Benvenuti alla rubrica di cinema del Termopolio!
Saremo in due a curarla settimanalmente, con lo scopo di poter appagare i desideri da parte di voi lettori nei confronti delle tante ramificazioni artistiche in cui si produce l'universo cinematografico. Da un lato metteremo in luce i contesti alla base della realizzazione dei film, le fonti di ispirazione provenienti dalla realtà così come modelli presi "in prestito" da altre espressioni culturali (un libro, un disco, ma anche un videogioco oppure un disegno). Dall'altro daremo ampio spazio anche ai significativi risvolti sociali derivanti dall'uscita di alcune pellicole, la loro accoglienza dibattuta o meno che sia, e i casi di sviluppo di veri e propri brand legati ad esse. Non mancheremo di approfondire la parte tecnica della decima Musa. Dietro a ogni buon film si nascondono molteplici uomini e donne che lavorano duramente per dare alla luce le loro opere. Selezioneremo le sceneggiature con massimo impegno,scaveremo a fondo tra le regie più intricate. Faremo di tutto per per soddisfare la vostra curiosità. Senza mai mancare di rispetto al grande lavoro che c'è dietro la macchina dei sogni più antica di sempre, quella che riesce a farti viaggiare senza spendere un centesimo, quella che riesce a strapparti un sorriso dopo una pessima giornata, quella stessa macchina dei sogni che vi ha rapito il cuore e rende più spensierate e fantasiose le vostre vite, il grande Cinema insieme a Il Termopolio. Enrico Esposito e Salvatore Amoroso
0 Commenti
Commuove e conquista l’ultima pellicola del regista ‘’operaio’’ Ken Loach che lo ha visto trionfatore della Palma D’oro al Festival di Cannes 2016 . Il film, nelle sale italiane dal 21 Ottobre è un tripudio di giudizi positivi da parte di critica e pubblico.
Reduce da un duro infarto e in via di riabilitazione, il quasi sessantenne vedovo e carpentiere Daniel Blake si trova impantanato nell'inferno della burocrazia. In attesa di inoltrare una complicata (non per colpa sua) richiesta d’ indennità di malattia, l'uomo conosce una madre single con due figli, appena trasferita a Newcastle e in grosse difficoltà economiche. I due si daranno aiuto reciprocamente, in attesa che il gelido sistema amministrativo britannico finalmente si attivi.
Concreto, diretto, veloce come un micidiale cazzotto di un esperto boxeur
Si potrebbe definire così questa pellicola, proprio come è il cinema di Ken Loach. Un autore che non ha mai fatto uno sconto sui contenuti ma li ha sempre accompagnati con l’elegante scioltezza dello stile e la compassione partecipata verso i personaggi/persone di cui racconta. Il film contiene tutto il dolore, la frustrazione e la fame delle innumerevoli persone che il regista e il suo fidato sceneggiatore Paul Laverty hanno potuto vedere coi loro occhi nelle zone industriali inglesi. «Hai fatto il soldato Dan?» «Ho fatto una cosa più pericolosa, il carpentiere!»: tutto il pensiero di Loach potrebbe sintetizzarsi in questa battuta, del resto una delle tante di un film che scorre agile tra le contraddizioni di una società capitalista contemporanea che non è evidentemente solo quella inglese. Difficile parlare di interpreti nel caso del suo cinema, tanto sembra immediato e autenticamente realista il suo filmare, eppure è così. Il protagonista, Dave Johns, è attivo sulle scene dal 1995, soprattutto in tv, ma questo è il suo primo lungometraggio e se la cava perfettamente; un pochino più scafata dei set cinematografici è invece Hayley Squires (Katie), già vista anche da noi lo scorso anno in Una notte con la regina
Un film che è stato già amato dalla giuria di Cannes che lo ha premiato con la prestigiosa Palma D’oro (per lui la seconda, dopo Il vento che accarezza l'erba nel 2006, senza contare quelli della Giuria per Hidden Agenda nel 1990, Piovono pietre nel 1993 e La parte degli angeli nel 2012) e dal pubblico di Locarno e San Sebastian (che lo hanno entrambi valutato il miglior film). I, Daniel Blake è un film crudo, elementare, pulito, potente. Che commuove e fa dannatamente arrabbiare, che riporta il regista operaio di Nuneaton ai temi a lui cari, con un stile asciutto ma sempre essenziale che non concede recriminazioni.
Sono sicuro che lo amerete anche voi, proprio come me, perché è di noi che Ken Loach sta parlando questa bellissima, ultima sua fatica. IlTermopolio vi agura come sempre buon cinema e vi dà appuntamento alla prossima settimana.
Immagini tratte da:
- Locandina: www.OdeonFirenze.it - Immagine1: www.FaCT.com - Immagine2: www.TheGuardian.com - Immagine3: www.stampacritica.org
Un andirivieni di storie e racconti, un libero alternarsi di personaggi, ambienti e tecniche narrative che si intersecano dando voce a sei uomini diversi, accomunati tutti da qualcosa. Anzi, da qualcuno. E quel qualcuno è Bob Dylan che in effetti, come il titolo avverte, non è presente (se non attraverso la propria musica). Eppure nel poeta, come nel profeta, nel fuorilegge, nell’imbroglione, nella star di elettricità e nel cantante ritroviamo qualcosa del menestrello: sei modi di essere uomo e cantautore attraverso il tempo e la storia.
Ma andiamo per ordine e guardiamo un po’ più da vicino i ritratti che si intrecciano febbrilmente insieme con inserti documentaristici (vediamo scorrere le immagini della guerra del Vietnam come pure di Martin Luther King), mantenendo però indipendente il piano contenutistico e le scelte stilistico-formali e permettendo allo spettatore di respirare, tra i tanti frame, altrettante atmosfere: 1959. Woody Guthrie (M. C. Franklin) ha undici anni. È un giovanissimo cantante blues e folk. Almeno così dice di essere. Lui è l’imbroglione. Primi anni ’60, è la volta di Jack Rollens (C.Bale), il profeta. Il menestrello della coscienza della musica folk <<toglie la buccia a quello che vede>>, componendo canzoni-distillato della realtà. Peccato che, all’apice della carriera, decida di sparire dalle scene, diventando pastore. Robbie Clark (H.Ledger), la star di elettricità. Il ventiduenne interpreta Jack Rollens in una pellicola a lui ispirata. Sul set l’incontro con una giovane pittrice parigina, Claire. L’amore. Un matrimonio lungo nove anni, due figlie e le troppe scappatelle di lui. Divorzieranno. Arthur Rimbaud (B. Whishaw), il poeta simbolista. Sotto interrogatorio, risponde con parole che citano Dylan. Non gli piace la parola “poeta”. Si dice agricoltore. Questo fa di lui un essere non fatalista, come invece lo sono l’impiegato o il cassiere. Delizioso l’elenco di “regole per vivere alla macchia” che il poeta propone: 1. mai fidarsi di uno sbirro con l'impermeabile; 2. attenzione all'amore e all'entusiasmo, sono temporanei e facili a fluttuare; 3. quando ti chiedono se ti importa dei problemi del mondo guarda profondamente negli occhi chi te lo chiede: non te lo chiederà di nuovo; 4. e 5. E se ti viene detto di guardare te stesso... non guardare mai 6. mai fare o dire qualcosa che la persona davanti a te non può capire; 7. mai creare niente: verrà male interpretato ti incatenerà e ti seguirà per tutta la vita. Billy the Kid (R. Gere), il fuorilegge. L’amore per la sua città (non vuole sia distrutta per far passare l’autostrada) lo porta a confrontarsi col Commissario Garret, dal quale era riuscito a sfuggire tempo prima. L’avventatezza determina la detenzione in carcere che tuttavia riesce ad aggirare facilmente. Jude Quinn (C. Blanchett), il cantante. Fra tutti, il più somigliante al vero Bob Dylan ed interpretato curiosamente da una donna, Cate Blanchett (vincitrice di numerosi premi tra cui il Golden Globe 2008 come Migliore attrice non protagonista). Artista maledetto, consumato da alcool e droghe, riceve aspre critiche dal proprio pubblico come dai giornalisti in occasione della deriva rock delle proprie canzoni, un tempo folk. Morirà in un incidente in moto. Sei storie, apparentemente slegate l’una dall’altra ma saldamente unite da un filo: Bob Dylan. Ogni personaggio segna un periodo o una tendenza del cantautore: la passione per il folk di W. Guthie e l’abitudine giovanile di crearsi false identità (Woody), le canzoni irriverenti e di protesta e la conversione al Cristianesimo (Rollens), l’amore per la moglie Sara e il successivo divorzio (Clark), l’influsso della poesia simbolista di Rimbaud (Rimbaud), la svolta rock (Quinn), il definirsi fuorilegge ed emarginato e la partecipazione ad un film sul famoso bandito Billy the Kid (Billy the Kid) Stili diversi per storie e momenti diversi. Tantissime le citazioni. Alcune scene strizzano l’occhio ai film francesi. Una tra tutte, la citazione “Cosa c’è per te al centro del mondo?” tratta dal famoso Il maschio e la femmina (1966) di Godard, così come citazioni filosofiche come quella sulla res cogitans cartesiana, tutte pronunciate dalla malinconica pittrice francese Claire. Merita attenzione il bianco e nero nelle storie di Jude e Arthur, i personaggi più maledettamente inquieti e affascinanti. L’autopsia di Jude e un bisturi che incide la sua carne ad inizio film; una camera da presa che ruota intorno ad un imponente crocifisso, verso la fine. Allen Ginsburg e lo stesso Jude, dissacranti, chiedono a Gesù di scendere dalla croce perché rischia di essere ucciso. Questi, solo alcuni dei frammenti più suggestivi e irriverenti presenti nel film.
Psichedelico ed ammaliante, Io non sono qui è il primo biopic ad essere autorizzato come biografia dallo stesso Dylan, pur essendolo in modo volutamente evocativo. Poeta, cantautore, personalità ricca e multiforme di cui si mettono in scena tendenze, visioni, illusioni, utopie, umana disillusione e realtà. Dylan è assente eppure in ogni sequenza e in ogni canzone-da Stuck Inside of Mobile with the Menphis Blues Again ad I want You, passando a Ballad of a Thin Man fino a Positively 4th Street- è più che mai presente.
Da chiederci resta se il geniale e scorbutico menestrello si presenterà a Stoccolma a ritirare il Nobel di cui è stato da poco insignito. <<Andrò se potrò>> ha dichiarato in una recente intervista al Daily Telegraph. Ma questa è già un’altra storia, ancora tutta da scrivere. Immagini tratte da: - Comingsoon.it - sceengoblin.com - Silenzioinsala.com - UniInfoNews.it - film.tv - Silenzioinsala.com - movieplayer.it - refugioantiaereo.com - StanzediCinema.it ![]()
Anno: 2005
Regista: Tim Burton Durata: 74 minuti Genere: animazione, fantastico, musicale. Doppiatori originali: Johnny Depp: Victor Van Dort Helena Bonham Carter: Emily, la sposa cadavere Emily Watson: Victoria Everglot Joanna Lumley: Maudeline Everglot Albert Finney: Finis Everglot Richard E. Grant: Barkis Bittern Tracey Ullman: Nell Van
Nella Londra vittoriana Victor e Victoria (con le voci rispettivamente di Johnny Depp e Emily Watson) sono promessi sposi di un matrimonio combinato, ma si ritrovano sorprendentemente simili, malgrado le disastrose premesse familiari. Victor, pasticcione e insicuro, si ritrova a pronunciare la propria proposta di matrimonio alla donna sbagliata: Emily, una bella morta vivente risorta dall'aldilà dopo che Victor ha infilato l'anello in un ramo secco. Così Victor si ritrova al centro di uno strano triangolo amoroso: legato ormai da un vincolo indissolubile alla sposa cadavere che lo trascina nel mondo dei morti e Victoria, che lo reclama dal mondo dei vivi, ma viene promessa sposa dopo la scomparsa di Victor a Lord Barkis Bittern.
"La sposa cadavere" ha origine da una fiaba europea in cui un giovane intraprende un viaggio per tornare a casa e unirsi alla sua promessa sposa ma l'anello di nozze va a finire sul dito del cadavere di una ragazza assassinata. La ragazza esce dalla tomba per farsi sposare e lui è costretto ad andare nell'aldilà per chiarire la vicenda mentre la sua vera sposa lo aspetta. Tale storia prende spunto da un racconto folcloristico russo del XIX secolo, nel quale si narrava che le giovani donne in procinto di sposarsi venivano strappate dalle loro carrozze e uccise. Il racconto termina con i rabbini che decidono di annullare il matrimonio col cadavere, mentre la moglie vivente giura di vivere il matrimonio in memoria del cadavere. Tim Burton prende questa leggenda e la trasforma con la tecnica dell'animazione stop motion, dopo il precedente successo di "Nightmare Before Christmas", per il quale fu però solo produttore. Il risultato è vero un gioiello d'animazione, inimitabile, dallo stile gotico dark, con una spruzzata horror che ovviamente diverte e non fa paura, un capolavoro di humour, poesia e musiche (curate dal socio di Burton, Danny Elfman) che oscillano tra ironia e malinconia, un mix molto innovativo. In quale altro film il mondo dei morti viene rappresentato vivace e bizzarro, brillante di luce e vibrante di musica allegra mentre il mondo dei vivi è passivo, rigoroso, buio e malinconico?
Una teoria tipicamente burtoniana, in cui Burton considera l'aldilà più vitale del mondo dei vivi. I due mondi vengono rappresentati magistralmente con pupazzi di plastilina animati mediante l'utilizzo della computer grafica. Non a caso il film è stato presentato in anteprima, fuori concorso, alla 62ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia e candidato all'Oscar 2006 come miglior film d'animazione. Da segnalare le fantastiche citazioni dei film, una su tutte : "Ma caro, tu sei morto da 15 anni!" "Francamente, me ne infischio." Una chicca per cinefili, che si divertiranno a rintracciarle nel film.
"La sposa cadavere" è una fiaba gotica sia per adulti che per bambini, che apprezzeranno i personaggi vagamente inquietanti ma divertenti allo stesso tempo, come l'impacciato e pasticcione Victor, la dolce Emily in evidente stato di decomposizione e la povera e sfortunata Victoria. Sarai coinvolto nelle loro vicissitudini, soffrirai per tutti e tre i protagonisti di questo strampalato triangolo amoroso, per due amori uno possibile e uno impossibile perché la sposa è defunta. La conclusione è emozionante e malinconica, un perfetto film di Halloween! Immagini tratte da: http://pad.mymovies.it/ http://www.ondacinema.it/ http://www.fantasymagazine.it/
IlTermopolio questa settimana è orgoglioso di offrirvi l’interessante incontro con la regista vincitrice a Venezia del premio Orizzonti come Miglior Film e la recensione del suo splendido documentario "Liberami".
Questa settimana per la prima volta nella sua storia il Cinema Arsenale di Pisa ha presentato una selezione di pellicole scelte tra le varie categorie della 73’ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Un grandissimo e imperdibile evento che ha permesso di far rivivere al pubblico pisano tutte le forti emozioni che hanno contraddistinto il festival più importante del panorama cinematografico italiano. Non poteva non mancare allora la vera e unica rivelazione di questa Biennale, la pellicola della regista spezzina Federica Di Giacomo "Liberami", con il quale si è aggiudicata l’importante premio Orizzonti come miglior film a Venezia. L’Arsenale ha trasmesso la pellicola in prima visione con una misteriosa proiezione notturna prevista per la mezzanotte e ha invitato la regista a parlare con il pubblico della sua opera e delle forti emozioni vissute durante l’esperienza veneziana. La Di Giacomo con Liberami ha raccontato uno spaccato di Italia molto profondo e ai più sconosciuto. I dati da lei raccolti sono molto interessanti e mostrano come negli ultimi anni il problema degli esorcismi abbia raggiunto dei picchi inimmaginabili in tutto il mondo. IlTermopolio attraverso Salvatore Amoroso ha partecipato all’incontro con Federica di Giacomo avvenuto Lunedì 17, nel quale abbiamo avuto l’enorme piacere di conoscere personalmente la geniale e audace regista che ci ha non solo parlato della sua opera dai contorni unici ma ci ha svelato pure qualche aspetto inquietante vissuto dietro le quinte. Vi lasciamo non solo all’interessante intervista ma anche alla recensione del film Liberami, che caldamente vi consigliamo di vedere perchè è senza dubbio una delle opere più affascinanti e moderne del nostro cinema italiano. Nell’augurarvi una buona lettura ringraziamo come sempre il Cinema Arsenale per la preziosa collaborazione e la gentile disponibilità dell’acclamata regista Federica, donna forte e decisa, un esempio per tutti i giovani registi del domani.
Federica è un piacere conoscerti, innanzitutto cosa ti ha spinto a girare un documentario sul mondo dell’esorcismo? Guarda mi è sempre piaciuto come tema. Le psicopatologie della vita quotidiana mi interessano parecchio, soprattutto quando riesco a trovare dei personaggi o delle storie che rappresentano al meglio quello che noi tutti nascondiamo interiormente e che potrebbe venir fuori in qualsiasi momento, a prescindere dall’estrazione sociale, dal livello culturale o dalla propria situazione economica. Quando ho letto del corso di formazione per preti esorcisti ho subito pensato che fosse una cosa interessante e affascinante proprio perché c’era un contrasto interno, come si fa ad essere formati per affrontare il diavolo? E quindi da lì sono iniziati i nostri studi e le nostre ricerche ma la domanda forte che mi ponevo insieme ad Andrea Senguigni, con cui ho scritto la pellicola, era se potevamo farci un racconto. Il tema era talmente forte e talmente monopolizzato da tutta la finzione cinematografica e non solo degli ultimi anni che rischiavamo di uccidere in partenza qualsiasi possibilità narrativa. Quindi ci siamo più volte chiesti come fare a non scadere nell’ordinario e piano piano è venuto fuori un lavoro di scrittura, capendo finalmente come potevamo muoverci.
É evidente che i presunti "posseduti" nella tua opera soffrono di disturbi psichici o dipendenze da droghe, è questo per te il vero male da cui guardarsi oggi?
Io penso che al di la di quello di cui loro soffrono, il tipo di percorso spirituale che scelgono d’intraprendere è un qualcosa che aiuta moltissimo le persone. Questo percorso spirituale negli anni si è perso ed è diventato sempre più difficile da trovare. É chiaro che c’è un problema di senso, cioè non è solo una questione di nevrosi della società moderna ma è anche una questione di ricerca dell’origine del proprio malessere, per cui tu non solo riesci a dare un nome a quello che hai ma addirittura trovi qualcuno che ti possa curare, sei tu che trovi il senso del perché stai male. Quello che mi piaceva di quest’argomento è che appunto lascia molte ambiguità sul tema della malattia e quindi ti costringe a chiederti che se anche fossero solamente problemi psicologici, la psicologia o la psichiatria riuscirebbero a darci effettivamente una risposta? O comunque abbiamo gli strumenti adatti per affrontare malesseri che non sono di natura fisica? É quindi un tema che apre molteplici domande più che dare delle risposte. Hai trovato delle difficoltà a comunicare con gli esorcizzati o i preti che compaiono nella pellicola? Che tipo di persone sono? No al contrario, secondo me noi abbiamo incrociato un momento storico particolare in cui la questione sta proprio esplodendo. La maggior parte del lavoro ci tengo a dire che lo fanno i preti di strada, quelli che per capirci fanno il lavoro sporco sono proprio loro. Quasi come una vera e propria assistenza sociale perché lavorano duramente dalla mattina alla sera. Superata una certa diffidenza e dopo essersi resi conto che noi eravamo persone serie per loro è diventato abbastanza naturale a un certo punto parlare di queste problematiche quotidiane, proprio perché per loro è una cosa normale, che fa parte della loro routine. In un certo senso i preti attraverso noi cercavano di ottenere più sostegno dall’esterno, proprio per avvicinare le persone che magari non credono a questo genere di problemi. Secondo la dottrina cattolica il più grande nemico è proprio la mancanza di fede ed è quello che porta poi le persone a rivolgersi ai maghi o a stare male, quindi aprirsi a noi non solo è stato abbastanza naturale, certo non per tutti, solo per quelli che hanno trovato il coraggio. I disturbati sono persone normalissime, questo è un concetto fondamentale da capire, sono persone con cui andavamo a pranzo e a cena, con lo stesso Enrico (il ragazzo tossicodipendente) uscivamo molto spesso. Sono persone che nella vita quotidiana hanno dei grandissimi momenti di tranquillità e di ironia, tornano dall’esorcismo e vanno mangiare come se niente fosse, riprendono le loro normali attività.
Recentemente ho letto che dopo un esorcismo sei andata a prendere una granita con una ragazza posseduta? Ce lo confermi?
Sì (ride), guarda durante l’esorcismo raramente ho pensato che fosse finto, bisogna considerare che l’esorcismo è un rito e come tutti i riti funziona solo se fatti in un certo modo. Quello che notavo era che effettivamente i posseduti non solo si dovevano riprendere mentalmente, ma anche fisicamente. Erano necessari cinque-dieci minuti per poter riprendere a parlare o a discutere normalmente, c’è chi addirittura rideva e ritornava completamente alla normalità. É li che è nata, dopo aver visto compiere questi riti, la forte voglia di riuscire a raccontare questi episodi. Ci siamo resi conto che non stavamo raccontando più qualcosa di anormale, in quel momento stavamo raccontando qualcosa che stava succedendo di fronte ai nostri occhi. Una problematica che possiamo riscontrare in tutto il mondo. Il rapporto basato sulla sincerità che ho avuto con loro mi è servito per apprendere e mostrare il mondo delle possessioni. Come trascorrevano le giornate insieme a padre Cataldo? La prima volta andai da sola e una delle prime cose che pensai fu che mi trovavo in una specie d’inferno. Alla prima messa a cui assistetti notai subito che la prima parte era generalmente quella normale poi seguiva la seconda parte decisamente più imperativa dove i disturbati si manifestavano in ogni lato della sala, uno spettacolo incredibile, non sapevo cosa pensare. In seguito i posseduti venivano trasportati in un’altra stanza e la situazione peggiorava sempre di più, inutile dirvi che è stato scioccante. Piano piano inizi a farci l’abitudine e soprattutto inizi a frequentare le chiese, devo dire anche se non sono cattolica che le chiese sono dei luoghi interessanti, in cui c’è una forma di ricerca e anche di accoglienza. Pian piano mi sono pure completamente abituata alla figura di padre Cataldo, che è diventato una specie di faro per me. Mi ha conquistata la sua irruenza, il suo spirito d’improvvisazione, con lui le messe infatti non erano mai uguali ma variava quotidianamente. É stato piacevole e bello essere trasportati dalla sua umanità e dalla sua incredibile schiettezza.
La schiettezza di padre Cataldo si percepisce fin da subito e a tal proposito vorrei chiederti del suo esorcismo telefonico, una scena che ha fatto sorridere molti.
Quell’occasione tra l’altro è stata la prima volta in cui l’ho incontrato. In quella telefonata Padre Cataldo stava effettuando un esorcismo ad una sua affezionata fedele che lo chiamava in continuazione. La signora è di Acireale, città dove il prete esercitava anni prima. Quando ho visto questa scena ho subito pensato che era la sintesi perfetta del film, un esorcismo classico però fatto al telefono. Padre Cataldo mi aveva dimostrato che si era completamente calato nel contemporaneo. E ovviamente risulta anche un po' comica perché lui alla fine le augura pure buon Natale (ride). Tra l’altro, ti racconto questo aneddoto, abbiamo pure tentato di registrare le telefonate visto che lui ripeteva queste scene continuamente, perché se no sembrava veramente assurdo, quasi finto e questi strumenti ci siamo accorti che non hanno funzionato, come molte cose storte legate sempre all’audio. Succedevano delle cose strane, difficili da spiegare. Spesso quando tentavamo di superare un certo limite, cioè registrare più da vicino, l’audio saltava sempre. Comunque la voce che potete sentire nel film ribadisco che è reale.
Cerchi di cogliere i diversi aspetti dell’essere umano e la tua pellicola è molto contemporanea, che tipo di messaggio vuoi trasmettere con Liberami?
Onestamente non penso mai al messaggio che devo trasmettere attraverso un film, cerco solo di raccontare una storia. Il mio obbiettivo principale è quello di suscitare delle domande agli spettatori e che il film che ti lasci qualcosa, perché molto spesso i film scorrono velocemente e il giorno dopo non ti ricordi assolutamente nulla. Dobbiamo riflettere sulle persone che sono vicine a noi, che soffrono e solo perchè hanno un pensiero diverso o un’altra fede non significa che non bisogna considerarle. Invece bisogna riuscire a raccontare questo tipo di storie, le storie vere che provengono da una profonda parte d’Italia, sono quelle che regalano gli spunti più interessanti. É capitato pure con gli altri film che ho girato, come quello su Matera e il caso delle guide abusive. Tutti mi chiedevano il perché non se ne fossero mai accorti, nonostante il problema fosse proprio sotto il loro naso. Forse è proprio perché non si parla abbastanza di questi casi. Quando hai finito di girare il documentario di cosa ti sei liberata e che cosa hai appreso nello stesso tempo? Guarda innanzitutto mi sono liberata di un sacco di paure, perché per realizzare questo film abbiamo dovuto sfidare numerose difficoltà. A partire dalla paura di raccontare questa storia, la paura di non trovare i produttori, di affrontare e filmare la sofferenza. É molto dura filmare la sofferenza, non solo per una questione personale, ma anche perché rischi di non trovare il giusto modo di farlo. Ho rischiato grosso girando con persone nuove, ad esempio ho lavorato con un montatore nuovo. Insomma ho voluto osare e diciamo che di conseguenza ho esorcizzato un bel po di paure, alla fine posso dire che è andata bene. Mi ha dato consapevolezza.
Il traguardo raggiunto a Venezia te lo aspettavi?
No e ci ha fatto tantissimo piacere. Ci ha dato tanta consapevolezza ma ora è arrivata la parte più tosta perché è diventato davvero difficile uscirne. Dopo questa notizia di Venezia è come se il film si fosse impossessato di noi, non riusciamo a lasciarlo andare però è bello perché comunque sento delle bellissime reazioni, sento che le persone si interessano e sono molto colpita da tutto questo. ‘’Liberami’’ La recensione La recensione del documentario vincitore del Premio Orizzonti come miglior film che ha per protagonista Cataldo Migliazzo, l’esorcista più ricercato della Sicilia.
Venerdì notte alle 00:00 il cinema Arsenale di Pisa ha proiettato Liberami, il documentario italiano più interessante degli ultimi anni, vincitore come miglior film all’ultima edizione di Venezia nella sezione ‘’Orizzonti’’. Federica Di Giacomo, la regista della pellicola, ci ha messo ben tre anni per realizzare quest’opera e attraverso i suoi occhi vivaci e curiosi ma soprattutto rispettosi ci ha mostrato il mondo di padre Cataldo Migliazzo, appartenente all’ordine francescano che da 15 anni opera a Palermo come esorcista. La bellezza di questo documentario risiede senza dubbio nella sua essenzialità.
La Di Giacomo non commenta, non giudica nè banalizza in maniera ironica, come spesso accade quando si affrontano questi temi, gli esorcismi di padre Cataldo. Nella sua opera lo spettatore può ammirare con sguardo vero e disincantato la quotidianità di una comunità di fedeli, i quali soffrono di vari disturbi, per lo più di natura psichica e che si rivolgono alla chiesa perché sentono che la loro anima sia stata contaminata dal maligno.
Lo spettatore dovrà fare i conti con la disarmante naturalezza con cui l’anziano parroco svolge il suo lavoro, ovvero schiacciare il demonio, persino al telefono. Già perché è memorabile la scena in cui padre Cataldo esorcizza telefonicamente un fedele posseduto che sbraita e lo insulta più volte. La sensazione che si prova guardando queste immagini è di forte stupore, non ci si crede al numero di persone che giornalmente affolla la sacrestia e che chiede di essere aiutata. Le scene girate durante la messa sono inquietanti e tragicomiche, i posseduti si agitano, fanno strani versi e i familiari faticano a contenere i loro cari, in preda al presunto gioco del male.
I minuti della pellicola scorrono velocemente ma le inquadrature della regista incalzano sugli occhi dei protagonisti ed è lì, proprio in quelle profonde immagini, che si possono cogliere i veri dubbi e le inquietanti domande che man mano ci attanagliano. Enrico, Gloria, Anna e gli altri "posseduti" sono vittime in realtà di una società fortemente malata, figli disturbati del nostro secolo, forse il più buio della storia se lo si analizza per bene. Non importa da che estrazione sociale vengano, dal tipo di educazione che hanno ricevuto, dalle varie esperienze di vita vissute, sono tutti uniti da una grave forma di esibizionismo psicotico, sentono il bisogno di urlare al mondo il loro disagio, vogliono semplicemente trovare una soluzione ai loro problemi.
Questa è la vera forza di Liberami. Non cerca una soluzione, non schernisce i suoi protagonisti, piuttosto racconta con occhio laico e trasparente uno spaccato della nostra società, un fenomeno in continua espansione come si può leggere dalle didascalie conclusive, rilegato non solo nel sud Italia ma in tutto il mondo.
Immagini tratte da: Locandina: www.mymovies.it Immagine1: www.LaRepubblica.it Immagine2: www.comingsoon.it Immagine3: www.farefilm.it Immagine4: www.movietele.it Fotografie Intervista: Proprietà di Salvatore Amoroso
Chi, almeno una volta nella vita, non ha sognato di volare? E magari di diventare astronauta? Samantha Cristoforetti è una donna prima ancora di essere un ingegnere e un pilota dell’aeronautica militare. Lei, a volare ci è riuscita, stabilendo peraltro il record femminile di permanenza nello spazio con ben 199 giorni consecutivi in orbita, oltre ad essere la prima cosmonauta donna italiana.
Presentato in anteprima al Festival del Cinema di Roma 2015, il film racconta i mesi antecedenti il decollo nello spazio del 23 novembre 2014 dal Cosmodromo russo di Bajkonour, e lo fa senza mai annoiare, attraverso la voce della stessa Samantha e le immagini delle varie attività che ha svolto nel corso dei mesi precedenti il lancio in orbita, fornendoci un ritratto a tuttotondo della donna e dell’astronauta. Le domande o le osservazioni che attengono il rapporto dell’uomo con lo spazio, il desiderio prometeico di volare e un accenno ad interrogativi filosofici e accattivanti, come pure taluna riflessione poetica, sono riservati alla voce acusmatica di Giancarlo Giannini che interviene a più riprese nell’arco degli 83 minuti mentre immagini celestiali della nostra Terra vista dall’alto incantano i nostri occhi. Come impiegano il loro tempo gli astronauti nello spazio? Come fronteggiano un’avaria o un’emergenza? Cosa portano nello spazio? O ancora, di cosa si nutrono? E per i bisogni fisiologici? Come reagisce il corpo all’assenza assoluta di gravità? Molte sono le curiosità che vengono svelate e molti i quesiti che possono trovare risposta attraverso il docufilm, per voce di Samantha e talvolta anche attraverso il volto dell’astronauta palermitano Luca Parmitano, che la macchina da presa ci mostra mentre fluttua in assenza di gravità. Intriganti le ambientazioni della pellicola: i cosmonauti hanno l’obbligo di addestrarsi per almeno 5-6 ore nei mesi precedenti le missioni e per questo la NASA ha riprodotto fedelmente presso Houston la stazione spaziale internazionale; inoltre, sfruttando le proprietà dell’acqua all’interno di enormi piscine, gli astronauti si allenano indossando tute pressurizzate, come se fossero già nello spazio, abituandosi progressivamente alla riduzione di mobilità. Accanto al volto di astronauta, quello di donna. Samantha guida sicura sulle grandi autostrade americane, si reca dalle amiche Mery e Stacey per fare aperitivo, si emoziona prima del lancio salutando i genitori e gli amici da dietro un vetro (prima del lancio è obbligatoria una quarantena di due settimane), ci parla della sua infanzia in un piccolo paesino di montagna e di quando, guardando le stelle, avesse provato il desiderio di volare e di esplorare l’universo. Il sogno di Samantha si è realizzato e adesso desidera condividerlo il più possibile, portandolo avanti anche per coloro i quali è e rimarrà tale. La vediamo, sul finire della pellicola, di ritorno dalla missione Futura mentre esce dal Soyouz, decisamente provata ma felice. Addestramenti lunghi e faticosi, adrenalina, coraggio, determinazione e forti emozioni le hanno permesso in quei lunghi giorni di trasformarsi in una creatura dello spazio, realizzando insieme al team un vero e proprio avamposto dell’umanità. Jurij Gagarin sosteneva che gli uomini possono addestrarsi a tutto ma si chiedeva, retoricamente, se fosse possibile prepararsi alla meraviglia. E osservando l’espressione di Samantha e le immagini che lei ha avuto la fortuna di vedere con i propri occhi, Jurij aveva sicuramente ragione, non saremo mai preparati a questa infinita bellezza.
Immagini tratte da:
- astrosamantha-ilfilm.it - CorriereUniv.it - iodonna.it - da vitatrentina.it - unadonna.it; Vanityfair.it
Nel 1961 la scrittrice Pamela Lyndon Travers (Emma Thompson) viaggia da Londra a Hollywood per incontrare Walt Disney (Tom Hanks) e discutere del desiderio di realizzare una trasposizione cinematografica di "Mary Poppins", best seller pubblicato dalla Travers nel 1934. Ossessionato dalla promessa fatta alle sue figlie, Mr. Disney sogna di realizzarne un musical animato con pinguini animati e spazzacamini ballerini. Disney, invece, si ritrova di fronte ad una donna tosta, testarda e alquanto bisbetica, con le idee ben chiare sugli intenti commerciali del progetto, che non vuole cedere a Disney ed odia i cartoni animati. Durante il suo soggiorno in California la Travers comincia a riflettere sulla sua infanzia difficile vissuta in Australia, che ha posto le basi per l'ispirazione dei personaggi di mister Banks e Mary Poppins e inizia a cambiare idea... Come simboleggia la locandina del film, la signora Travis e Walt Disney sono gli artefici dei due miti cinematografici più amati dei bambini di tutto il mondo, la tata Mary Poppins (interpretata da Julie Andrews) e Topolino, ma sono persone opposte anche se solo in apparenza. In realtà sono molto simili e si uniranno per creare uno dei film più celebri di sempre. Il backstage del film, però, non è stato tutto rose e fiori. Da vent'anni Disney provava ad acquistare i diritti di "Mary Poppins" perché aveva fatto una promessa alle sue figlie, da altrettanti anni la Travers resisteva perché aveva fatto una promessa a suo padre. Infatti "Saving Mr. Banks " non é solo la storia di come Mary Poppins dalle pagine di un libro é approdata sul grande schermo, ma è la storia di una donna tormentata e sofferente, che ha avuto una famiglia problematica (vedi i flashback che raccontano l'infanzia di Pamela in Australia) e che inventando Mary Poppins e donando una nuova vita all'amato padre ritrova la serenità perduta. Mary Poppins è la zia Ellie arrivata dal nulla per salvarli da una madre depressa e un padre amato ma troppo fragile, capace solo di viaggiare con l'immaginazione e la fantasia.
"Saving Mr. Banks" è un film divertente ed emozionante, commovente, zuccheroso ma non melenso, con immagini allegre come le musiche (nomination all'Oscar per la miglior colonna sonora di Thomas Newman), recitato benissimo da tutto il cast, tra i quali spiccano i bravissimi Emma Thompson nei panni dell'astiosa Pamela, Paul Giamatti nel ruolo dell'autista, Tom Hanks, il grandissimo Walt Disney e Colin Farrell il padre problematico. Ma è sopratutto la straordinaria coppia Hanks-Thompson il fulcro del film: i due si scontrano, litigano, battibeccano ma senza annoiare mai grazie al tono ironico dei loro dialoghi. Un film consigliato non solo ai tanti fans di Mary Poppins, ma a tutti coloro che vogliono conoscere la storia della tata volante sotto un nuovo aspetto, perchè come molti film Disney le storie vengono attinte dalla realtà.
Immagini tratte da:
- www. media.cineblog.it - www. mr.comingsoon.it - www.familycinematv.it
La pellicola candidata per il Cile nella corsa agli Oscar arriva nelle nostre sale. Geniale e innovativa (non)biografia che conferma il talento del cineasta sudamericano.
Sul finire degli anni ’40 la Guerra Fredda arriva in Cile. Il governo di Videla, politico rigido e eccessivamente autoritario minaccia la libertà d’espressione del paese. Pablo Neruda (Luis Gnecco) oltre ad essere un premio Nobel e uno dei massimi esponenti della letteratura del’900, in quegli anni tumultuosi è comunista e senatore. Ormai saturo del pesante clima politico, il poeta decide di non appoggiare più l’attuale governo e lo denuncia con parole sferzanti, scatenando l’ira di Videla che ordina l’immediato suo arresto. Pablo è costretto a fuggire, aiutato da alcuni uomini del suo partito e dall’inseparabile moglie, l’artista Delia del Carril (Mercedes Moran). L’incarico di catturare il poeta viene assegnato all’ispettore Oscar Peluchonneau (Gael Garcia Bernal). Tra i due comincerà un inseguimento affascinante, intimo e avventuroso, nel quale il poeta rivoluzionario scriverà una delle sue opere più significative ovvero ‘’Canto General’’.
Sceglie un titolo più che essenziale il cineasta Pablo Larrain per il suo nuovo film, uscito il 13 Ottobre nelle sale in Italia e presentato fuori concorso nell’ultima edizione di Cannes. Il trentenne regista torna a raccontarci il suo Cile dopo le sue prime tre pellicole ma stavolta si diverte a mescolare insieme cinema e poesia, un connubio perfetto che gli consente di portare sullo schermo un ‘’falso biopic’’, come ama definirlo Larrain. I fatti storici citati sono tutti veri ma è il tocco magico del regista che rende il film unico nel suo genere. Larrain immagina un Neruda assai fisico, geniale, poetico ma a volte brutale che si scontrerà in un sofisticato gioco a due con il commissario.
Come sfondo a questo duello, un Cile rivoluzionario, dalle sfumature filosofiche, che fornisce la perfetta cornice visiva per un splendido racconto. Sono semplicemente stupende le inquadrature delle Ande innevate e insieme al montatore, il francese Herve Schneid (premio Cesar nel ’92), Larrain si esalta, spezzando spesso la continuità del filo narrativo per sorprenderci con le sue mai banali inquadrature e con i dialoghi, sempre interessanti, che mantengono alta la tensione della pellicola e che portano lo spettatore in più posti, fisici o immaginari, come fa la poesia del resto. Uno dei dialoghi più significativi del film è quello che il futuro premio Nobel ha con una cameriera, è lì che possiamo notare tutta l’ammirazione che il cineasta cileno nutre nei confronti di Neruda. Larrain ci mette tutto se stesso, ci mette grande passione e tutte le conoscenze tecniche a sua disposizione per confezionare un omaggio a uno dei personaggi più imponenti della nostra cultura, che a sua volta ha messo sangue e passione nelle sue opere.
La sceneggiatura di Guillermo Calderon è forte e dinamica, spazia dal road movie, quando il protagonista è costretto a scappare, al sentimentale, come quando la moglie Delia chiede a Pablo di declamare i suoi versi con voce poetica, per finire invece con tono solenne ed esistenziale. Gli attori giocano un gran ruolo e l’interpretazione di Luis Gnecco è assolutamente da lodare, il regista ha la geniale intuizione di affiancarlo all’ormai veterano Bernal, i due attori sono ormai una coppia ben affiatata, già ammirata nella pellicola NO – I giorni dell’arcobaleno. Neruda è un film che non potete perdere, un viaggio complesso ma bellissimo, un’opera completa sotto tutti i punti di vista.
Pablo Larrain anche questa volta non si smentisce ma piuttosto conferma la sua candidatura tra i migliori registi in circolazione. Non è da tutti concepire un film come una poesia, in quest’atto coraggioso dimora la genialità di un artista che è stato evidentemente toccato dalle opere dell’eclettico poeta. Quando gli è stato chiesto di registrare la pellicola alla Quinzaine a Cannes, Pablo ne era onorato ma non era riuscito a indicarne il genere, campo obbligatorio da compilare, chiamò allora con tutta calma il festival e insistette perchè quella casella restasse vuota dicendo: ‘’semplicemente perchè Neruda è un Noir, una black comedy, un road movie, un western.
Un film su Neruda non puoi metterlo in una scatola, deve viaggiare libero nella sua poesia’’. Questo è Pablo Larrain, regista anticonvenzionale che ha conquistato i nostri cuori con opere vere, che giocano con le problematiche attuali. Un regista che non ha paura di osare e che merita sicuramente riconoscimenti significativi per il duro lavoro dietro alle sue opere. Vi invito come sempre a guardare la pellicola in sala e rinnovo il nostro appuntamento cinematografico alla prossima settimana, come sempre buon Cinema a tutti dalla redazione del Termopolio.
Link Immagini:
-Locandina: www.trovacinema.it -Immagine1: www.Theguardian.com -Immagine2: www.movieplayer.it -Immagine3: goodmorningliob.blogautore.espresso.repubblica.it -Immagine4: www.capital.cl -Immagine5: blog.hovogliadicinema.it
Una Parigi immobile, quasi incantata. Boulevards grandi e vuoti, l’aperta e lussureggiante campagna, un giardino, un tavolo, due sedie e Perfect Day di Lou Reed. Un uomo e una donna conversano in una assolata giornata d’estate, in cui possiamo ascoltare il fruscio delle foglie mosse delicatamente da un vento leggero. È la luce scintillante dell’estate che divide i due da colui che è l’autore delle loro discussioni: nel grigiore della casa le cui finestre si aprono sul giardino, uno scrittore, di fronte ad una macchina da scrivere, cerca di condensare idee, immagini e parole attorno ai suoi personaggi.
Les beaux jours d’Aranjuez di Wim Wenders, in concorso per il Leone d’oro al Festival di Venezia 2016, è ispirato alla pièce teatrale del 2012 Die schönen Tage von Aranjuez di P.Handke. Distribuito al momento in lingua francese, sono stati previsti i sottotitoli in italiano. La pellicola è in 3D.
Un uomo e una donna, al di là del tempo e della storia, in un giardino. Sono fermi, come il paesaggio che li accoglie e si rivolgono domande l’un l’altro. Anzi, inizialmente è l’uomo che chiede alla donna. Dallo scambio emergono visioni poetiche, rarefatte e mistico-sentimentali delle tappe più importanti della vita della donna. Il primo amore, il sesso, il rapporto con gli uomini, quello con le donne, il concetto di amore, la serietà del divertimento: tutti temi toccati, sebbene non attraverso la nitidezza di un pensiero razionale, ma quasi attraverso un flusso di coscienza, un “effluvio” sognante di ricordi ed immagini, in cui spesso si contraddice, rielaborando o ritrattando quanto afferma. Allegoricamente si tratta del racconto dei giorni d’estate della vita: ricordare è in un certo senso immedesimarsi nuovamente in sensazioni fugaci e lontane nel tempo, razionalmente poco comprensibili e quindi anche poco cristallizzabili in significati univoci. In questo senso appare consequenziale l’impossibilità di una completa chiarificazione dei contenuti, alla donna stessa come agli spettatori in sala, con il risultato che si rimanga alquanto disorientati di fronte alla vaghezza metaforica del registro e all’inquieto turbamento che vibra attraverso l’animo della donna.
Il cambio di canzone al jukebox da parte dello scrittore, provato e cupamente ispirato dalle sue visioni, segna la scelta di un nuovo tema nel dialogo e contribuisce, seppure in minima parte, ad alleggerire l’atmosfera che inevitabilmente via via si appesantisce. Il giardino diventa una sorta di estroflessione dell’animo dello scrittore, di cui l’accecante luce costituisce solo un espediente letterario che si aggancia con il ricordo dei giorni d’estate trascorsi dalla donna, ormai matura.
È interessante notare come, verso la conclusione della pellicola, dal piano che attiene il rapporto del proprio io con l’Altro, si passi alla ricerca del proprio sé: <<dove si nasconde ciò che è amabile in me? Dov’è il mio moi?>>, tematica questa - assieme all’inquietudine, al viaggio come ricerca di sé e alla scoperta della diversità- cara al regista di La lettera scarlatta (1973), Paris-Texas (1984), Il cielo sopra Berlino (1987), solo per citare alcuni dei capolavori di Wenders.
L’incapacità di aderire alla crudezza della realtà e il coltivare una multiforme e variegata sensibilità interiore sono i tratti che lo scrittore proietta sui suoi personaggi, di cui i quesiti rimangono peraltro irrisolti. Il ritmo, molto lento (ad eccezione di qualche scossone della camera da presa, generalmente ferma, sul finale), non facilita la stabilità attentiva dello spettatore. La cura e la ricercatezza degli ambienti, come le inquadrature sul verde della campagna, rendono la pellicola esteticamente impeccabile. Un film filosofeggiante, intellettualistico che non esaurisce probabilmente la pienezza dei significati ad una prima visione.
Immagini tratte da:
-Cineblog.it -Cultframe.it -Urbanpost.it -lesbeauxjoursdaranjuez-lefilm.com
Walter Mitty (Ben Stiller) è un timido, bravo e precisino archivista fotografico della famosa rivista Life Magazine. Ma anche lui come tutti gli umani ha un difetto: ha una fervida immaginazione e ogni tanto esce dalla sua realtà e s'inventa avventure fantastiche con la ragazza che gli piace, Cheryl (Kristen Wiig) una sua collega alla quale, però, non è mai riuscito a rivolgere la parola. Quando l'avvento della tecnologia prevale e si decide di passare dal cartaceo al digitale e di licenziare gran parte del personale, Mitty non riesce a trovare un negativo inviatogli dal maestro Sean O’Connell (Sean Penn) con il quale ha per lungo tempo collaborato pur senza averlo mai conosciuto, che deve essere pubblicato sull'ultima cover della rivista. Quindi spinto anche dall’appoggio di Cheryl, decide di seguire le tracce di O’ Connell nei più avventurosi angoli del mondo come la Groenlandia e l'Himalaya.
Dopo "Giovani, carini e disoccupati", "Il rompiscatole", "Zoolander" (che con gli anni è diventato un vero e proprio cult) e "Tropic Thunder", Ben Stiller torna dietro la macchina da presa per realizzare la trasposizione di un breve racconto del vignettista ed umorista americano James Thurber, "I sogni segreti di Walter Mitty", già portato sullo schermo da Norman McLeod nel 1947. "I sogni segreti di Walter Mitty" è un viaggio alla ricerca di se stessi, per continuare a sognare ad occhi aperti ma diventando padroni della propria vita come accade a Walter, dopo il viaggio che lo conduce ad una ricerca interiore trovando la sua vera personalità: sognando di essere un eroe poi è costretto a diventarlo veramente. Nel film il registro serio\comico e il digitale che prevale sull'analogico si fondono spesso, ma soprattutto sono il sogno e la realtà ad imporsi, come quando Mitty incontra finalmente Sean O'Connell sui monti dell'Afghanistan, fra guerriglieri e talebani. Ma il fotografo interpretato da Sean Penn (sempre un attore eccellente nonostante l'età che avanza) è interessato solo a fotografare finalmente il rarissimo leopardo delle nevi; e quando il felino compare finalmente nell'obiettivo, O'Connell decide di non scattare, perchè ciò che è veramente bello non può essere catturato, ma deve essere semplicemente osservato senza l'interposizione dell'obiettivo della macchina fotografica. Oppure quando Cheryl appare per magia in Groenlandia, cantando 'Space Oddity' di David Bowie e spingendo Walter a un atto di coraggio estremo! I protagonisti del film non sono solo Walter Mitty (interpretato da un bravissimo Ben Stiller, meno comico del solito ma più espressivo grazie alla sua mimica) e la meraviglia di sognare ad occhi aperti, ma anche la fotografia dei paesaggi in cui è ambientato il film. La bellissima New York, l'Afghanistan e la natura selvaggia ed incontaminata della Groenlandia che regala delle scene davvero fantastiche che si possono ammirare solo nei documentari. Film per inguaribili sognatori di tutte le età, perché i sogni si avverano se ci credi!
Immagini tratte da:
http://cloud.mymovies.it/ http://www.experiencefilm.com/ . http://images.vogue.it/ |
Details
Archivi
Giugno 2023
Categorie |