PAESE: Stati Uniti
ANNO: 2017 GENERE: azione, supereroi, thriller STAGIONE: 1 EPISODI: 13 DURATA: 60 min IDEATORE: Steve Lightfoot REGIA: Tom Shankland, Andy Goddard, Kari Skogland, Dearbhla Walsh, Jeremy Webb, Antonio Campos, Marc Jobst, Jimi O’Hanlon, Kevin Hooks, Jet Wilkinson, Stephen Surjik SCENEGGIATURA: Steve Lightfoot, Dario Scardapane, Michael Jones-Morales, Christine Boylan, Bruce Marshall Romans, Felicia D. Henderson, Angela LaManna, Ken Kristensen ATTORI: Jon Bernthal, Ben Barnes, Ebon Moss-Bachrach, Amber Rose Revah, Deborah Ann Woll, Daniel Webber, Jason R. Moore, Paul Schulze, Jaime Ray Newman, Michael Nathanson MUSICHE: Tyler Bates PRODUZIONE: Marvel Television, ABC Studios Sul grande come sul piccolo schermo, l’inarrestabile Marvel continua ad infittire le ambiziose trame del Cinematic Universe, sempre più ricco di personaggi e di avventure. Da questo colossale progetto, promosso e divenuto realtà grazie al guru degli Studios, Kevin Feige, nasce un crescente desiderio di creare interconnessioni tra i diversi scenari e supereroi. In questo mondo in cui l’attenzione si sta spostando gradualmente sulla spettacolarità della messa in scena, le personalità e i ruoli di ogni personaggio diventano sempre meno sfumati. Il grande pericolo di The Defenders, approdato su Netflix lo scorso agosto, era proprio quello di inibire i potenziali dei 4 supereroi ‘urbani’ della Grande Mela. L’esperimento si piò dire riuscito anche se non tutti gli appassionati sono rimasti folgorati dal risultato. È cresciuta, di conseguenza, l’attesa per l’altra serie Marvel del 2017, dedicata a una figura che in poche apparizioni ha saputo conquistare il pubblico: The Punisher. Il Punitore, all’anagrafe Frank Castle, con il suo affascinante scontro con il Diavolo Rosso di Hell’s Kitchen nella seconda stagione di Daredevil, ha catalizzato l’attenzione grazie, soprattutto, all’unicità della sua complessità. È un giustiziere senza scrupoli, mosso dall’ira e dalla vendetta pura: un personaggio estremamente e moralmente negativo. La figura di Frank, tuttavia, non è così bidimensionale. Il suo passato, formato da importanti perdite e cicatrici, è incredibilmente profondo e, contro ogni morale, sembra quasi giustificare le sue azione. Il potere del personaggio risiede, infatti, nel forte contrasto tra queste due forti anime, un binomio che non lascia indifferenti ma che, forse, su un numero maggiore di episodi, potrebbe stancare. Tra i cantieri e i grattacieli di New York si snodano le vite dei reduci delle più recenti guerre in Medio Oriente, figli trascurati di una società in cui la supremazia e il controllo sono gli unici valori per cui sacrificare ogni aspetto della propria vita. Frank è uno di loro e, dopo il brutale assassinio della sua famiglia, cerca nella vendetta le sue risposte. Il suo migliore amico, Billy, dopo la guerra ha fondato una compagnia militare privata di successo. Il veterano ed ex-collega Curtis aiuta i reduci a reinserirsi in una società che non riconoscono. Con un riconoscibile e autentico mix tra action e thriller psicologico, la serie inizialmente mette in crisi ogni convinzione: lo sviluppo della storia è meditato, più contenuto del previsto. Gli spargimenti di sangue arriveranno solo al giro di boa. La prima parte – forse con qualche episodio di troppo - elabora un intreccio complesso che esplora la condizione sociale dei reduci, proponendo importanti riflessioni e critiche neanche troppo velate nei confronti delle politiche statunitensi più recenti. Sequenze in stile videogioco e montaggi veloci di stampo puramente action saranno gli elementi di svolta che porteranno allo scoppio degli eventi e delle emozioni più disperate. Con un turbolento background segnato da ben tre trasposizioni cinematografiche non andate a buon fine, il personaggio di The Punisher riesce finalmente a trovare la sua giusta dimensione con il formato televisivo. Il merito è senza dubbio di uno straordinario interprete in grado di comunicare tutto il dolore e la forza del ruolo con poche parole e semplici sguardi. Jon Bernthal dona solidità e credibilità a un personaggio in bilico tra realtà ed eccesso: un compito non certo semplice da assolvere. L’unica vera figura capace di contrapporsi all’assoluto protagonista è quella di Billy Russo, portato in scena da un ottimo Ben Barnes, uno dei più grandi amici di Castle trasformatosi in un sanguinario mercenario che ha le chiavi dei misteri degli intrighi del passato di Frank. Molto valida anche la componente femminile del cast in cui si distinguono Amber Rose Evah, nei panni di una determinata agente della Sicurezza Interna, e la garanzia Deborah Ann Woll con la sua intrepida Karen Page. Una serie inaspettata nella sua messa in scena, capace di trovare un’incredibile forza scommettendo sui suoi personaggi! IMMAGINI: Immagine 1: www.ilbifrost.it Immagine 2: www.filmschoolrejects.com Immagine 3: www.serial.everyeye.it
0 Commenti
Nella serata di sabato 25 abbiamo visto la pellicola in concorso The Death of Stalin e lo sci-fi What happened to Monday.
Nonostante il nostro sabato piemontese cinefilo sia stato piuttosto frenetico siamo riusciti a vedere la meravigliosa opera in concorso del regista scozzese Armando Iannucci: The Death of Stalin. Vi siete mai chiesti cosa fecero nella notte del 2 Marzo 1953 Malenkov, Kruscev, Molotov, Beria e tutti i suoi più stretti collaboratori quando trovarono steso sul pavimento il corpo del segretario generale dell’Unione Sovietica, Joseph Stalin? A rispondere a questa complicata domanda ci pensa il nostro mitico Iannucci che, con sagacia e intelligenza sopraffina, confeziona una commedia nera, una satira sul potere con un formidabile cast internazionale capeggiato da Steve Buscemi (nei panni del cinico Kruscev), Michael Palin (il fedele Molotov), Jeffrey Tambor (il vice di Stalin, Malenkov), Jason Isaacs (il duro generale Zhukov) e Simon Russell Beale (lo spietato capo dei servizi segreti Beria).
Con un mix di Monty Python e tanto dark humour, Iannucci ‘’il guru della sceneggiatura’’, come viene definito dai suoi stessi attori, riesce nell’ardua impresa di dirigere un magnifico dream team d’attori, che ci regala una performance unica nel suo genere. Le risate in sala non sono per niente mancate.
La nostra serata è continuata nella sala del cinema Classico, dove abbiamo potuto vedere il blockbuster sci-fi diretto dal regista norvegese Tommy Wirkola: What Happened To Monday. Nel 2073 il pianeta è in ginocchio a causa del sovrappopolamento e l’ombra del caos si espande a macchia d’olio su tutto il globo. La dottoressa Cayman (Glenn Close) decide di attuare la politica del figlio unico che impone l’immediato sonno criogenico dei figli in eccesso. L’unica cosa che la Cayman ignora è che da trent’anni vivono segretamente in un appartamento sette sorelle gemelle, addestrate rigidamente dal nonno (Willem Dafoe) che ha dato a ciascuna delle piccole il nome di un giorno della settimana. Le sorelle saranno costrette a uscire solo nel giorno corrispondente al loro nome e dovranno confrontarsi con il mondo esterno, difendendo a ogni costo la loro preziosa identità, che corrisponde al nome di Karen Settman. Un giorno però, Monday non torna a casa, sarà l’inizio della fine.
Noomi Rapace si fa letteralmente in sette per questo thriller adrenalinico ricco di colpi di scena e azione. Effetti visivi all’avanguardia, un’ottima colonna sonora e una sceneggiatura solida fanno di questo film un prodotto più che valido e la straordinaria prova della Rapace dev’essere sottolineata. Bella, talentuosa e dannatamente letale, Karen Settman vi condurrà in un vortice di violenza a ritmi incessanti.
Per finire, ovviamente, non potevamo mancare alla tradizionale notte horror del Tff. Abbiamo resistito fino alle 02:00 per poter vedere l’opera prima del noto producer e artista californiano Steven Ellison aka Flying Lotus: KUSO. In una Los Angeles post apocalittica seguiamo le vite parallele degli strani sopravvissuti, tra deformi e spaventose creature, rapper con la fobia delle tette, orripilanti e disgustose mutilazioni genitali e brufoli giganti che prendono vita, esploreremo il folle mondo di Steve e Eddie Alcazar, il curatore degli effetti visivi. KUSO è stato prodotto dalla Brainfeeder (storica etichetta di musica elettronica) e selezionato all’ultima edizione del Sundance Film Festival, un film che farà di certo molto scalpore, dal ritmo lento ma dalle immagini molto intense, impossibile da decifrare per chi non segue e conosce bene la mente perversa e geniale del misterioso Flying Lotus, artista difficile ed eclettico che pare sia rimasto affascinato dalla macchina da presa.
Continuate a seguirci sui nostri canali social e ovviamente sul nostro sito, per rimanere aggiornati sul reportage de IlTermopolio al festival del cinema di Torino.
Vi auguriamo buon cinema dalla splendida Mole Antonelliana. Immagini tratte da: Press. Torino Film Festival 35°
La giornata di sabato 25 è iniziata con due bellissimi titoli: Tito e gli Alieni e il tanto atteso The Disaster Artist.
Il Torino Film Festival non smette di sorprendere con i suoi titoli variegati e originali. La mattinata infatti si è aperta con la sezione Festa Mobile che ci ha regalato l’opera della regista milanese Paola Randi: Tito e gli Alieni. Lo straordinario viaggio di due fratelli napoletani che, dopo aver perso il padre Fidel, partono per andare a trovare lo zio, scienziato strampalato e vedovo che vive nel deserto del Nevada e lavora nella misteriosa AREA 51. Interpretato da un insuperabile Valerio Mastrandrea, l’incontro con i suoi nipoti e il corteggiamento della bella collega francese interpretata da Clémence Poséy sconvolgerà la piatta vita dello scienziato.
Al suo secondo lungometraggio, Paola Randi ci regala una pellicola piena di emozioni dove l’immaginazione sta sopra ogni cosa. Strizza l’occhio alle pellicole anni '80 e ci parla di amore, desideri, famiglia e disordine.
La nostra mattinata è proseguita con la visione, sempre al cinema Classico, dell’attesissimo film diretto da James Franco: The Disaster Artist. Le avventure realmente accadute di un eccentrico attore che sogna di essere James Dean e vorrebbe recitare Shakespeare, che dopo aver incassato una collezione infinita di pareri negativi decide di realizzare un film tutto suo. Il risultato? Un prodotto abominevole che s’intitola THE ROOM, uscito nel 2003 negli States e che è diventato un cult nel circuito dei film midnight movies.
Franco rende omaggio al folle attore, regista, produttore, sceneggiatore, fotografo Tommy Wiseau, un artista incompreso, o semplicemente pazzo, che non ha mai smesso di crederci. Un ritratto esilarante e assai affettuoso della Hollywood più scalmanata. Un James Franco in grande spolvero, prova attoriale sontuosa e menzione di merito anche al fratello Dave, che interpreta Greg Sestero o Baby Face, spalla e amico per la pelle di Wiseau.
Il nostro editoriale sulla 35° edizione del Torino Film Festival non si ferma mica, torneremo domani per raccontarvi di The Death of Stalin e il blockbuster sci-fi What Happened to Monday.
Come sempre vi auguriamo buon cinema da Torino. Immagini tratte da: Press. Torino Film Festival 35°
Il 24 Novembre l’inaugurazione del festival ritorna alla Mole Antonelliana dopo dieci anni.
A Torino l’aria di cinema si respira prepotentemente e la giornata di venerdì 24 novembre si è aperta col botto. La vera sorpresa di quest’anno è stata la location della cerimonia inaugurale, tenutasi nella splendida cornice della Mole Antonelliana, che dopo dieci anni torna a essere il faro della kermesse. Molti i cambiamenti di quest’edizione, come il maxischermo allestito nell’ex Teatro Scribe, a ridosso della Mole, un modo secondo la direzione del festival di rendere partecipi i piemontesi e nello stesso tempo di accontentare i tanti spettatori rimasti senza poltrona, visto la minore disponibilità di posti.
Il film inaugurale è stato Finding your feet – ‘’Ricomincio da me’’, una commedia del regista britannico Richard Loncraine che promette risate agrodolci. Nel pomeriggio abbiamo visto al cinema Massimo la pirotecnica mini-serie tv firmata dal maestro giapponese Sion Sono e prodotta dal colosso Amazon: Tokyo Vampire Hotel. Un mix di azione, gore e risate non politicamente corrette che di certo non vi annoieranno. Lotte tra clan di vampiri e malcapitati umani che cercano di non diventare il pasto dei loro aguzzini.
La nostra serata è proseguita sempre al cinema Massimo dove abbiamo potuto ammirare l’ultima opera del regista coreano Hoon Jang: Taeksi Woonjunsa/ A Taxi Driver. Uno strano blockbuster dalle tinte forti dove la commedia, l’amicizia e la tragedia si mescolano in un vortice impetuoso che appassiona lo spettatore fino a farlo inevitabilmente commuovere. Nella cittadina di Gwangju assistiamo ai violenti scontri tra i cittadini e gli studenti universitari contro il governo di Chun Doo-hwan. In questo clima di paura e incertezza viviamo l’improbabile amicizia tra un tassista di Seul e un reporter tedesco. Il film è il candidato della Corea del Sud ai prossimi Oscar.
Per oggi abbiamo concluso il nostro mini reportage all’interno del Festival del cinema di Torino ma torneremo per raccontarvi delle nuove pellicole come il tanto atteso The Disaster Artist, previsto in anteprima stampa nella giornata odierna. Seguiteci e come sempre vi auguriamo buon cinema.
Immagini tratte da: Copertina: www.LaStampa.it Immagine 1: www.BritishComedyGuide Immagine 2: IndieWire Immagine 3: www.screenanarchy.com
Presentato e vincitore per la sezione Orizzonti all’ultimo Festival Internazionale di Arte Cinematografica di Venezia, Nico, 1988 dell’italiana Susanna Nicchiarelli porta sullo schermo gli ultimi anni di Nico, alias Christa Päffgen, cantante e modella tedesca, nota soprattutto per la sua collaborazione con i The Velvet Underground. Ma proprio in controtendenza con l’immagine più nota e iconica di Nico, il film della regista italiana decide volutamente di non essere un biopic completo, ma di soffermarsi solo su una parte della vita di Nico. Se il film inizia con uno dei ricordi più intensi e significativi di Christa, il bombardamento della città di Berlino durante la Seconda Guerra Mondiale, subito dopo ci troviamo davanti a una Nico matura, regina del dark rock, pronta a portare la sua musica per l’Europa. Dimenticati i capelli biondi e i servizi patinati per Vogue, Elle e altri giornali, dimenticata l’amicizia con Andy Warhol e il periodo nella Factory, ci troviamo davanti alla “sacerdotessa delle tenebre” e ai suoi ultimi anni di vita.
Magistrale interpretazione di Trine Dyrholm, attrice danese vincitrice nel 2016 dell'Orso d'argento come migliore attrice per La comune di Thomas Vinterberg. La Dryholm riesce a renderci gli ultimi anni di una Nico che tra vizi e fragilità non abbassa mai lo sguardo. Sfiorita la bellezza giovanile, tra una dose di eroina e innumerevoli sigarette Christa non si tira indietro davanti a niente: né alle domande riguardanti il rapporto con il figlio Ari, cresciuto dai genitori di un padre che non lo ha mai riconosciuto (Alain Delon) e in bilico tra depressione e autolesionismo, né davanti a chi continua ad associare la sua immagine soltanto al suo periodo d’oro giovanile.
Così come è emerso dal materiale che Susanna Nicchiarelli ha visionato ed esaminato per costruire il film, realtà e apparenza si sono spesso scontrate nella vita di Nico: famosa per una gioventù dall’apparenza patinata, Nico ha dovuto spesso smentire chi lo definiva il periodo più felice della sua vita, rivendicando invece la sua personalità e la libertà di poter creare qualcosa che la rappresentasse davvero solo in età più matura, quando lo stesso Jim Morrison la esortò a “mettere in musica i propri sogni”. Ed è proprio quest’arte l’altra grande protagonista di Nico, 1988. La musica che attraversa Nico, 1988 è quella potente e vibrante che non ha più niente a che fare con il disco composto con Lou Reed, The Velvet Underground & Nico, ma che invece afferma Nico come una musicista dal talento originale, capace di influenzare i movimenti gothic e new wave.
La Dryholm si conferma un’artista a tutto tondo e se già si ammira la sua interpretazione, occhi e orecchie dello spettatore rimangono letteralmente attaccati allo schermo grazie alla sua performance canora. Una voce cavernosa, graffiante, ferita (la stessa Dryholm ha dovuto sporcarsi e rovinarsi la voce per renderla al meglio), ma magnetica: dall’intensa scena del concerto illegale in cui i movimenti di camera ci fanno ballare al ritmo di “My heart is empty”, alla struggente versione di “Nature Boy” di David Bowie fino alla dichiarazione di amore incondizionato per il figlio con “Ari’s song”. La Nico meno conosciuta è quella che emerge in superficie dal film di Susanna Nicchiarelli; una donna terribilmente umana, una donna che cerca di ricostruire il rapporto con il figlio tanto amato, forse un’anti-icona, alla continua ricerca non del consenso, bensì di un suono; un suono perfetto che nell’immaginario della regista è lo stesso che da bambina aveva sentito durante i bombardamenti di Berlino. Nella realtà non possiamo sapere cosa cercava Nico, ma ci resta sicuramente tutto quello che ci ha lasciato. Foto tratte da: https://www.comingsoon.it/film/nico-1988/54255/scheda/ http://www.repubblica.it/speciali/cinema/venezia/edizione2017/2017/08/25/news/susanna_nicchiarelli_non_solo_icona_tragica_vi_racconto_l_ultima_nico_-173830823/
![]() Titolo originale: Bar Bahar Regia: Maysaloun Hamoud Genere: drammatico Interpreti: Mouna Hawa, Sana Jammelieh, Shaden Kanboura Origine: Israele, Francia Distribuzione: Tucker Film Durata: 103′
Libere, disobbedienti, innamorate, è così che conosciamo Salma, Leila e Nur, tre giovani ragazze arabe, coinquiline in un piccolo appartamento a Tel Aviv. Un ritratto generazionale realizzato con pennellate fresche e leggere, che ha per sfondo la cultura underground della città israeliana, un territorio franco in cui le convenzioni della società araba di stampo patriarcale sembrano smorzarsi in direzione di un più ampio varco di autonomia del femminile, salvo poi riapparire prepotentemente, riconfermandosi nella loro sovrastrutturalità.
Salma è una dj omosessuale, Leila è un’avvocatessa che veste in modo sensuale, fuma e consuma alcool e droghe, entrambe arabe, la prima proviene da una famiglia cattolica, la seconda da una famiglia laica; la loro storia si intreccia con quella di Nur, musulmana praticante, promessa sposa a un uomo violento e oppressivo, restio all’idea che la ragazza possa continuare a studiare e a lavorare.
La trentasettenne regista Maysaloun Hamoud, nata a Budapest ma cresciuta a Dur Hana, in Israele, conosce in prima persona la condizione delle donne in Medio Oriente e nel film punta a divincolarsi dall’immagine del femminile stereotipato e sottomesso. Mostra, al contrario, il mettersi in moto di un lento e iniziale processo di emancipazione nel quale le tre donne pagano il prezzo di una subordinazione culturalmente radicata: l’indipendenza e la voglia di libertà si scontrano coi limiti imposti dalla famiglia, dalla società, dalla religione - sia essa cattolica o musulmana- dal maschile in senso lato. Traspare l’idea che l’emancipazione e lo stile di vita similoccidentale possano adeguarsi solo a un preciso stadio della vita, da relegarsi all’adolescenza e alla post adolescenza, superate le quali la donna debba tornare necessariamente a occupare un ruolo ben definito, e naturalmente subalterno, nella società dei padri, dei fratelli, dei mariti. Degli uomini.
Il film si mostra da subito godibile, soprattutto per la raffinata estetica che riguarda la scelta degli abiti delle protagoniste (Leila ad esempio indossa abiti provocanti sullo stile di quelli delle protagoniste di Sex and the City), degli ambienti e soprattutto nella cura delle inquadrature.
Le scene si svolgono quasi tutte in interni, tra l’appartamento condiviso dalle ragazze e i locali notturni, tra feste, incontri e chiacchiere tra amici. Proprio l’amicizia tra donne, sul finale del film, costituirà una valida risorsa che permetterà il sottrarsi da reiterati meccanismi di sottomissione del femminile.
Il titolo del film, originariamente Bar Bahar (In between), alluderebbe a quello spazio di mezzo, tra terra e mare, né qui né altrove, sospeso tra condizioni opposte: tra l’adolescenza e la maturità, tra l’adeguamento ai valori patriarcali e il loro rifiuto, tra il trovarsi fisicamente in Medio Oriente e il voler abbracciare un modo di vivere più libero e occidentalizzato.
Il disorientamento generazionale e la ricerca di una nuova identità del femminile sono trattati con grande raffinatezza e sguardo delicato per la regista che, alla prima opera, colleziona diversi riconoscimenti, tra cui il Netpac al Toronto International, il Premio della Giuria Giovani al S. Sebastian Film Festival e il premio Miglio Opera prima all’Haifa International Film Festival. Immagini tratte da: http://www.mymovies.it/film/2016/inbetween/ http://www.mymovies.it/film/2016/inbetween/ https://www.cinemagay.it/film/libere-disobbedienti-innamorate/ http://www.mymovies.it/film/2016/inbetween/news/pensi-di-vivere-in-europa/ http://www.iodonna.it/personaggi/cinema-tv/2017/04/06/libere-disobbedienti-innamorate-lemancipazione-femminile-tel-aviv-al-cinema/
Paese: Italia
Anno: 2006-2017 Genere: azione, commedia, noir, poliziesco Stagioni: 6 Durata: 110’ (episodio) Ideatore: Carlo Lucarelli Interpreti e personaggi Giampaolo Morelli: ispettore Coliandro Veronika Logan: sostituto procuratore Longhi Giuseppe Soleri: agente Gargiulo Paolo Sassanelli: ispettore Gamberini Caterina Silva: sovrintendente Bertaccini Luisella Notari: vice dirigente Paffoni Benedetta Cimatti: agente Buffarini Coliandro é un ispettore della questura di Bologna che indaga sui crimini insieme ai suoi colleghi: Gamberini, un ironico ispettore; la sovrintendente Bertaccini, una ragazza molto tosta e l'agente Gargiulo, uno dei pochi amici fidati di Coliandro che spesso viene coinvolto dall'ispettore nelle sue indagini.
Le investigazioni di Coliandro vengono sempre ostacolate dal suo commissario e dal sostituto procuratore Longhi che considerano l'ispettore un vero e proprio disastro. Infatti, il commissario assegna al nostro protagonista incarichi non investigativi ma senza successo, poichè l'ispettore vuole tornare in servizio alla squadra mobile e non perde mai l’occasione per immischiarsi nelle indagini altrui.
Dal 13 ottobre è tornata la serie tv diretta dai Manetti Bros "L'ispettore Coliandro - il ritorno 2" sulle avventure del poliziotto interpretato da Giampaolo Morelli e creato dalla penna di Carlo Lucarelli. In questa stagione le puntate sono decisamente più assurde e "fumettistiche" e l'ispettore si invischia in situazioni pericolosissime, al limite del credibile, dove è quasi impossibile uscirne vivi. Infatti, ogni episodio è pieno di adrenalina, scene d'azione, linguaggio colorito (infatti non è una serie educativa, il protagonista usa spesso un linguaggio condito da parolacce) e spruzzate di violenza. Ad esempio, Coliandro è vittima di cruenti pestaggi mentre sta indagando in un giro di lottatori di pugilato ai quali viene somministrata droga per aumentarne le prestazioni; oppure, è costretto a correre in maniera forsennata alla James Bond, per sventare un attacco terroristico a Bologna. Tuttavia, riesce sempre a risolvere i casi anche se, come al solito, non gli vengono attribuiti i meriti dovuti per la risoluzione delle indagini. Si deve proprio a questo il successo del poliziotto: è un antieroe, imbranato, simpatico e comico, rispecchia le debolezze e i difetti umani e quindi è facile immedesimarsi in lui.
É anche un poliziotto onesto, sempre pronto a spendersi per il suo lavoro, anche a costo di rimetterci quasi la vita, ed è anche sfortunato con le donne. In ogni puntata l'ispettore si imbatte in una presenza femminile diversa legata al caso e, naturalmente, Coliandro si innamora della ragazza di turno, ma alla fine si ritrova sempre, tristemente, solo.
Ogni episodio si ispira ai classici polizieschi americani e italiani degli anni ‘70 e ’80, da Clint Eastwood nei panni dell'ispettore Harry Callaghan a Tomás Milián nel ruolo dell'ispettore Giraldi, con una variegata colonna sonora: dalla musica anni ‘70, all’elettronica, dal jazz, al rap, con protagonisti vari artisti italiani. Se amate lo stile pop e noir dei Manetti Bros e i poliziotti non convenzionali, non potete perdervi le avventure di Coliandro! Immagini tratte da: http://static.televisionando.it/ http://cdn.gelestatic.it/ https://www.tvserial.it/
Dal 9 novembre, è approdata nelle nostre sale la pellicola Palma d’oro all’ultimo festival di Cannes, un mix di satira graffiante e dramma contemporaneo che non potete perdere. ![]()
Titolo originale: The Square
Paese di produzione: Svezia, Germania, Francia Anno: 2017 Durata: 142’ Genere: drammatico, commedia Regia: Ruben Ostlund Sceneggiatura: Ruben Ostlund Distribuzione: Teodora Film Fotografia: Fredrik Wenzel Montaggio: Jacob Secher Schulsinger Scenografie: Josefin Åsberg Cast: Claes Bang (Christian), Elisabeth Moss (Anne), Dominic West (Julian), Terry Notary (Oleg), Annica Liljeblad (Sonja).
Ruben Ostlund dopo l’ottimo Forza Maggiore riesce a folgorare Pedro Almodovar e l’intera giuria di Cannes con l’ultima sua fatica, The Square. Il film dello svedese è riuscito a portare a casa la Palma d’oro ed è stato selezionato per rappresentare la Svezia ai premi Oscar del 2018 nella categoria Miglior film in lingua straniera. Fin dalle prime inquadrature di The Square il regista mette in chiaro una cosa: non vi trovate davanti al classico mattone. Chi si aspetta un filmone pieno di retorica deve rassegnarsi perché quest’opera è un concentrato di umorismo e dramma spettacolare. La Palma d’oro più divertente di sempre, un ritratto contemporaneo della società svedese che si può estendere a tutta l’Europa.
La domanda principale che si pone Ostlund è la seguente: "Ci vantiamo così tanto di essere buoni e compassionevoli, ma lo siamo davvero?". Attraverso le sue originali inquadrature, ci ritroviamo in una Stoccolma circondata da perbenisti, egoisti e vigliacchi. Uomini “piccoli”, come il protagonista Christian, il borioso e affascinante curatore del Museo d’arte di Stoccolma, che dopo il furto del suo smartphone, cerca di gestire rovinosamente una serie di eventi all’apparenza folli e grotteschi che lo porteranno in un’inevitabile spirale di oscurità e solitudine. Christian verrà attaccato e umiliato, messo all’angolo dalla fredda realtà della vita. Ostlund si diverte a giocare con il suo protagonista ed è chiaro il suo intento di mettere in ridicolo la classe privilegiata che non osa avvicinarsi ai palazzoni della periferia di Stoccolma, già visti nella pellicola horror del connazionale Tomas Alfredson: Lasciami Entrare.
I ricchi hanno maledettamente paura di sporcarsi le mani e il loro presunto impegno civile cade come un castello di carte di fronte a una folata di vento. Il regista non poteva che servirsi della chiave umoristica per mettere alla berlina il mondo dell’arte contemporanea, popolato da strane e boriose creature che, purtroppo, conosciamo fin troppo bene. La nostra epoca è fatta di artisti pretenziosi e molto spesso fasulli o arroganti guru del marketing assetati di successo. L’assurdo video protagonista del film diventa virale in poche ore ed è la prova che il buonismo oggi non funziona, se vuoi emergere devi farli indignare tutti; così Ostlund ci mostra il triste e tragicomico “circo” in cui stiamo vivendo.
Lo sguardo attento e contemporaneo del regista impreziosisce la sua opera e ci conferma che quest’autore ha un gran talento. I numerosi momenti comici ammirati in The Square vi faranno ridere molto e non si può non elogiare il cast. L’ottimo attore danese Claes Bang divide lo schermo con star delle serie tv più apprezzate del momento, come il britannico Dominic West (The Affair, The Wire) o la talentuosissima Elisabeth Moss (Mad Men, The Handmaid’s Tale). La colonna sonora della pellicola è un mix di elettronica e lirica che detta i tempi del film, si passa dai Justice all’Opera con una facilità imbarazzante; inoltre, l'Ave Maria di Charles Gounod e Bach, rivisitata da Yo-Yo Ma e Bobby McFerrin, vi farà innamorare.
Il cinema di Ruben Ostlund continua a scavare nelle paure degli uomini, ama metterli in ridicolo e giocare con le loro paure; inoltre, continua a pizzicare la loro virilità. Il maschio moderno si vanta di essere forte ma basta un banale sgambetto per gettarlo nel caos. The Square è un’opera a tratti complessa che vi rapirà e vi farà emozionare. Tenete d’occhio il quarantenne regista svedese e cercate di recuperare l’ottimo Forza Maggiore (anch’esso premiato a Cannes), ci aspettiamo grandi cose e magari lo rivedremo trionfatore anche nella notte californiana più attesa del mondo del cinema, noi un penny lo puntiamo volentieri. Buon cinema dal IlTermopolio.
Click to set custom HTML
Immagini tratte da: Locandina: Circuito Cinema Genova Immagine1: www.Mymovies.it Immagine2: www.Flicreel.com Immagine3: www.ucicinemas.it Immagine4: RFI
PAESE: Stati Uniti ANNO: 2017 GENERE: fantascienza, horror, fantasy, thriller STAGIONE: 2 EPISODI: 9 DURATA: 42 - 61 min IDEATORE: Matt e Ross Duffer REGIA: Matt e Ross Duffer, Shawn Levy, Andrew Stanton, SCENEGGIATURA: Matt e Ross Duffer, Justin Doble, Paul Dichter, Jessie Nickson-Lopez, Kate Trefry ATTORI: Winona Ryder, David Harbour, Finn Wolfhard, Millie Bobby Brown, Gaten Matarazzo, Caleb McLaughlin, Natalia Dyer, Charlie Heaton, Cara Buono, Matthew Modine, Joe Keery, Dacre Montgomery, Sadie Sink, Sean Astin MUSICHE: Michael Stein, Kyle Dixon PRODUZIONE: Camp Hero Productions, 21 Laps Entertainment, Monkey Massacre Un titolo divenuto iconico nell’estate del 2016 seguito semplicemente dal numero 2: nessun sottotitolo con qualche indizio ma un’unica cifra che racchiude in sé, ancora una volta, l’essenza dell’affascinante creatura frutto della fantasia dei Duffer Brothers. Stranger Things 2 non è solo la seconda stagione di un grande fenomeno mediatico, bensì è sotto ogni aspetto un sequel, una nuova avventura a Hawkins, in Indiana, lunga nove ore. Lo è per natura e vocazione, con il suo forte carattere cinematografico che trova, paradossalmente, piena realizzazione solo attraverso uno sviluppo seriale in grado di dare spazio a ogni personaggio e arco narrativo. L’anno in cui è ambientata questa stagione non è certo casuale. La storia ha luogo nel 1984, anno dell’uscita nelle sale di capostipiti di fortunati franchise come Terminator e Ghostbusters, di iconici cult come I Goonies e di fondamentali seguiti come Indiana Jones e il tempio maledetto. A tutto questo si ispira la nuova finestra sul Sottosopra e i suoi spaventosi misteri che, questa volta, gioca tutte le sue carte per riuscire a essere all’altezza della prima avventura e delle derivanti aspettative.
È trascorso ormai un anno dalla disavventura vissuta dal piccolo Will Byers (Noah Schnapp) e dalla scomparsa di Undici (Millie Bobby Brown) insieme ai suoi poteri telepatici. Tutto, nella piccola e sperduta Hawkins, sembra essere tornato alla tranquillità. Nella notte di Halloween, tuttavia, una nuova e più oscura minaccia avanza. Will inizialmente è l’unico che riesce a percepirla attraverso un misterioso quanto doloroso legame. Solo insieme ai suoi amici di sempre - il carismatico Mike (Finn Wolfhard), l’imbranato Dustin (Gaten Matarazzo) e il coraggioso Lucas (Caleb McLaughlin) – a qualche new entry come “Mad” Max Mayfield (Sadie Sink) e all’apprensiva madre Joyce (Winona Ryder) sarà possibile risolvere gli enigmi della cittadina che tolgono il sonno anche al determinato capo della polizia, Hopper (David Harbour).
Alle prime note di synth, della già leggendaria e universalmente riconosciuta sigla di apertura, si possono subito percepire le atmosfere che regnano nei nove episodi: ogni aspetto dark e spettacolare viene accentuato mantenendo sempre l’equilibrio con la genuina componente teen che tanto ha emozionato e appassionato il pubblico Netflix. I gemelli Duffer avevano assicurato che il secondo capitolo sarebbe stato qualcosa di sorprendente e hanno mantenuto le promesse: tutte le cose sono ancor più strane! Se, a un primo approccio, la storia sembra procedere per il verso giusto, secondo il percorso che si poteva prevedere e, sotto alcuni aspetti, sperare, gli avvenimenti che inizieranno a svilupparsi a partire dalla terza puntata sconvolgeranno ogni possibile convinzione valorizzando ogni personalità in gioco con abili trucchi conditi da riferimenti nostalgici ma non troppo. Oltre ai film citati in precedenza, è importante ricordare una delle principali ispirazioni di questa seconda stagione, quello che forse è il sequel per eccellenza nella storia del cinema sci-fi: Aliens – Scontro Finale. Attenzione, quindi, alla sospettosa presenza di un certo Paul Reiser nel cast!
Il gruppo di protagonisti, sempre più affiatato, è la carta vincente di uno show che trionfa dove molti altri falliscono. Non sono poche, infatti, le new entries che si possono considerare riuscite, a partire dai fratelli Mayfield - Billy, gradasso e umano nella sua componente da villain, dovrà comunque trovare la sua dimensione – e dal simpatico e un po’ nerd Bob, nuovo compagno di Joyce interpretato da un ottimo Sean Astin che, non raramente, scherza con il suo lontano esordio da protagonista come Goonies.
Stranger Things 2 è appassionante anche nelle sue imperfezioni: il settimo episodio, un odi et amo a tinte punk, prepara il futuro di Unidici ma frena e scala anche di una marcia il ritmo di una narrazione che spiccava il volo. Con un cast di alto livello in cui anche i personaggi dai tratti più stereotipati, insieme a più riusciti, riescono ad affermarsi – strepitoso e inaspettato il binomio Dustin e Steve quanto mostruoso lo scontro tra i titani Hopper e Undici – l’effetto sorpresa della prima stagione non si fa rimpiangere, confermando a pieni voti una serie che ha l’invidiabile capacità di trovare un punto d’incontro tra il pubblico più e meno giovane. IMMAGINI: Immagine 1: http://popculture.com/ Immagine 2: https://screenrant.com/ Immagine 3: http://gadgets.ndtv.com/ Immagine 4: http://www.sheknows.com/
![]()
PAESE: Stati Uniti
ANNO: 2017 GENERE: thriller, drammatico STAGIONE: 1 EPISODI: 10 DURATA: 25-27 minuti IDEATORE: Nick Kroll, Andrew Goldberg, Mark Levin, Jennifer Flackett REGIA: Joel Moser, Bryan Francis, Mike L. Mayfield SCENEGGIATURA: Jennifer Flackett, Andrew Goldberg, Nick Kroll, Mark Levin, Emily Altman, Duffy Boudreau, Kelly Galuska ,Victor Quinaz ATTORI: Nick Kroll, John Mulaney, Jessi Klein, Jason Mantzoukas, Jenny Slate, Fred Armisen, Maya Rudolph, Jordan Peele PRODUZIONE: Danger Goldberg Productions, Good at Bizness, Inc., Fathouse Industries, Titmouse, Inc.
Le serie tv di animazione, forse proprio per la presunta distanza con la realtà empirica del mondo, hanno spesso goduto di una maggiore libertà nel rappresentare temi e situazioni che in un prodotto con attori reali avrebbero probabilmente subito tagli o censure. Così, il politicamente scorretto, la scurrilità e la sfrontatezza sono state spesso appannaggio delle serie animate, limitandosi ovviamente a quei prodotti pensati specificatamente per un pubblico adulto.
Big Mouth, create da Nick Kroll, Andrew Goldberg, Mark Levin, e Jennifer Flackett, rientra a pieno titolo in questa categoria. La serie ruota attorno alle vicende di una serie di ragazzi e ragazze preadolescenti tutti alle prese con i tumulti della pubertà. Difficolta, titubanze, imbarazzi, delusioni ed entusiasmi: tutto il ciclo di montagne russe che caratterizza questa fase delicata nella vita di ogni individuo viene rappresentata senza censura e senza peli sulla lingua. Volgarità e situazioni esplicite abbondano, ci si diverte molto, ma questo non impedisce di immedesimarsi nei vari disagi dei personaggi (ampio spazio viene dato alle ragazze, Jessi e Missy, e al loro modo di vivere questi cambiamenti), facendoci riflettere su questioni che non sempre sono affrontate con la serenità e la chiarezza necessaria.
Dalle prime cotte, al primo ciclo, dalla scoperta del sesso alle insidie della pornografia, tutti questi temi sono affrontati con la malizia necessaria per far ridere di gusto il pubblico, ma anche con quella sensibilità che consente di avvicinarsi un po’ al turbinio emozionale che tutti affrontiamo o abbiamo affrontato in quel particolare periodo della nostra vita.
In questo contesto la fa da padrone uno dei personaggi più potenti della serie, ovvero il mostro degli ormoni. Personificato da uno sgradevole mostro peloso e dotato di corna per i maschi e da una bestia sinuosa e selvatica per le femmine, i mostri degli ormoni incarnano le pulsioni sessuali più abbiette della psiche adolescenziale e bramano esclusivamente la soddisfazione dei propri desideri. Ma essi sono allo stesso tempo un’occasione per i giovani ragazzi per andare alla scoperta del proprio corpo e di quello degli altri. Proprio il cambiamento nella percezione del corpo e delle sue potenzialità è tra le questioni scottanti che vengono affrontate in questa serie.
Lo stile grafico della serie è essenziale e colorato, il design dei personaggi scarno e minimalista, che può ricordare a tratti quello dei Griffin o di South Park, ma tutto sommato è efficace per delineare le caratteristiche essenziali della loro personalità. Il punto forte della serie è la sua potenza comica: se amate il politicamente scorretto e il black humour, Big Mouth regala momenti veramente esilaranti. Ma questo non deve ingannare: oltre alle ripetute risate questa serie concede uno spazio non indifferente a questioni che fino a poco tempo fa erano tabù e lo fa con un’intelligenza e un’audacia insolite per un prodotto di questo tipo. Alla fine di ogni puntata emerge una morale o un insegnamento e i giovani personaggi imparano dai propri errori. Certo, tutto ciò appena il mostro degli ormoni gli concede un attimo di tregua.
|
Details
Archivi
Maggio 2023
Categorie |