di Salvatore Amoroso
Overlord: la recensione dell'horror con gli zombie nazisti prodotto da J.J. Abrams. ![]()
Titolo: Overlord
Paese di produzione: USA Anno: 2018 Durata: 109 min. Genere: orrore, fantascienza Regia: Julius Avery Sceneggiatura: Billy Ray, Mark. L. Smith Produttore: J.J Abrams, Lindsey Weber Distribuzione: 20th Century Fox Fotografia: Laurie Rose, Fabian Wagner Montaggio: Matt Evans Musiche: Jed Kurzel Cast: Jovan Adepo(Boyce), Wyatt Russel(Ford), Mathilde Ollivier(Chloe), John Magaro(Tibbet), Gianny Taufer(Paul), Pilou Asbaek(dott. Wafner).
Siamo al D-Day, le truppe alleate stanno per sbarcare in Normadia e un gruppo di soldati viene paracadutato in Francia per fornire alle truppe supporto da terra. Loro principale incarico sarà minare il campanile di una chiesa su cui i nazisti hanno installato una potente antenna radio. Costretto dalla violenta reazione della contraerea a un atterraggio cruento, il plotone si sparpaglia sul territorio, viene subito decimato e i sopravvissuti trovano rifugio in un paesino vicino alla base dei Nazisti, dove incontrano un'impavida ragazza del luogo. Fin qui sembra quasi Il giorno più lungo, ma gli eroici anche se titubanti soldati scopriranno velocemente che nella base tedesca avviene ben altro, e che i segnali radio non sono l'interesse primario dei crucchi.
Nei cupi sotterranei, vero gabinetto di un folle Dottor Caligari, un macellaio in camice bianco sta conducendo disumani esperimenti sugli inermi abitanti del luogo, materiale rastrellato ciclicamente a costo zero e senza alcuna conseguenza, con l'intenzione di creare una razza superiore da impiegare ovviamente in combattimento. E nei sotterranei, fra esperimenti falliti e sadici tentativi, ben altro è cresciuto, di ferocissimo e ingovernabile. Pochi cattivi nella storia sono stati tanto cattivi quanto i Nazisti, e orribili sono stati gli esperimenti inumani che molti dei loro dottori, nella realtà, hanno fatto subire a prigionieri innocenti. Se Inglourious Basterds era un trattamento pop di una storia di guerra, in Overlord il regista Julius Avery (Son of a Gun e alcuni corti) si diverte a calcare la mano in ben altra direzione. Merito anche della sceneggiatura originale di Billy Ray e Mark L. Smith, gente con un pedigree da serie A (per Ray abbiamo Breach, State of Play, Hunger Games, Captain Phillips, la serie L'ultimo Tycoon, per Smith i due Vacancy, Martyrs e Revenant).
Avery inserisce in un film che nella sua prima parte sembra una vera storia di guerra, una componente puramente horror/splatter, raggiungendo apici di raccapriccio da mutilazione/tortura in alcune occasione angoscianti, sbattendo in faccia allo spettatore effetti gore davvero inquietanti. Ottima la scenografia del laboratorio degli orrori e impressionanti le "creazioni" del dottore. Non è la prima volta che l'orrore del nazismo ha ispirato trattamenti horror. Ricordiamo due fra gli esempi più riusciti, ossia Blood Creek, con un non ancora noto Michael Fassbender e Henry Cavill ante-Superman, e L'occhio nel triangolo di Ken Wiederhorn del 1975, con similitudini nella trama, mentre Dead Snow si apparenta per il gusto per lo splatter.
A garanzia del livello del prodotto c'è la produzione di J.J. Abrams, che nei mesi precedenti l'uscita del film si è divertito a spiazzare stampa e fan con dichiarazioni che lasciavano spazio ad ogni illazione, fra cui che il film facesse parte dell'universo Cloverfield, cosa che non è. Il gruppetto dei protagonisti, una galleria di caratteri molto tipicizzati ma credibili, è affidato a un cast assai convinto. Ford, l'artificiere cinico e duro, è Wyatt Russell, figlio di Kurt e Goldie Hawn, visto di recente nella serie tv Lodge 49, dove interpretava un personaggio ben diverso, una specie di tenero Lebowski 2.0.
Immagini tratte da: Locandina: MyMovies Immagine1: ComingSoon.net Immagine2: Slash Film Immagine3: scariesThings.net Immagine4: GQ Italia
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di Matelda Giachi ![]()
Data di uscita: 31 ottobre 2018
Genere: Drammatico, Sentimentale Anno: 2018 Durata: 91 min. Regia: Desiree Akhavan Cast: Chloe Grace Moretz, John Gallgher Jr., Sasha Lane, Forrest Goodluck, Jennifer Ehle, Marin Ireland, Owen Campbell, Kerry Butler, Quinn Shephard, Emily Skeggs Sceneggiatura: Desiree Akhavan & Cecilia Frugiuele Fotografia: Ashley Connor Montaggio: Sara Shaw Colonna sonora: Julian Wass Produzione: Beachside Films, Parkville Pictures Distribuzione: Teodora film Paese: USA
Tratto dal romanzo di Emily M. Danforth, edito da Rizzoli e uscito in Italia questo 23 ottobre, La Diseducazione di Cameron Post è la storia di una ragazza, Cameron, interpretata da Chloe Grace Moretz, che, scoperta a baciarsi in macchina con la migliore amica, viene affidata a un campo di cura, il “God’s promise” perché le sue pulsioni vengano riorientate.
Un romanzo che però è realtà, perché reali sono i campi di conversione, ancora assai diffusi in America (Joseph Nicolosi, considerato il fondatore di questo genere di pratiche, è morto solo un anno fa) e particolarmente apprezzati dalle frange più conservatrici delle diverse religioni. In questi luoghi si applicano le cosiddette terapie di conversione, basate sulla convinzione che tutti nasciamo eterosessuali e che l’omosessualità sia indotta da condizionamenti ambientali o traumi familiari.
In ambito denominato “riparativo” come nel caso del God’s Promise, si ricorre a counseling pastorale, preghiera collettiva e psicoterapia, nonostante la chiara presa di posizione contraria degli Ordini degli Psicologi tanto americani quanto italiani nei confronti di queste pratiche e la cancellazione da parte dell’OMS, dal 1990, dell’omosessualità dalla lista delle malattie mentali.
La violenza non è fisica ma è psicologica: una costante spinta a sentirsi sbagliati, a vergognarsi di sé, per di più in un’età di confusione come quella adolescenziale. Ognuno ha un proprio modo di reagire, come i ragazzi del film, personaggi molto diversi tra loro e ben delineati. Per qualcuno le conseguenze sono tragiche, qualcuno è più forte, come la protagonista, che ha una solida consapevolezza di sé e che pure ogni tanto vacilla. Un film delicato, a tratti ironico, a dispetto del tema trattato. Chloe Moretz, che ha vissuto a stretto contatto per tutta la durata delle riprese con gli altri protagonisti e la regista, partecipando attivamente al tavolo di lavoro per la trasposizione dell’opera, ha dichiarato che l’intento era quello di fare un film che, nonostante tutto, fosse positivo, che indagasse la bellezza dei rapporti che si instaurano in un gruppo di ragazzi che scoprono di non essere soli, che ci sono altri come loro.
Molti forse si aspettavano qualcosa più di impatto, una nuova “Vita di Adele” e invece la delicatezza del film comprende anche i momenti incentrati sulla sessualità. Dietro a ciò, vi è di sicuro un po’ di quel pudore obbligato tipico americano che ha fatto il successo della trilogia di “50 sfumature”; come se la letteratura non fosse già ricca di ben più sensuali narrazioni. Ma “L’amante di Lady Chatterly”, per non parlare dei poeti greci e latini, sono considerate dai più letture troppo impegnative.
Oltre a tale innegabile verità, vi è però, a nostro parere, anche l’intento di raccontare più la fase iniziale della sessualità, quella in cui le pulsioni sono dirompenti però ancora miste a scoperta, paura e innocenza. Così come l’intento del film non pare quello di generare indignazione rabbiosa quanto più riflessione. La dottoressa Marsh, inquietante capo del centro di riabilitazione che non alza mai la voce e interpretata da una bravissima Jessica Ehle, è seriamente convinta di aiutare e proteggere i ragazzi. Vi è più una mancanza culturale che morale in lei. E così, come spesso accade, buone intenzioni portano ad azioni terribili. Una riflessione che ha interessato particolarmente la regista, che ha vissuto personalmente l’esperienza di un centro per disordini alimentari e che è stata per lei invece molto positiva. “Mi è piaciuto raccontare una storia ambientata in un centro di riabilitazione, in cui l’obiettivo è sempre farti stare meglio: ma cosa vuol dire esattamente stare meglio? È in realtà qualcosa che cambia da persona a persona”. Un film che tratta di argomenti importanti senza essere straziante. Ci voleva. Voto: 7/8 Immagini tratte da: Foto 1: www.imdb.com Foto 2: www.longtake.it Foto 3: www.cinematographe.it Foto 4: www.mondofox.it di Federica Gaspari
Halloween e novembre, temperature che scendono, caminetti che si accendono e palinsesti televisivi che iniziano a popolarsi delle più attese serie della stagione. Il pubblico non disdegna la nutrita offerta – meglio se a tema dolcetto e scherzetto – e cerca di destreggiarsi al meglio tra i titoli di punta delle major dell’intrattenimento. Netflix quest’anno propone ben due avventure sul piccolo schermo. Il primo, Hill House, ha aperto le porte di una dimora stregata che per decenni ha tormentato ricordi e incubi della famiglia Crain. L’alternativa, invece, è Le terrificanti avventure di Sabrina che, sin dalle prime notizie sulla sua produzione, suggeriva un’avventura perfetta per la notte delle streghe. A 15 anni dall’epilogo di Sabrina, vita da strega, la strega più celebre della televisione torna protagonista di un’esclusiva serie in dieci episodi. La realizzazione di questo nuovo reboot è stato affidato allo showrunner Roberto Aguirre-Sacasa che, dopo il successo di Riverdale, ha il compito di trovare la formula magica giusta per dare nuova vita a un altro iconico personaggio Archie Comics. Si vola, quindi - senza alcuna scopa volante, purtroppo – nella misteriosa e oscura Greendale, un luogo in cui tradizioni, storia e incubi si intrecciano minacciando le vite di ogni ignaro abitante. L’orfana Sabrina Spellman (Kiernan Shipka) vive da sempre con le sue due eccentriche zie e lo scapestrato cugino che gestiscono un’impresa di pompe funebri. La ragazza frequenta la scuola locale, adora i classici del cinema horror e trascorre le sue giornate insieme agli amici di sempre e al suo tenero ragazzo Harvey (Ross Lynch). Sembrerebbe essere una semplice e innocua adolescente della provincia statunitense ma in realtà Sabrina è per metà una strega e, all’alba del suo sedicesimo compleanno, è costretta a scegliere tra la sua vita da mortale e un’esistenza al servizio delle tinte più oscure della magia. Il personaggio della strega adolescente, nato nel lontano 1962 dalla matita del fumettista Nell Scovell, subisce una nuova trasformazione fortemente dark in formato televisivo senza però perdere il suo spirito originale. Al centro della scena, infatti, rimane una figura femminile determinata e carismatica che deve fronteggiare una società ostile e disordinata che cerca di ostacolare i suoi sogni e le sue scelte. Sulla scia di quanto già realizzato con Riverdale, Aguirre-Sacasa regala un fascino moderno e inquietante tramite effetti visivi e non rendendo particolarmente appetibile lo show che però non convince pienamente. Sin dai primi minuti dell’episodio pilota, infatti, si fatica a entrare in sintonia con la storia. Puntata dopo puntata, la serie sembra avere difficoltà nel trovare un tono unitario in grado di rivolgersi a uno specifico pubblico: a tratti la narrazione assume toni leggeri e colorati tipici di un target adolescenziale per poi virare bruscamente verso sfumature più adulte di horror e thriller senza mai, però, andare in profondità in ogni tematica. Nemmeno la valida Kiernan Shipka, attesissima alla vigilia considerato il suo brillante passato in Mad Men, riesce a catalizzare l’attenzione oscurando totalmente un’evidente confusione creativa che fa da sfondo alla storia. Personaggi intriganti e molto eterogenei regalano momenti divertenti segnati talvolta da messaggi importanti che però risultano sconnessi fra loro. Il grande potenziale dello show si intravede ma, in questi primi dieci episodi, non viene sfruttato al meglio. Speriamo che nessuna maledizione comprometta la seconda stagione! Uno show che intrattiene con lo zuccherato fascino di un dolcetto ma che nel complesso inganna con un retrogusto amaro degno del peggiore scherzetto di casa Netflix! Immagini tratte da: www.geektyrant.com www.netflix.com www.imdb.com
di Matelda Giachi
Molte avventure fantastiche iniziano nel più terribile dei modi, con dei ragazzi rimasti orfani. Il più famoso di tutti, Harry Potter; ma anche i quattro ragazzi Pevensie, ne “Le Cronache di Narnia”; i Boudelaire, in “Una Serie di Sfortunati Eventi”. Così, anche in questo film tutto ha inizio quando il piccolo Lewis (Owen Vaccaro), persi i genitori in un incidente d’auto, si trasferisce nella strana casa dell’ancor più eccentrico zio Jonathan (Jack Black), che passa le sue giornate in kimono ad ascoltare rumori nelle mura e a becchettarsi con la vicina di casa, sempre di viola vestita, Mrs. Zimmerman (Cate Blanchet).
Lo zio è in realtà un buonissimo ma maldestro stregone, cosa che, dopo un primo attimo di paura, rende la vita di Lewis, trattato da outsider sfigatello tra le mura scolastiche (è il classico bimbo scelto per ultimo quando si fanno le squadre a ginnastica), decisamente più interessante. I toni richiamano un po’ i primi Harry Potter, in cui momenti di pura magia si alternano a componenti inquietanti, che sono poi il punto forte del regista, Eli Roth, specializzato nel genere horror (Hostel, il più famoso). La casa nasconde infatti un oscuro segreto che ancora la lega al precedente, malvagio proprietario. Il film, ricco di elementi classici per bambini, è ovviamente diretto a un pubblico molto giovane; la stessa Blanchet ha dichiarato di aver letto il libro da cui è tratta la sceneggiatura (La Pendola Magica, John Bellairs) al figlio di 10 anni e di averne osservato le reazioni per capire quali parti lo interessassero di più. Principalmente per ragazzi, ma perfettamente godibile da chiunque non abbia la pretesa di sentirsi troppo grande e superiore e abbia semplicemente voglia di prendere parte a un film carinissimo, così come hanno fatto in primis i suoi protagonisti, Jack Black e Cate Blanchet, sempre al massimo delle loro potenzialità. Con il talento e la seria dedizione che hanno messo nelle loro interpretazioni, i due rappresentano di sicuro il valore maggiore del film. Eccezionali. Particolarmente bella la prima parte, un po’ più banale lo sviluppo della vicenda nella seconda ma sicuramente un prodotto di qualità in uscita per questo Halloween. Un film che insegna a non cercare l’uguaglianza ma anzi a rispettare la propria individualità e a vedere la diversità di ognuno come un valore. Tre protagonisti, ognuno a suo modo orfano, solo. Ognuno strano a suo modo, imparano ad amarsi e a essere una famiglia. Da far vedere a ogni bambino e ancor più, forse, a ogni adulto. Voto: 7,5
Immagini tratte da:
www.coomigsoon.it www.screenweek.it www.theglobeandmail.com www.thehollywoodreporter.com |
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Dicembre 2022
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