Simi con Vittorino Testa. La nuova stagione, composta da sei puntate per un totale di dodici episodi, avrà come protagonisti sempre Carlo Guerrieri (interpretato dall'attore romano Claudio Amendola) che da semplice ispettore diventerà capo del commissariato del Rione Monti, Malik Soprani (Miguel Gobbo Diaz), il poliziotto ribelle e ambizioso originario della Costa d'Avorio (è stato adottato e ha studiato in Italia divenendo cittadino italiano) ora sarà promosso a ispettore superiore e Alba Guerrieri (Rosa Diletta Rossi) figlia di Carlo che lavora all'Istituto di Medicina legale, ora ex fidanzata di Malik, anche se lui cercherà di riconquistarla. Nei nuovi episodi della fiction i tre affronteranno come nella prima stagione diversi casi polizieschi molto attuali, legati alla cronaca, ai pregiudizi e alle difficoltà legate all'integrazione e la diversità (gli stessi pregiudizi che combatte ogni giorno Malik che ha la carnagione scura). Nel cast entreranno anche nuovi personaggi come Marta Moselli (interpretata da Nicole Grimaudo) agente di polizia che ha perso il figlio e che farà breccia nel cuore di carlo, Enea (Eugenio Franceschini) specializzando di medicina legale che s'innamorerà di Alba e Monica Porta (Claudia Vismara), una nuova psicologa.
La prima stagione ha avuto un grande successo, anche le repliche, andate in onda in giugno, sono state molto apprezzate dal pubblico, senza contare che la serie si può guardare ancora oggi su Rai Play e su Netflix che ha diffuso la serie anche all'estero con il titolo "Carlo e Malik". Sicuramente anche la seconda stagione eguaglierà il successo della precedente (nel 2018 la serie ha raggiunto picchi di quasi 6 milioni di telespettatori). Intanto sintonizziamoci tutti giovedì 10 settembre su Rai Uno alle 21:25 per vedere i primi due episodi di "Nero a metà 2"! PER RIGUARDARE LA PRIMA STAGIONE SU RAI PLAY CLICCARE QUI https://www.raiplay.it/programmi/neroameta PER RIGUARDARE LA PRIMA STAGIONE SU NETFLIX CLICCARE QUI https://www.netflix.com/it/title/80216908 FOTO TRATTE DA: https://www.giornal.it https://www.nospoiler.it https://www.ciakgeneration.it
di Matelda Giachi
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Genere: Drammatico
Anno: 2020 Durata: 100 min Regia: Daniele Luchetti Cast: Alba Rohrwacher, Luigi Lo Cascio, Laura Morante, Giovanna Mezzogiorno, Silvio Orlando, Adriano Giannini, Linda Caridi, Francesca De Sapio Sceneggiatura: Daniele Luchetti, Domenico Starnone, Francesco Piccolo Fotografia: Ivan Casalgrandi Montaggio: Daniele Luchetti, Aël Dallier Vega Produzione: IBC Movie, Rai Cinema Distribuzione: 01 Distribution Paese: Italia
Il nuovo film di Daniele Luchetti, ha trovato la sua vetrina nella 77esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, tra i film fuori concorso, ed è stato selezionato come film di apertura di un’edizione speciale, senza precedenti. Ancora in piena era Covid-19, il Festival di Venezia vuole essere, sotto la direzione di Alberto Barbera, il simbolo di una ripartenza, per il mondo, per l’arte e, soprattutto, per il cinema. Una ripartenza tutta italiana.
Tratto dal romanzo di Domenico Starnone, Lacci è la storia dei legami, degli accadimenti, che portano una coppia, Aldo e Vanda, a tenere allacciato un matrimonio finito quella sera in cui lui, in cucina, dichiara: “Sono stato con un’altra”. Aldo e Vanda sono, rispettivamente, Luigi Lo Cascio e Alba Rohwacher, prima, Silvio Orlando e Laura Morante, dopo, in due diverse età della vita. Sono la coppia che si disfa e poi quella che è ancora (o di nuovo) insieme, vittima di un legame che non hanno voluto ma per cui entrambi hanno combattuto, in un reciproco “torturarsi a vicenda”.
Si alternano i due piani temporali ma anche i due punti di vista dei protagonisti: Luchetti muove la macchina da presa a seguire gli stessi episodi da due diverse prospettive, quasi a voler evidenziare le colpe di entrambi, fino a spostarsi completamente sul finale, in cui affida ad Adriano Giannini e Giovanna Mezzogiorno, i figli ormai adulti della coppia, la responsabilità di tirare le fila di quell’intreccio in cui i genitori hanno intrappolato se stessi ma anche loro. Un finale quasi teatrale, fatto di monologhi e scene ad effetto. Forse la parte più finta ma anche più vera di tutta la pellicola in cui, se pur ognuno con la propria personale esperienza, ogni figlio di genitori divorziati può trovare qualcosa di sé.
Tra alti e bassi, un Lo Cascio che riesce a essere sempre centrato nella parte, qualche dialogo che sa di finto, Luchetti porta al cinema una storia amara, una storia umana comune che, a volte, cade quasi nel clichè, soprattutto nello stereotipare i suoi protagonisti. C’è una sorta di morale, di dichiarazione di un credo che non c’è, quello dei figli come motore di riparazione di un rapporto. Un monito ad imparare ad allacciarsi correttamente le scarpe, per non trovarsi a continuare a farlo tutta la vita “come un cretino”. A intrecciare i giusti legami.
Buono, non imperdibile. Voto: 6,5 |
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Maggio 2023
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