A pochi giorni dalla scomparsa di Diego recensiamo il documentario che meglio racconta le mille sfaccettature dell’uomo semi dio che tanto ci ha fatto battere il cuore: ‘’se sei Dio, sarai Dio per sempre’’.
di Salvatore Amoroso
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Genere: Documentario
Anno: 2008 Regia: Emir Kusturica Durata: 90’ Sceneggiatura: Emir Kusturica Fotografia: Rodrigo Pulpeiro Vega Montaggio: Musiche: Stribor Kusturica, No Smoking Orchestra Produzione: Estudios Piccaso, EXPECTION WILD BUNCH Distribuzione: BIM Paese: Spagna, Argentina, Francia
Non potevamo che scegliere il film di Emir Kusturica per raccontarvi del numero dieci più celebre della storia del calcio, l’uomo che si è fatto divinità e ha scelto di vivere la propria vita con coraggio e spensieratezza, mettendosi sempre dalla parte degli sconfitti. Sarà per questo che Emir (due palme d’oro e molto altro) e Diego (due scudetti col Napoli e molto altro) si sono incontrati, piaciuti, amati e dalla loro unione è nato un documentario strano, creativo, folle, adorabile. Il regista si era prefissato di metterci due mesi, sono trascorsi ben due anni. Dal Marzo 2005 al Marzo 2007 questi due titani sono diventati fratelli, hanno unito le loro famiglie (Dunia e Stribor Kusturica erano assistente alla regia e curatore delle splendide musiche, Djalma e Gianina, le figlie del Pibe, una splendida e costante presenza, Claudia Villafane, l’ex moglie, un muto e severo “guardiano”) e scoperto che l’est europeo e il sud delle Americhe hanno tanto in comune, non solo l’essere stati colonizzati e martoriati dagli Usa.
Il festival di Cannes nel 2008 impazzì per loro, Diego è stato il primo nella storia a palleggiare sulla Croisette, facendo restare da tutto il mondo a bocca aperta con occhi commossi e adoranti che lo guardavano. Perché quando arrivava lui era come se il tempo si fermasse e tutti rimanevano sospesi in attesa di un suo gesto. Se un film su Maradona doveva esistere, poteva farlo solo questa strana coppia. Kusturica abbandonò da giovane una promettente carriera da calciatore e ora è regista e musicista nella “No Smoking Orchestra” (che apre, accompagna e chiude il film). El pibe de oro è stato da sempre un attore della vita, un intrattenitore (nel documentario troviamo le immagini del programma da lui condotto nella tv in Argentina, La noche del 10) è un cantante mancato, come dimostra la malinconica e dolcissima performance in un locale ripresa dal cineasta di Sarajevo. Entrambi politicamente scorretti e contro il sistema, quello che forse non ci si aspettava era che Emir, personalità fortissima, finisse per capitolare, adorante, ai piedi del suo idolo. Confessando che lo voleva per i suoi film più belli, e raccontando la nascita di un’amicizia annunciata e lasciandosi andare a affermazione come “ci servono leader come lui”.
È un tributo, questo film, senza essere apologia. Si percorre la vita di Dieguito con l’onestà intellettuale che hanno entrambi e il campione è duro con i suoi nemici come lo è con sè stesso. Il resto è splendido contorno: il montaggio di tanti gol, sopraffino, sottolineato dai Sex Pistols; l’animazione che sottolinea le continue ripetizioni del “gol del secolo” contro l’Inghilterra. Diego durante la pellicola commenta eroicamente “con quello e il gol di mano ho vendicato le Malvinas”, che prende in giro, alternativamente, Thatcher, Blair, i reali d’Inghilterra, Bush e Reagan. Quanti calciatori nella stessa partita hanno segnato il gol più beffardo e il gol più bello della storia? La risposta la conoscete già. Manu Chao che fa una serenata personale a Maradona con la canzone che ha scritto per lui, La vida es una tombola, la seconda dopo Santa Maradona; un altro montaggio, ma questa volta dei filmini di famiglia.
Diego non si discute, si ama. Ma chi lo odia, con questo documentario lo capirà di più. Non si dopava, si drogava: “pensate che gran giocatore - dice ironicamente - sarei stato senza la cocaina”, rendendosi conto di quanto male si fosse recato negli anni. Più volte ripete che aveva già previsto tutto, che avrebbe giocato in una squadra di primera division, che avrebbe comprato casa alla sua famiglia, che avrebbe giocato il mondiale e ‘’salir campeon’’ e difatti ci è riuscito. La cosa che si evince dall’occhio di Kusturica è l’amore di Diego per i più deboli, per gli sconfitti in partenza. La scelta di Napoli non è casuale, come il resto della sua esistenza. Non giocava a calcio, era un artista, il migliore. Diego Armando Maradona dalle favelas di Villa Fiorito, Buenos Aires, è un uomo vero, divino nei piedi, umanissimo nel cuore e nel cervello, uno che ha sempre aiutato solo gli altri finendo per non aiutare se stesso. E se c’è chi lo considera Dio, Emir lo chiama Mr.God, nel film vediamo che esiste una chiesa maradoniana di fanatici, non è mica colpa sua. È solo che ha dato gioia, passione, amore a milioni di persone, rimanendone infine schiacciato.
Immagini:
Locandina: MyMovies Immagine: Corriere della Sera Immagine2: Rumore Immagine3: MondoRossoBlù.it
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La Recensione
di Matelda Giachi
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Genere: Storico, Drammatico
Rilascio: 15 novembre 2020 Episodi: 10 Durata: 50 min circa Cast: Olivia Colman, Tobias Menzies, Helena Bonham Carter, Gillian Anderson, Josh O'Connor, Emma Corrin, Marion Bailey, Erin Doherty, Stephen Boxer, Emerald Fennell Produzione: Darren Star Productions, MTV Studios Distribuzione: Netflix Paese: Regno Unito, USA Regia: Peter Morgan
Continua l’avventura di Peter Morgan che racconta la storia della corona d’Inghilterra a partire dall’ascesa al trono della sua attuale regina, Elisabetta II. The Crown è giunto alla sua quarta stagione, la seconda e ultima che vede l’immensa Olivia Colman nei panni della sovrana. I dieci episodi che la compongono abbracciano all’incirca un decennio, più precisamente gli anni della Lady di ferro al numero 10 di Downing Street, dalla sua elezione, nel 1979, alla sua caduta, nel 1990. Addentrarsi in questo periodo storico ha due immediate conseguenze. Il primo è un pericoloso avvicinarsi a fatti attuali, estremamente suscettibili ad una messa in discussione; il secondo è l’ingresso in scena di due nuove figure femminili importanti che, a livello di sceneggiatura, rubano un po’ di spazio alla, fino ad ora, protagonista assoluta, qui alle prese con il suo ruolo di madre di figli cresciuti e allo sbando. Sono Margareth Thatcher, prima donna ad essere eletta Primo Ministro, e l’ex principessa del Galles Lady Diana che, proprio in quegli anni, fa il suo ingresso nella vita di Carlo e della famiglia reale.
Una stagione in mano alle donne. Mentre si susseguono eventi di varia rilevanza come la morte di Lord Mountbatten, mentore del principe Filippo e di Carlo, per mano dell’IRA, la guerra nelle Falklands, l’intrusione a palazzo di Michael Fagan, la lotta all’Apartheid, il vero fuoco di questa panoramica sulla corona inglese è la contrapposizione tra queste tre donne, questi tre caratteri tra loro agli antipodi.
Da sempre acclamata dalla critica, The Crown continua ad essere il fiore all’occhiello di Netflix e a distinguersi per la sua attenzione al dettaglio, che spazia dal trucco all’ambientazione, e per la qualità che investe a 360 gradi ogni ambito della messa in scena e in particolar modo regia, fotografia e scelta del cast. Quest’ultima confermata ancora una volta dalla performance strabiliante di Gillian Anderson nei panni di Margareth Thatcher. The Crown ha il pregio di trovare sempre un giusto equilibrio tra attinenza ai fatti e licenza poetica. Laddove gli sceneggiatori si prendono la libertà di romanzare qualche dialogo a fini drammatici, lo fanno sempre cercando di rimanere nell’ambito del probabile.
Sempre per quanto riguarda la sceneggiatura, di vitale importanza è lo studio della componente umana. La regina e il Primo Ministro sono in forte contrasto tra loro, eppure traspare lo stesso una condizione di grande rispetto reciproco, figlia di una totale e completa dedizione al proprio ruolo da parte di entrambe. Al fallimentare e infelice matrimonio tra Carlo e Diana si avvicina senza completamente divinizzare lei né demonizzare lui. Il ritratto che ne esce di Carlo è quello di un uomo fragile, che però nessuno ha mai ascoltato. In continua ricerca di conferme esterne, non ha la tempra per reggere da solo quel grande palcoscenico che è la corona e la naturalezza con cui invece Diana conquista qualsiasi pubblico alimenta una frustrazione pronta a tramutarsi in cieco rancore. Diana non è perfetta, è “una bimba” catapultata in un circo senza essere preparata e che quindi commette molti errori e convive con un problema di bulimia che la sua interprete, Emma Corrin, ha esplicitamente chiesto di rappresentare senza filtri. La giovane attrice si è fatta carico di un ruolo estremamente difficile per l’inevitabile occhio giudicante del mondo, che tanto era legato a Lady Diana, puntato addosso e pronto ad attaccare. La sua, possiamo dirlo, vittoria, sta nell’aver riportato in vita quella che era la caratteristica prima e più bella di Lady D: la sua commovente e dolcissima sete d’amore. Quell’amore che ha suscitato in un intero pianeta, che ancora la porta nel cuore a più di vent’anni dalla sua scomparsa, ma che non è riuscita invece ad ottenere da coloro che le stavano più vicino.
Outstanding; eccezionali Josh O'Connor e Emma Corrin nell’interpretare due ruoli tanto in contrasto quanto equamente duri. Non si possono definire altrimenti. Al contrario dei personaggi che interpretano, i due sembrano aver lavorato davvero bene insieme ed aver trovato la giusta chimica, perché l’incomunicabilità tra Carlo e Diana trapassa lo schermo e il cuore dello spettatore, rendendo emotivamente molto faticosa la visione degli episodi a loro dedicati. Il risultato di un grande lavoro di squadra.
Voto: 9 di Federica Gaspari ![]() Genere: thriller, poliziesco, drammatico Anno: 2020 Regia: Giacomo Cimini Attori: Lorenzo Richelmy, Sergio Castellitto, Anna Foglietta, Gianluca Gobbi, David Coco Sceneggiatura: Giacomo Cimini, Lorenzo Collalti Fotografia: Maurizio Calvesi Produzione: Paco Cinematografica, Atica Cuarzo Innova, Eagle Pictures Paese: Italia, Spagna Durata: 84 min Le sperimentazioni di cinema di genere hanno profondamente segnato gli ultimi anni del cinema italiano con l’affermazione di registi e artisti nuovi sulla scena nazionale e non solo. Il pubblico, tra piccolo e grande schermo, ha potuto vivere storie e atmosfere inedite capaci spesso di coniugare caratteristiche peculiari dell’intrattenimento statunitense con uno spirito più autentico e nostrano. Il genere thriller con sfumature eleganti è senza dubbio tra i terreni più interessanti e intriganti per un artista che desidera proporre un prodotto diverso sul mercato. Il talento del calabrone si tuffa in questa prospettiva cogliendo a piene mani da una lunga tradizione cinematografica – soprattutto a stelle e strisce – per trovare una chiave di lettura accattivante per il pubblico italiano. Dopo un tentativo di distribuzione a marzo 2020 sospeso a causa dell’emergenza COVID, questa pellicola approda sulla piattaforma di Prime Video a 17 anni dall’uscita del primo lavoro da regista di Giacomo Cimini, Red Riding Hood. Tra i grattacieli che illuminano la notte milanese risuona la voce di Step (Lorenzo Richelmy), speaker di Radio 105 che con grande carisma ed esperienza da dj navigato intrattiene e coinvolge i suoi ascoltatori con un simpatico concorso musicale a premi. La nottata sembra essere destinata a diventare un’esperienza fuori dal comune dopo che il ragazzo riceve una telefonata inquietante: dall’altra parte della conversazione c’è Carlo (Sergio Castellitto), un uomo che con toni spietati quanto rassegnati annuncia che sta per suicidarsi. L’intera telefonata, secondo i piani di Carlo dovrà essere trasmessa in diretta con la minaccia di dare vita a una serie di attentati per le strade di Milano. Il tenente colonnello Amedei (Anna Foglietta), interpellata come responsabile delle forze dell’ordine, dovrà porre fine insieme a Step a una situazione senza precedenti. Lo skyline elegante e allo stesso tempo misterioso di Milano accoglie lo spettatore introducendolo a una storia ricca di tensione. Il più grande pregio di questo film, infatti, è la capacità di sfruttare un ottimo spunto narrativo di partenza per costruire un ritmo serrato che riempie di suspense ogni singolo minuto. Tuttavia, pur sviluppandosi da presupposti molto simili a quelli del gioiellino danese The Guilty, il film di Cimini non gioca per sottrazione concentrandosi esclusivamente su voci spezzati e primi piani claustrofobici. Il talento del calabrone predilige infatti una messa in scena ancora più pop che gioca soprattutto con i contrasti grazie alla continua contrapposizione tra la leggerezza frizzante del programma condotto da Step con le scelte musicali malinconiche imposte da Carlo. Quest’ultimo accende infatti il motore della narrazione prendendone le redini sin dai primi minuti, catapultando così il pubblico nel vivo dell’azione e della sfida di nervi tra i personaggi che, purtroppo, nella seconda parte del racconto diventano però il più grande punto debole del film. Il ritmo serratissimo, infatti, non riesce a distogliere l’attenzione dalla fragilità della scrittura dei personaggi che emerge con tutte le sue debolezze proprio poco prima dell’epilogo. I tre personaggi principali, pur prendendo vita grazie a grandi interpreti, si limitano a ridursi a puri stereotipi del genere senza trovare davvero profondità nemmeno nei momenti più emozionanti. In particolare, il personaggio più sacrificato è quello di Anna Foglietta, letteralmente schiacciato da alcuni sequenze involontariamente ridicole. Fortunatamente un ottimo colpo di scena finale riesce a risollevare le sorti di un prodotto che, nonostante i suoi numerosi limiti, riesce a essere una ventata di aria fresca e un importante segnale per gli appassionati del genere. Immagini tratte da: www.primevideo.com
di Vanessa Varini
LE NOVITÀ HOME VIDEO DI DICEMBRE 2020: il young adult “AFTER 2", il docufilm “PAOLO CONTE, VIENI VIA CON ME”, il capolavoro “PARASITE” e l’horror “THE VIGIL”
Natale si avvicina e cosa c'è di meglio che regalare un buon film? Nel mese di dicembre Eagle Pictures propone tantissime novità in Home Video.
Se amate il genere Young Adult il 2 dicembre esce in DVD e Blu-ray con card esclusiva da collezione "After 2” di Roger Kumble, il secondo capitolo tratto dalla celebre saga best seller di Anna Todd che ha venduto oltre un milione e mezzo di copie.
Le foto sono state gentilmente inviate dall'ufficio stampa di Milla Macchiavelli. di Matelda Giachi Regia: Duilio Scalici Soggetto: Ninfa Santoro, Duilio Scalici Interpreti: Duilio Scalici, Ninfa Santoro Enfer è un corto che nasce con l’ingresso in un periodo buio, quello di marzo 2020 e del primo lockdown e fa quasi specie trovarsi a parlarne proprio ora che molte regioni italiane ma anche molti paesi esteri ne stanno affrontando un secondo. In quanto figlio della quarantena, questo corto presentato in anteprima mondiale al Raindance Film Festival 2020, in Inghilterra, è stato realizzato con totale assenza di budget, frutto solo della creatività e della voglia di non arrendersi alla noia, con i soli strumenti disponibili tra le quattro mura di casa. Si racconta una storia d’amore; non un amore romantico ma carnale, perverso e antichissimo, quello del diavolo per il mondo. Lucifero ha da sempre una forte attrazione per il mondo terreno, da quando ancora non abitava gli inferi ma era un essere Celeste. Prima della caduta. E’ attratto da quella creatura imperfetta plasmata a immagine della perfezione che è l’uomo. Lo corteggia, lo seduce con lentezza e lo consuma in un attimo non appena lo fa suo. Duilio Scalici che con Ninfa Santoro è anche autore ed interprete, riesce a condensare questa storia in poco più di quattro minuti grazie ad un forte simbolismo. Prima di tutto l’uso del colore, con la continua scelta del rosso che richiama la passione ma è anche il colore dell’inferno. Ma il colpo di genio è l’uso delle carte dei tarocchi, rispettivamente “le diable” e “le monde” per comunicare il tema. Il diavolo non ha sembianze mostruose, è anzi elegante, posato, più subdolo che mai. Il suo voltafaccia si rivela con un brusco passaggio sonoro dalla musica classica alla musica rock. Il finale rimane aperto, simbolico e misterioso. Ha le sembianze di un gatto. Un cortometraggio brevissimo, d’impatto, a tratti inquietante. A detta del suo autore è nato da solo in corso d’opera, forse perché in periodi bui, è più facile esplorare l’oscurità.
Immagini: MCfactory www.ecodelcinema.com www.derzweifel.com di Vanessa Varini Titolo: Gli orologi del diavolo Paese: Italia, Spagna Anno: 2020 Genere: azione, drammatico Puntate: 4 (8 episodi) Durata: 50 minuti Regia: Alessandro Angelini Interpreti e personaggi: Giuseppe Fiorello (Marco Merani); Alvaro Cervantes (Aurelio); Claudia Pandolfi (Alessia); Nicole Grimaudo (Flavia); Fabrizio Ferracane (Mario); Carlos Librado (Pablo); Gea Dall’Orto (Gioia Merani) Nel 2009 a Punta de Tarifa, in Andalusia, un uomo scappa sfrecciando in mare su un gommone ma poi viene arrestato. La vicenda si sposta tre anni prima: quell'uomo è Marco Merani (Beppe Fiorello), un meccanico specializzato nella costruzione di gommoni e piccole imbarcazioni che un giorno stringe un accordo con il signor Polverone, un tipo molto particolare che gli offre un sacco di soldi. Quando Polverone viene trovato morto perché implicato in un traffico di droga, la vita di Marco cambia per sempre. I suoi gommoni infatti vengono utilizzati da una banda di narcotrafficanti spagnoli per nascondere la merce e la droga. Così Marco chiede aiuto a Mario, un poliziotto e suo amico. Lui e i suoi colleghi seguono questo caso da molto tempo senza risultati e a Marco gli viene proposto di collaborare sotto copertura per catturare il boss. L'uomo diventa in breve tempo un punto di riferimento per Aurelio (Álvaro Cervantes), probabilmente l'unico narcotrafficante spagnolo che ha un nome romano, capo dell'organizzazione criminale, che stringe accordi lavorativi regalando orologi costosi. Marco si trova costretto a condurre una doppia vita nascondendo la verità alla sua famiglia e inevitabilmente la sua vita si sfascia. "Gli orologi del diavolo" è una miniserie in quattro puntate andata in onda lunedì 9 e martedi 10 Novembre (le ultime due puntate, invece, andranno in onda lunedì 16 e Martedì 17), realizzata in collaborazione tra Rai e Mediaset España, ispirata al libro scritto da Gianfranco Franciosi e Federico Ruffo Gli Orologi del Diavolo. Gianfranco Franciosi, la storia dell’infiltrato nei narcos tradito dallo Stato che racconta la storia vera di Franciosi, un semplice meccanico navale che si ritrova coinvolto suo malgrado in un traffico di droga, tra camorristi e narcotrafficanti che smerciano fra Italia, Spagna e Venezuela. Pensare che questa storia un po' assurda sia in realtà accaduta veramente fa venire la pelle d'oca e Beppe Fiorello è bravissimo a incarnare un personaggio complesso e parecchio sfortunato, si prova compassione per lui, ma allo stesso tempo pecca di ingenuità e racconta troppe bugie alla sua famiglia. Anche il coprotagonista Aurelio è interpretato bene e alcune volte è proprio insopportabile, si attacca a Marco come una cozza, continua ad insistere per trascinarlo nei suoi sporchi traffici e s'intromette anche nella sua vita familiare. Se siete appassionati di serie action (ci sono delle scene molto movimentate e inseguimenti) e di drammi anche sentimentali (il primo matrimonio di Marco naufragherà, ma nelle ultime due puntate incontrerà un'altra donna, interpretata da Claudia Pandolfi), questa serie vi soddisferà!
LE PUNTATE SI POSSONO RECUPERARE SU RAIPLAY https://www.raiplay.it/programmi/gliorologideldiavolo Immagini tratte da: https://www.raiplay.it/ https://www.amazon.it/ https://www.nospoiler.it/ Il primo atto della 50esima edizione dell’International Film Festival di Rotterdam celebra i suoi titoli più appassionanti che ricordano il vero valore del cinema in tempi di grandi sfide. di Federica Gaspari Si è conclusa domenica 7 febbraio la prima parte della 50esima edizione dell’International Film Festival di Rotterdam, appuntamento cinematografico che negli anni ha saputo conquistarsi un ruolo di rilievo nel panorama internazionale divenendo una grande occasione per celebrare il cinema nella sua essenza più pura e avveniristica. Grazie a delle selezioni variegate e dai temi estremamente attuali, la manifestazione che vanta la direzione di Vanja Kaludjercic non ha infatti tradito lo spirito di una città emblematica, un palcoscenico naturale per la settima arte ma anche un punto d’incontro per gli artisti e per il pubblico. Una forma inedita che si è snodata principalmente online per gli appassionati provenienti da ogni parte del mondo ha nutrito una vera rete di connessioni attraverso screen ma soprattutto eventi dedicati alle voci di grandi protagonisti. Con un’anima multiforme, la tigre di Rotterdam – simbolo del festival – ha così guidato con acume e determinazione il pubblico attraverso un viaggio festivaliero fuori dall’ordinario. I premi di IFFR 2021 Registi e autori dalle visioni brillanti e ambiziose sono divenuti assoluti protagonisti di una manifestazione dinamica e capace di valorizzare l’unicità del talento e, allo stesso tempo, l’impatto della pluralità soprattutto in tempi estremamente complessi per l’industria. In nome proprio della resilienza dimostrata e della potenza del mezzo cinematografico, la giuria della Tiger Competition ha premiato Pebbles di Vinothraj P.S. come miglior film della sezione. La pellicola ambientata in India ha conquistato i giurati con la sua incredibile capacità di coniugare semplicità con temi complessi in un racconto di un viaggio animato da riflessioni sulle sfumature delle relazioni familiari. I premi speciali della giuria, invece, sono stati assegnati a I Comete – A Corsican Summer, celebrazione del lento scorrere di umanità ed emozioni sotto il sole della Corsica, e a Looking for Venera, un debutto di grande impatto costruito sul contrasto tra i desideri di una giovane donna e le restrizioni di una comunità dai valori tradizionali in Kosovo. La produzione argentina El perro que no calla di Ana Katz si è aggiudicata invece il VPRO Big Screen Award, riconoscimento che garantisce una distribuzione cinematografica nelle sale e sulle reti olandesi. Infine, il pubblico ha premiato Quo Vadis, Aida?, teso dramma sul conflitto bosniaco. Nella sezione Ammodo Tiger Short trionfano Sunsets, everyday, costruzione brillante e genuina che disseziona tutta la brutalità della violenza domestica, Terranova, sguardo virtuoso e sperimentale sul concetto di città, e Maat Means Land, dichiarazione di intenti e impegni con flusso di coscienza. Tra i corti, anche Manifesto di Ane Hjort Guttu ottiene il KNF Prize grazie alla sua analisi del ruolo della creatività nella società. Il premio FIPRESCI, infine, è andato a The Edge of Daybreak della regista thailandese Taiki Sakpisit. La giuria dei giovani di IFFR, composta da 5 ragazzi di Rotterdam, ha invece premiato La nuit des rois per la sua capacità ammirevole di celebrare la tradizione del racconto nella cultura africana. I nuovi orizzonti dell’International Film Festival di Rotterdam Con questo suo primo capitolo, l’International Film Festival di Rotterdam consolida la sua reputazione prestigiosa nel circuito non solo grazie a una proposta di titoli attuali e stimolanti ma soprattutto per la capacità di condividere e amplificare storie e voci urgenti con un’efficacia disarmante. L’energia di questa prima parte della 50esima edizione diventa così un atto di amore per la settima arte proprio nel momento in cui il cinema ne ha più bisogno. L’avventura, però, non termina con questa premiazione. IFFR, infatti, richiama a raccolta tutta la comunità cinefila per la seconda parte della kermesse che avrà luogo dal 2 al 6 giugno, pianificando una versione ibrida che nelle intenzioni si snoderà tra incontri, proiezioni in presenza ed esclusivi eventi online. Maggiori info su: https://press.iffr.com/ di Federica Gaspari ![]() Paese: Corea del Sud Anno: 2020 Genere: fantascienza Episodi: 8 Durata: 42-58 min Ideatore: Min Kyu-dong Regia: Min Kyu-dong, Roh Deok, Lee Yoon-jung, Han Ka-ram, Ahn Gooc-jin, Jang Cheol-soo, Oh Ki-hwan, Kim Ui-seok Cast: Lee Yoo-young, Ye Soo-jung, Yum Hye-ran, Lee Yeon-hee, Lee Dong-hwi, Nam Myung-hwi, Kim Bo-ra, Lee Si-young, Ha jun Gli ultimi mesi hanno visto prendere forma scenari che in precedenza si potevano immaginare unicamente in opere di sofisticata fantascienza. Il cambio del contesto sociale e culturale richiede anche una reinvenzione del genere fantascienza, da sempre il campo cinematografico più affascinato dalle estreme conseguenze dell’evoluzione della società. Nell’ultimo decennio di intrattenimento, che ha trovato terreno fertile soprattutto sul piccolo schermo, un titolo in particolare ha trovato il ruolo di maggiore interprete di queste realtà fragile nella sua mutevolezza: Black Mirror. Conseguentemente, la serie antologica ideata da Charlie Brooker è diventata – prima per merito e poi per sola anzianità – il termine di paragone di tutta la narrativa fantascientifica distopica della quotidianità. Questo palcoscenico, erroneamente limitato al solo ambiente anglosassone, trova però finalmente una ventata di aria fresca con SF8, sorprendente serie sudcoreana presentata in esclusiva alla ventesima edizione del Trieste Science Fiction Festival. Sviluppandosi su 8 episodi dai toni e dalle tematiche estremamente variegate, lo show sudcoreano immagina un futuro prossimo in cui spesso la tecnologia è diventata parte integrante della quotidianità per l’assistenza medica ma anche per sopravvivere a livello di inquinamento non più sostenibili. Realtà virtuale e intelligenza artificiale non sono più semplici traguardi sperimentali ma realtà consolidate a cui la società si affida quasi ciecamente per risolvere indagini ma anche per trovare sollievo dopo la perdita di un familiare. Come si conoscono e, soprattutto, come si interpretano tuttavia le emozioni in un contesto in cui il concetto di umanità scopre e integra nuove caratteristiche avveniristiche? Pur basandosi su un progetto di lunghissima gestazione – la produzione ha avuto ben prima dello scoppio della pandemia – la serie ideata da Min Kyu-dong costruisce una prospettiva lucidissima, quasi profetica sulla realtà. Grazie al coinvolgimento di 8 sguardi differenti alla regia, SF8 assicura autenticità in ogni suo episodio, anche in quelli meno riusciti che risultano comunque necessari. Il paragone con Black Mirror – inevitabile per le premesse – perde quindi gradualmente significato davanti allo snodarsi di riflessioni profonde e spesso inedite sulla presa di coscienza dei limiti, sul rapporto tra aspettative, insicurezze e rimorsi. Non è difficile, quindi, riconoscere in un gruppo di variopinti personaggi un animo inquieto e introspettivo che vena fortemente anche il cinema sudcoreano che negli ultimi anni ha saputo farsi conoscere sia nei festival internazionali che a Hollywood. La convincente combinazione tra una sensibilità insolita, uno sguardo lucido sulle diseguaglianze sociali e una messa in scena elegante quanto sofisticata trova la sua massima espressione in particolare in due episodi. The Prayer è l’episodio di apertura della serie che inquadra sin dai primi minuti una riflessione a metà strada tra Blade Runner e Ex Machina: una macchina perfetta, inattaccabile dal punto visto emotivo, come può comportarsi davanti a un dilemma sul male minore e quanto è sacrificabile? Joan’s Galaxy, invece, trova inquietanti punti di contatto con l’attualità immaginando un pianeta in cui l’aria irrespirabile compromette irrimediabilmente la salute umana. Solo alcune classi privilegiate possono permettersi di proteggersi da questa malattia. E se le barriere sociali, però, si dovessero infrangere? Con questo squarcio spietato nella finzione, la fantascienza trova il collegamento diretto con la realtà divenendo il filo conduttore di un’antologia di racconti e personaggi di rara e autentica bellezza nell’attuale panorama internazionale. Immagini tratte da: www.sciencefictionfestival.org di Federica Gaspari Lo space-horror Sputnik non ha rivali nella competizione e conquista l’ambito premio Asteroide in un’edizione senza precedenti che ha avuto luogo sul web dal 29 ottobre al 4 novembre. In tempi straordinari per il mondo dell’intrattenimento e, in particolare, del cinema, il Trieste Science+Fiction Festival si affida ai suoi vent’anni di prestigiosa storia per trovare gli strumenti giusti per affrontare i cambiamenti inevitabili di un settore che rivolge sempre più il suo sguardo al digitale. Con un catalogo ricco e variegato sia nei temi che nei generi, la kermesse italiana, tra le maggiori manifestazioni europee dedicate al genere fantascientifico, per la prima volta ha avuto luogo online sulla collaudata piattaforma virtuale di MyMovies. I nuovi orizzonti e le scommesse trovano così riscontro anche nei riconoscimenti finali di questa speciale edizione che premia storie dal forte spirito riflessivo, venate di inquietudine ma anche attente nel ricercare e interpretare i cambiamenti. Premio Asteroide Il riconoscimento più prestigioso della manifestazione internazionale è stato assegnato alla pellicola russa Sputnik di Egor Abramenko. Il film, già presentato all’ultima edizione del Tribeca Film Festival, gioca con le leggendarie atmosfere di un classico come Alien e mescola i brividi da space-horror a riflessioni non banali sul disfacimento dell’Unione sovietica raccontando un’avventura fantascientifica ambientata negli anni Ottanta. Pur non convincendo nell’atto finale, il film vincitore lascia il segno proponendo un ritratto a tinte sanguinose di una generazione disillusa. Menzione speciale – Premio Asteroide La giuria internazionale composta da Bepi Vigna, Javier S. Donate e Brendan McCarthy ha riservato inoltre un riconoscimento speciale al secondo lungometraggio da regista del canadese Anthony Scott Burns, Come True. Forte del successo di critica raccolto al prestigioso Sitges Film Festival, questo titolo è un inquietante viaggio alla scoperta della mente di una giovane protagonista che, gradualmente, farà luce su alcuni suoi lati nascosti. Con grande maestria, Scott Burns riesce a coniugare le più pure esigenze di intrattenimento del genere con una carica emotiva tutt’altro che scontata. Premi Méliès d’argent e Rai4 La giuria formata da Pino Donaggio, Sabrina Baracetti e Martin Turk in collaborazione con la Méliès International Festival Federation ha assegnato la statuetta per la migliore produzione europea al lungometraggio austro-tedesco The Trouble with Being Born, opera autoriale e controversa con forti venature d’inquietudine. La menzione speciale è invece andata all’affascinante horror storico Post Mortem dell’ungherese Peter Bergendy. Il premio per il miglior corto scelto dal pubblico è invece finito tra le mani di Carlo Ballauri per The Recycling Man. Bergendy si è aggiudicato anche il Premio Rai4 per il migliore lungometraggio. La stessa giuria ha inoltre assegnato la menzione speciale a Mortal del norvegese André Ovredal, al suo settimo lavoro dopo il successo di Scary Stories to Tell in the Dark. La rilettura in chiave autoriale del mito di Thor regala un’alternativa sofisticata alle più classiche storie di supereroi risultando però più efficace nelle intenzioni che nella realizzazione. Il Premio Nocturno Nuove Visioni e CineLab Spazio in collaborazione con il DAMS sono stati infine assegnati rispettivamente alla produzione francese Meander di Mathieu Turi e al corto Guinea Pig di Giulia Grandinetti e Andrea Benjamin Manenti.
Nuove prospettive e rotte da percorrere Un’edizione riuscita sia livello artistico che logistico consolida il primato del Trieste Science+Fiction sul panorama internazionale come uno dei palcoscenici più importanti dedicati alla fantascienza più ricercata, con un occhio attento alle contaminazioni, alle grandi anteprime e, soprattutto, al mondo indipendente. La scommessa per questo fantascientifico 2020 si può allora dire vinta anche grazie a un grande risultato da cui trarre un importante insegnamento: la capacità di rischiare nelle scelte e negli orizzonti scelti può essere la chiave giusta per reinventarsi in un momento in cui tutti hanno bisogno la giusta combinazione tra fantasia e scienza.
di Matelda Giachi
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Genere: Avventura, Commedia, Family, Fantasy
Anno: 2020 Durata: 106 min Regia: Robert Zemeckis Sceneggiatura: Robert Zemeckis, Guillermo del Toro, Kenya Barris Cast: Anne Hathaway, Octavia Spencer, Jahzir Bruno, Stanley Tucci, Codie-Lei Eastick, Chris Rock, Charles Edwards Fotografia: Don Burgess Montaggio: Ryan Chan, Jeremiah O'Driscoll Musica: Alan Silvestri Effetti speciali: Travis Caverhill, Mark Holt Produzione: Warner Bros., ImageMovers, Esperanto Filmoj Distribuzione: Warner Bros. Pictures Paese: USA
Sapreste riconoscere una strega? Le streghe non hanno capelli, coprono la loro testa calva sotto imponenti parrucche che gli causano un fastidioso prurito; hanno bocche e narici enormi che dissimulano con il trucco; sono prive di dita dei piedi e neanche le mani sono come le nostre, per questo le nascondono sotto lunghi guanti. Ma soprattutto, le streghe odiano i bambini e farebbero qualsiasi cosa pur di far sparire dalla faccia della terra quelle odiose creature puzzolenti.
Lo sanno bene il bimbo protagonista di questa storia e la sua nonna che, in fuga da una strega, si ritrovano ad alloggiare, per crudele scherzo del destino, direttamente nella tana del lupo, ovvero nell’hotel che ospita l’annuale convention di ritrovo di tali esseri demoniaci. Quel che si dice, avere sfiga con stile.
Regia di Robert Zemeckis, che firma anche la sceneggiatura in collaborazione con Guglielmo del Toro, che è anche produttore, insieme a niente di meno che Alfonso Cuaron. Una rosa di nomi importanti a testimonianza di come Roald Dahl, scrittore per ragazzi del secolo scorso, ancora ispiri l’immaginario di grandi e piccini.
Zemeckis sposta l’ambientazione dall’Inghilterra all’Alabama degli anni ’60, sceglie come protagonista un bimbo di colore ed una dolcissima attrice premio Oscar (Octavia Spencer) come nonna, rende etnicamente più variegato il gruppo delle streghe ma si mantiene più fedele al testo originale di quanto avesse fatto Nicolas Roeg, che per primo, nel 1990, aveva adattato il celebre racconto. Forse un po’ più terrificante del suo predecessore perché guarnito di qualche particolare disgustoso in più, che porta senza dubbio la firma di Del Toro, e per questo, si, per bambini ma sconsigliato ai più piccolini.
Senza particolari guizzi di originalità, Zemeckis fa affidamento per il suo nuovo film sulla forza della storia di Dahl e sulla recitazione di Anne Hathaway. L’attrice, che impersona la cattivissima strega suprema, ruolo che era stato di Angelica Huston, si fa trasportare dal personaggio, gioca con voce e accenti, si lascia andare ad una espressività estrema ed ha l’aria di divertirsi enormemente. Nel cast si riunisce, dai tempi de’ Il Diavolo Veste Prada, con Stanley Tucci, che le si affianca con un’interpretazione invece composta ed elegante. Il caratterista forse più amato di Hollywood, si conferma sempre un grande attore, in grado di rendere indimenticabile ogni suo ruolo pur senza essere il protagonista.
Un film carino e piacevole per cui incatenare ad una poltrona figli, fratelli, nipoti, bambini a caso trovati per strada, e avere la scusa per assaporare di nuovo un po’ di sapore d’infanzia. Ma da vedere anche da soli in tutta pace, dal momento che una seconda ondata pandemica ne ha, ahinoi, spostato il rilascio dalla sala cinematografica alle piattaforme on demand. Voto: 8 |
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Marzo 2023
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