Ogni epoca ha il suo mezzo di intrattenimento peculiare e, nel corso dei decenni, il podio si è plasmato per accogliere programmi radiofonici, film di ogni genere, reality show e, per l’appunto, serie TV. Negli ultimi anni, con l’avvento del web, il fruitore medio di episodi seriali ha potuto accedere in qualsiasi momento ai contenuti che più amava: è nata la pratica del binge-watching, anche grazie alla diffusione di servizi come Netflix. Un po’ spinti dalla curiosità verso un mezzo nuovo, un po’ per la varietà del catalogo che il noto servizio streaming offre, un po’ per il rapporto qualità prezzo, a partire dalla fine del 2015 gli italiani si sono abbonati in massa, dando una prova ulteriore di quello che è evidente da diversi anni: le serie TV stanno surclassando il cinema. Lo stanno facendo, peraltro, attraverso gli stessi mezzi che hanno reso grande la settima arte, attraverso la creazione di un dialogo florido che ha portato registi di fama internazionale a confezionare piccoli gioiellini seriali e, in generale, una maggiore attenzione ad elementi che prima (con le dovute eccezioni) venivano sacrificati. Oggi vogliamo consigliarvi alcune serie uscite nel 2016 che, secondo noi, vale la pena recuperare, magari approfittando delle festività.
3 serie da iniziare Stranger Things
La serie che, fin dalla sua data di uscita (luglio 2016), ha fatto parlare di sé. Stranger Things ha saputo fondere tanti clichè per creare un prodotto eccellente e fresco, che sprizza anni ‘80 da tutti i pori. Un po’ Twin Peaks, un po’ Piccoli brividi, un po’ (tanto!) sci-fi vecchio stile, riesce a tenere attaccati allo schermo sia i più nostalgici che i non. Menzione d’onore per il cast, che comprende attori giovanissimi affiancati da star del calibro di Winona Ryder.
LOVE Sbarcata su Netflix qualche giorno dopo San Valentino, la serie ruota attorno ai due protagonisti, Gus e Mickey: lui un nerd che nel tempo libero compone canzoni per film che non ne prevedevano, lei una ragazza incasinata e alcolista. Non lasciatevi ingannare, però: Love non è una commedia romantica. Con uno stile che ricorda un po’ Man Seeking Woman (pur tralasciando gli elementi paranormali), la serie mostra in maniera realistica le mille sfaccettature dell’amore, che non è mai davvero semplice come Hollywood sembrerebbe mostrare. Interessante e acuto anche il modo in cui viene affrontata la dipendenza da alcool e droghe. Si attendono sviluppi per la seconda stagione, già annunciata da Netflix. Easy Di relazioni, amore e sesso parla anche questa serie, sempre prodotta da Netflix e online da settembre. Easy è formata da otto episodi autoconclusivi che hanno in comune la location: Chicago. Il cast corale, che comprende Orlando Bloom e Emily Ratajkowski, interpreta persone comuni alle prese con la loro quotidianità. In sostanza, la serie è esattamente quello che dichiara di essere, già a partire dal titolo: un insieme di storie semplici, in grado di mostrare spaccati di vite qualsiasi, dimostrando come anche la più tranquilla e abitudinaria delle realtà può nascondere aneddoti… piccanti! 2 serie da recuperare Orange is the New Black (quarta stagione) Ennesima serie originale targata Netflix, Orange is the New Black diventa una droga dopo pochi episodi. La condanna a un anno di prigione della protagonista (una classica wasp della middle class americana) diventa un pretesto per esplorare il micro-universo delle carceri americane. OITNB, però, fa molto più di questo: con un tono spontaneo, riesce a fare immedesimare lo spettatore in personaggi appartenenti a realtà diverse, avvicinandolo a tematiche come quella del razzismo, del sessismo e dell’omo-transfobia senza la pretesa di impartire lezioni morali. La quarta stagione è, insieme alla terza, la più corale e, per certi versi, differisce dal resto della serie, quasi come se l’intenzione dei creatori fosse quella di dare una svolta al corso degli eventi. Stringe il cuore e mozza il fiato. Ne vale la pena. Bojack Horseman (terza stagione)
Bojack Horseman è quella serie che, quando si inizia a seguire, sembra un semplice “cartone animato” un po’ grottesco, ma a poco a poco si rivela essere un magistrale affresco di cosa significhi essere famosi, sofferenti, dipendenti, fuori luogo (o tutte queste cose assieme). Finora nessuno show, specie animato, era riuscito a fotografare in modo così straziante e lucido la solitudine. La terza stagione andrebbe consigliata anche solo per l’episodio “Fish Out of Water” (3x04), quasi interamente muto ma carico di significato. Chi mai avrebbe potuto immaginare che sarebbe bastato un cavallo antropomorfo e un giovane perdigiorno con la voce di Aaron Paul (Jesse Pinkman di Breaking Bad e produttore di BH) per comunicare in modo così diretto con l’animo umano?
Per approfondire: https://www.vice.com/it/article/bojack-horseman-netflix-fish-out-of-water-miglior-episodio Immagini tratte da: http://redcarpetrefs.com/wp-content/uploads/2016/11/download-2.jpeg http://recuerdosfilms.com/wp-content/uploads/2016/02/love_season_1_netflix.jpg http://www.flixfilm.dk/wp-content/uploads/2016/09/easy-netflix-series.jpg https://scontent.cdninstagram.com/t51.2885-15/sh0.08/e35/13166847_775429085889915_2077423907_n.jpg?ig_cache_key =MTI1Mzg2NTgyMjg1NDI1ODc3MA%3D%3D.2 http://cdn.collider.com/wp-content/uploads/2016/07/bojack-horseman-season-3.png
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Prima di salutare il 2016 abbiamo chiesto alle nostre penne di scegliere le loro due pellicole preferite, dalla sorpresa Jeeg Robot di Mainetti al macabro The Witch.
La rubrica Cinema del IlTermopolio ci teneva a distinguersi dal resto delle webzines odierne. Basta con le solite classifiche di fine anno dove a trionfare sono sempre gli scontati titoli di massa, i franchise multimilionari o le pellicole troppo politically correct. In quest’epoca fatta di autori “copia e incolla” abbiamo deciso di dare voce alla nostra variegata e colorata redazione, coraggiosa e controcorrente. Composta da ragazzi che si son conosciuti quasi per caso e hanno deciso insieme di dare voce alla cultura, in un’epoca dove purtroppo l’arte e la passione sono state troppo frettolosamente sostituite da uno schermo “touch” o dalla sfrenata omologazione di massa. La forza dell’arte, con le sue forme e i suoi colori, le immagini di uno schermo in bianco e nero, il mattarello sporco di farina o le pagine aperte di un libro usurato devono essere il regalo più bello per le generazioni che verranno. Il confronto e la diversità nasce dall’amore per la cultura ed è proprio per questo che abbiamo voluto chiedere alle nostre “penne” i loro due film preferiti di quest’anno. Non abbiamo voluto stilare una classifica fatta di numeri e posizioni, benchè la tentazione fosse davvero forte, ma abbiamo voluto distinguerci e detto fra noi eravamo veramente curiosi di ascoltare i gusti cinematografici della nostra redazione. L’esito di questo sondaggio è stato davvero inaspettato, come l’enorme successo che il regista romano Gabriele Mainetti (clicca per leggere la nostra intervista all’autore) non attendeva minimamente: Lo Chiamavano Jeeg Robot (clicca per leggere la nostra recensione) infatti è stato il film prediletto dai nostri collaboratori. Il ritorno al cinema di genere in Italia ha portato entusiasmo tra gli appassionati e non solo: l’originalità e un pizzico di furbizia ha visto trionfare il duro lavoro di un autore che si è saputo distinguere, che ha osato ed è riuscito a portare un prodotto nuovo nelle nostre sale. Il resto delle pellicole, come leggerete, è un tripudio di generi differenti, siamo passati dal maldestro panda Po al disturbante e macabro The Witch, che con le sue ambientazioni oscure ha saputo ridare valore e dignità al genere horror. Non sono mancate le pellicole d’autore come l’impegnato Fuocoammare di Gianfranco Rosi (premiato con l’Orso d’Oro a Berlino e che per poco non si ritrovava nella cinquina per la corsa al miglior film straniero), che ha saputo affrontare con sguardo critico il triste fenomeno degli sbarchi a Lampedusa, o Suffragette di Sarah Gavron che ha voluto ricordare alle donne di tutto il mondo quanto è stato dura guadagnare i loro diritti nella Londra del 1912. La redazione ci ha regalato delle inaspettate sorprese, come del resto sa fare la decima musa, il nostro amato cinema, che continua a farci sognare e a regalarci profonde emozioni. La redazione del IlTermopolio vi lascia ai loro titoli preferiti e, per l’ultima volta in questo 2016, ci tenevamo ad augurarvi un sentito buon cinema. I titoli scelti dalla redazione: Salvatore Amoroso (cinema): Neruda di Pablo Larraín e Il Caso Spotlight di Tom McCarthy Olga Caetani (arte): Suffragette di Sarah Gavron e Room di Lenny Abrahamson Carlo Cantisani (musica): The Assassin di Hou Hsiao-Hsien e It Follows di David Robert Mitchell Ilaria Ceragioli (arte): La La Land di Damien Chazelle e Kung Fu Panda 3 di Jennifer Yuh e Alessandro Carloni Eva Dei (cucina): Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti e In guerra e per amore di Pif Ludovica Delfino (letteratura): Doctor Strange di Scott Derrickson e The Witch di Robert Eggers Andrea Di Carlo (letteratura): Macbeth di Justin Kurzel e The Danish Girl di Tom Hooper Paolo Di Vece (cucina): La Pazza Gioia di Paolo Virzì e Perfetti Sconosciuti di Paolo Genovese Enrico Esposito (musica e CapoRedattore): The Witch di Robert Eggers e La Macchinazione di David Grieco Alessandro Ferri (attualità): Fuocoammare di Gianfranco Rosi e The Danish Girl di Tom Hooper Giovanni “Ash” Lacava (scienza): Captain America: Civil War di Anthony e Joe Russo e Café Society di Woody Allen Giovanna “Jo’’ Leonetti (Correttrice di bozze e curatrice del profilo Instagram): L’uomo che vide l’infinito di Matt Brown e Animali Fantastici e Dove Trovarli di David Yates Lorenza Mariggiò (cucina): The Nice Guys di Shane Black e Ave Cesare di Ethan e Joel Coen Alice Marrani (musica): Lo Chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti e Animali Fantastici e Dove Trovarli di David Yates Marco Messina (letteratura e comics): Lo Chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti e The Neon Demon di Nicolas Winding Refn Antonio Monticolo (archeologia e Caporedattore): Doctor Strange di Scott Derrickson e X-Men Apocalypse di Bryan Singer Maria Orsetti (cucina): The Danish Girl di Tom Hooper e The Assassin di Hou Hsiao-Hsien Andrea Petrocca (attualità): Lo Chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti e Nocturnal Animals di Tom Ford Stefano Pipi (letteratura): Lo Chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti e 10 Cloverfield Lane di Dan Trachtenberg Sara Portone (eventi): Animali Fantastici e Dove Trovarli di David Yates e Victor, la storia segreta di Frankestein di Paul McGuigan Vito Rallo (sport): Room di Lenny Abrahamson e The Witch di Robert Eggers Alessandro Rugnone (arte): Lo Chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti e The Witch di Robert Eggers Andrea Samueli (archeologia e Caporedattore): Room di Lenny Abrahamson e The Nice Guys di Shane Black Maria Luisa Terrizzi (cinema): Lo Chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti e Juste la Fin du Monde di Xavier Dolan Lorenzo Vannucci (letteratura): Il caso Spotlight di Tom McCarthy e Rogue One di Gareth Edwards Vanessa Varini (cinema): Lo Chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti e Zootropolis di Byron Howard e Rich Moore Link immagini: Copyright IlTermopolio
Ritals
Con Federico Iarlori e Svevo Moltrasio Scritto, diretto e montato da Svevo Moltrasio Fotografia e grafica Cristian Zanin Musica Luca Gaigher
Ritals è un termine dell’argot francese che si riferisce, in modo dispregiativo, ai rifugiati italiani in Francia dopo la seconda guerra mondiale. Ed è anche il nome dell’entusiasmante webserie su Youtube per la regia di Svevo Moltrasio, che ha come protagonisti lo stesso Svevo insieme a Federico Iarlori. Ritals si compone di due stagioni, della seconda serie disponiamo al momento dei primi tre websodi (La rentrée, La cucina, Il cinema).
Una realtà, quella francese, efficiente e funzionale, filtrata dalla sensibilità di due italiani all’estero. Entrambi vivono a Parigi. Federico, abruzzese, colto e aperto al cambiamento; Svevo, romano, emblema dell’italiano medio. Dalla faciloneria al provincialismo, dal tradizionalismo all’approssimazione, dal maschilismo all’essere mammoni: un mix di tratti stereotipati che, conditi dalla parlata romanesca e dall’onnipresente chewing-gum ruminato da Svevo, contrasta con la raffinatezza, l’eleganza e la ricercatezza di Federico. Un effetto chiaroscurale particolarmente riuscito per la coppia in cui le risate non possono che essere garantite!
Non solo stereotipi e difettucci nostrani, ma anche tanta nostalgia di casa. La lente di ingrandimento sulla realtà francese e sulla percezione che di essa hanno i due italiani mette in luce che a Parigi tutto funziona a meraviglia. Eppure, sembra mancare tutto. Dove sono il sole, il mare, il clima mite, il buon cibo? E soprattutto dov’è il bidet!? Un confronto che innesca una forma di nostalgico campanilismo lontano dalla propria terra. Complice la difficoltà di inserirsi nel nuovo tessuto sociale, unito alla disattesa speranza di lavorare oltralpe, ci si rifugia nella sicurezza di un’overdose di stracchino per combattere gli attacchi di “panichite” (You Tube, Ritals S01-ep. 19) e la nostalgia di ciò che, trasfigurato dal ricordo, appare nella lontananza così irrinunciabile.
L’ironia, la comicità e la leggerezza dei websodi tratteggiano il volto dell’italianità a livello individuale, aprendo alla possibilità di riflettere sulla prospettiva più ampia della socialità italiana, in cui i tratti deteriori del singolo si ripercuotono inevitabilmente su scala macroscopica (traffico, mafia, mancanza di lavoro, solo per citare alcuni dei problemi classicamente italiani). Vivere all’estero diventa l’occasione per guardare se stessi, attraverso il confronto con il diverso (in senso socio-culturale innanzitutto). Una webserie in cui si ride tanto ma che, dietro la patina del luogo comune e dello stereotipo sa fare anche pensare, sempre mantenendo ritmo, brio e frizzantezza che ne fanno - oltre che la Best Italian Series 2016 premiata al Sicily Web Festival di Taormina - una serie amata e seguitissima sul web. Abbiamo rivolto alcune domande a Svevo Moltrasio, autore e attore di Ritals.
1) Come nasce l’idea di descrivere le avventure di due giovani italiani a Parigi?
Da un lato nasce dal desiderio di passare del tempo con gli amici e realizzare qualcosa insieme. A Parigi bisogna darsi dei ritmi e degli impegni precisi altrimenti si finisce per trascurare anche le amicizie. Soprattutto all'inizio ci divertiva molto ritrovarci per girare questi video. Inoltre, conoscendo sempre più a fondo la realtà francese e degli italiani all'estero, ho sentito l'esigenza di raccontare il mio punto di vista, scegliendo un taglio comico ma il più possibile fedele alla realtà, anche quella più stereotipata. 2) Per un Italiano all’estero è impensabile non provare nostalgia per il proprio Paese di origine. Cos’è che invece non ti manca per nulla dell’Italia? In realtà non so se è impensabile in assoluto. Conosco italiani che non hanno nostalgia del proprio paese. Pochi, una minoranza. Va detto poi sono sensazioni che cambiano molto in base agli anni, ai periodi che si attraversano. Una cosa che proprio non mi manca dell'Italia, di Roma in particolare, sarò banale ma sicuramente i trasporti pubblici. Inoltre direi una certa chiusura mentale, un provincialismo, legato al fatto che l'Italia è stata tagliata fuori dallo sviluppo economico e sociale degli ultimi decenni. Questo però per certi aspetti è anche uno dei suoi punti forti. 3) Immagina di poter attribuire ad un francese una caratteristica italiana e ad un italiano una caratteristica francese. Quali tratti sceglieresti? Essendo italiano, inevitabilmente avrei molte caratteristiche nostre che regalerei volentieri ai francesi. Se ne dovessi scegliere per forza una sola, forse direi la nostra ironia e autoironia. Agli italiani invece, dai francesi, consiglierei di prendere una certa propensione ad interessarsi alle cose con un punto di vista meno limitato e autoreferenziale. 4) Parlaci un po’ di te. Cosa facevi prima di diventare Svevo dei Ritals? Ero già Svevo, lo sono tutt'ora d'altronde. In Italia ho sempre lavorato in ambito cinematografico, ho girato molti cortometraggi da regista che hanno poco a che fare con i toni di Ritals. Spesso drammatici o piuttosto intellettuali, per non dire "pipparoli" (me lo sono sentito ripetere spesso durante la mia carriera). Poi venendo a Parigi, nel 2009, ho piano piano chiuso con questo mondo e mi sono rimesso completamente in questione. Ho fatto lavoretti di tutti i tipi (compreso il call center dove ho incontrato Federico) e, quasi casualmente, mi sono ritrovato di nuovo nello stesso ambito. 5) Ti senti più a tuo agio in veste di regista, di attore o in entrambi? Mi sento più a mio agio in vesti di sceneggiatore e montatore. Non amo particolarmente il set soprattutto nelle condizioni attuali in cui lavoriamo per Ritals. Nel senso che vado ben oltre la regia, faccio anche la pre-produzione, l'organizzazione ecc. Mi occupo di trovare gli attori, le location, faccio i piani di lavorazione, tengo tutti i contatti, insomma un lavoro che di solito è distribuito, anche nelle produzioni più amatoriali, su 3 o 5 persone minimo. Per ora viste le disponibilità economiche e di tempo, siamo costretti a lavorare così. 6) Cosa vuol dire per te essere italiano? E soprattutto, ora che vivi a Parigi, dove ti senti a casa? Esser italiano vuol dire esser nato in Italia, il paese con il patrimonio storico e culturale più duraturo e ricco nel mondo, paragonabile forse solo alla Cina, l'Iran e la Turchia. Sentirsi a casa può voler dire cose diverse. Sul piano materiale, casa mia è il mio appartamento a Parigi. Però come esco per la strada, incrocio la gente, i boulevards parigini, i palazzi grigi come il cielo, non mi sento per niente a casa. Quando invece sono a Roma, mi basta vedere il sole, l'architettura e i colori dei palazzi e mi sento a casa. 7) Ritals è arrivata alla seconda stagione. Hai in mente di proseguire oltre? Ti piacerebbe realizzarne un film o un adattamento per la tv o trovi che ne snaturerebbero l’essenza prettamente web-seriale? Ritals sono i due personaggi Svevo e Federico, sono i lunghi dialoghi, l'alternanza tra riferimenti più alti e colti (letterali, cinematografici o sociologici) e quelli più bassi e volgari (parolacce e rutti vari). Tutto questo è sposabile, più o meno bene, con il linguaggio web, televisivo o cinematografico. Non ho idea di quanto e come proseguirà tutto questo. Viviamo alla giornata in base anche alle proposte che ci arrivano. Siamo aperti a tutto ma possiamo anche chiudere baracca e burattini e tornare al call center. La cucina, il secondo websodio della seconda serie:
Immagine 1: ilcapitolo.com
Immagine 2: laRepubblica.it Immagine 3: unamilaneseaparigi.com ![]()
Anno: 2016
Durata: 97 Genere: animazione, avventura, commedia Regia: Andrew Stanton, Angus McLane (co-regia) Doppiatori: Ellen DeGeneres: Dory - Sloane Murray: Dory da piccola Lisa Geddes: Dory da adolescente - Albert Brooks: Marlin Hayden Rolence: Nemo - Ed O'Neill: Hank Diane Keaton: Jenny - Eugene Levy: Charlie Kaitlin Olson: Destiny - Ty Burrell: Bailey Idris Elba: Fluke - Dominic West: Rudder Bob Peterson: maestro Ray - Andrew Stanton: Scorza
Dory, l'allegra e smemorata pesce chirurgo, vive nella grande Barriera Corallina con Marlin e Nemo, protagonisti del primo film. Un giorno Dory ricorda la sua infanzia e la sua famiglia scomparsa: questo ricordo la spinge a intraprendere l'incredibile ricerca dei suoi genitori in compagnia dei due pesci pagliaccio. I tre giungono fino in California, dove Dory viene "rinchiusa" nell'istituto oceanografico. Come farà a trovare i suoi genitori?
Dopo 13 anni, ritorna l'atteso sequel del film "Alla ricerca di Nemo", che si svolge dopo un anno dalla storia del primo film. Questa volta i protagonisti non sono solo gli amati Marlin, Nemo e i buffi personaggi dell'Acquario, ma Dory, che da controparte comica, è diventata la vera protagonista del film. È proprio la sua smemoratezza, che Dory vive come una forza e mai come un limite, a conquistarci, oltre all'umorismo dei personaggi new entry con i loro strampalati difetti: la scorbutica coppia di leoni marini perennemente stanchi, il beluga Bailey con il radar mal funzionante, la simpatica balena miope Destiny che va a sbattere ovunque e il polpo Hank, burbero ma con un cuore d'oro (anzi tre cuori).
Di alto livello anche il doppiaggio: Carla Signoris presta la voce a Dory, Luca Zingaretti è Marlin, Massimiliano Rosolino doppia un pesce luna mentre, con sorpresa, Licia Colò, nei panni di se stessa, è la voce del parco oceanografico di Morro Bay, una struttura che soccorre i pesci in difficoltà. Qui vengono curati e poi liberati nuovamente in mare, mentre i turisti del parco possono vederli nuotare felici nelle loro vasche. L'oceanografico, costruito nei minimi particolari grazie ad una meravigliosa grafica computerizzata, può essere definito "l'antagonista" del film apparendo ai protagonisti marini come un labirinto dal quale è impossibile fuggire.
"Alla ricerca di Dory" è un film coinvolgente, movimentato dai colpi di scena che si susseguono con ritmo, ma ci sono anche teneri flash-back con una piccola Dory, dagli occhi giganti e i suoi genitori che la incoraggiano ad affrontare la vita nonostante il suo handicap!
Questo film trasmette importanti insegnamenti, aiuta ad accettare le disabilità, dimostrandoci che, anche se si è "diversi" agli occhi degli altri, niente è in realtà impossibile. Dory ha insegnato qualcosa anche al super protettivo Marlin, spingendolo ad affrontare le cose, a buttarsi in nuove sfide: Marlin era infatti incerto se accompagnare Dory nel lungo viaggio insieme a Nemo, ma alla fine accetta perché anche lui ha provato quanto è importante il valore di una famiglia unita. Saranno proprio i due pesci pagliaccio a cercare Dory, perché non possono fare a meno di lei. "Alla ricerca di Dory" è uno stupendo film d'animazione adatto a tutti, ottimo per passare una bella serata in allegria e spensieratezza.
Immagini tratte da: http://mr.comingsoon.it/
Arriva il primo spin-off (o forse no?) della saga più amata e seguita nelle sale di tutto il globo, raccogliendo i primi consensi e le prime indignate recensioni. Il box office però parla chiaro, in meno di poche ore ha già scavalcato tutti, imponendosi primo in classifica e dimostrandoci che tutto quello che è legato all’universo partorito da Lucas è una miniera d’oro. No Spoiler
Rogue One- A Star Wars Story è il primo spin-off (ne sono previsti altri due) della celeberrima saga, per l’esattezza l’episodio 3.5 che si colloca poco prima del capitolo Una Nuova Speranza, visto nel 1977. Ricordate la famosa introduzione che compare proprio all’inizio del primo (oggi il quarto) lungometraggio della saga di Guerre Stellari? Recitava proprio così: “Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana… È un periodo di guerra civile. Navi spaziali ribelli, colpendo da una base segreta, hanno ottenuto la loro prima vittoria contro il malvagio Impero Galattico. Durante la battaglia, spie ribelli sono riuscite a rubare i piani segreti dell’Impero, la Morte Nera, una stazione spaziale corazzata di tale potenza da poter distruggere un intero pianeta. Inseguita dai biechi agenti dell’Impero, la Principessa Leila sfreccia verso casa a bordo della sua astronave stellare, custode dei piani rubati che possono salvare il suo popolo e ridare la libertà alla galassia…”.
Ecco, questo piccolo riassunto è la trama di quest’ultimo capitolo, che ha sostanzialmente il compito di tenere al caldo i numerosi fan, in attesa dell’uscita di Episodio VIII, previsto per il 2017. Appreso da tempo che il franchise è in mano alla multimilionaria Disney, Rogue One si pone come obiettivo quello di attirare una nuova schiera di fan, introdurli all’universo “lucassiano”, conquistarli e infine farli appassionare a un prodotto che ormai fa parte delle nostre vite da quasi quarant’anni. Il presunto spin-off però, non solo si conferma come prodotto originale e ben eseguito, ma riprende delle situazioni narrative che chiariscono alcuni punti deboli del primo film, arricchendoli con nuovi elementi che rendono ancora più appassionante l’amata galassia dei jedi a cui tanto siamo affezionati. Insomma un film pensato non solo per i nuovi fan ma anche per quelli più accaniti della saga, che potranno all’uscita dalla sala, confrontarsi, divertirsi e chissà, persino ricordare le prime emozioni provate al cospetto di Jedi, lightsaber e battaglie adrenaliniche nello spazio.
La pellicola diretta da Gareth Edwards è la più dark e la più matura della saga, altro indizio che ci fa capire che il suo target si rivolge a un pubblico più adulto. Lo si nota subito dai suoi nuovi protagonisti: Jyn Erso, Cassian Andor, Chirrut Îmwe, Baze Malbus, Bodhi Book sono eroi “per caso”: brutti, irregolari, dissacranti ma uniti da forti ideali e mossi da una grande speranza, pronti a sacrificarsi per portare a termine l’importante missione che, come sappiamo, determinerà il destino dell’intera galassia. All’interno della pellicola riusciamo a scorgere numerose citazioni di film bellici e western che hanno fatto la storia, a partire da Quella Sporca Dozzina fino a sfiorare I Magnifici Sette. La parte della commedia è affidata al nuovo droide ribelle K2SO, un insolente modello arcaico dotato di un tagliente sarcasmo che lo rende moderno e molto spontaneo, e che eleva ogni tanto i piatti, scontati e stereotipati dialoghi presenti nella pellicola.
La sceneggiatura e i dialoghi purtroppo sono il vero neo di quest’ultimo episodio; si percepisce immediatamente un meccanismo stridente che toglie parecchio alla personalità dei personaggi e quasi infastidisce lo spettatore avvezzo all’epicità dei war movie, di solito conditi da un alto tasso di dialoghi eroici che passano facilmente alla storia. Funziona a meraviglia l’intero cast, soprattutto il complesso personaggio di Jyn, interpretato dall’affascinante ed elegante Felicity Jones, che con i suoi occhioni ipnotici e un broncio intrigante riesce a spaccare lo schermo. Menzione d’onore per la coppia composta da Chirrut Imwe e Baze Malbus, rispettivamente interpretati da Donnie Yen e Wen Jiang, due ribelli in pieno stile “bad ass” che vi faranno innamorare. Non mancano come in ogni pellicola di Star Wars le citazioni politiche contemporanee, stavolta Edwards ci dimostra che ci sa fare e con mano ferma e tanta sensibilità denuncia gli orrori di Aleppo con la distruzione di una città di chiaro stampo medio-orientale, per mano dell’oscura e terrificante Morte Nera
Diminuito nettamente l’uso della CGI rispetto al capitolo VII, i fan puristi noteranno l’introduzione di numerose creature e personaggi tramite VFX, ovvero gli effetti visivi “vecchio stampo” a cui tanto sono affezionati. Inoltre nelle classiche battaglie “starwarsiane” verranno proposti scontri in pieno stile guerrilla o sbarco in Normandia, in cui appariranno i famigerati e amati AT-AT, mezzi militari utilizzati dalle legioni dell’impero. Insomma Rogue One è in sostanza un’ottima pellicola, eccellente prima parte, un po’ macchinosa la seconda ma impeccabile nel finale, il tutto condito da una fotografia perfetta e dalle coinvolgenti musiche, per la prima volta non curate dal mitico Williams ma dal competente Michael Giacchino. Il film non è perfetto ma conquisterà tutti i fan nonostante sia molto lontano da tutti gli aspetti classici della saga.
Non troverete appunto né Jedi, né scontri con spade laser, né il piccolo e leggendario maestro Yoda, ma certamente verrete travolti da quell’aurea avvincente ed avventurosa che solo un classico Star Wars sa offrirvi. In attesa dei prossimi due capitoli noi ci godiamo quest’innovativa pellicola, che ci fa ben sperare per il futuro. A chi parte già prevenuto consigliamo di rivedere assolutamente il proprio giudizio e di dare una possibilità al film di Edwards, potete starne certi: non ne rimarrete affatto delusi. Buon cinema a tutti e che la forza sia con voi!
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Westworld è una delle serie più interessanti degli ultimi anni, e sicuramente la migliore del 2016. Ideata da Jonathan Nolan (fratello del regista Christopher), sceneggiatore di film come Memento e The Prestige, e basato sul film omonimo del 1973, Westworld è un prodotto difficile da classificare: una fusione fra Blade Runner, Jurassic Park e Inception.
Innanzitutto, due parole sulla trama. Westworld racconta di una parco a tema d'ambientazione western, popolato da robot senzienti chiamati Attrazioni, simili in tutto e per tutto agli esseri umani. In Westworld i visitatori sono liberi di fare qualunque cosa, scatenando i loro istinti più aggressivi e violenti. I robot sono programmati per non danneggiare i ''nuovi arrivati''. La memoria delle Attrazioni viene continuamente cancellata, in modo che non abbiano alcun ricordo delle violenze subite, e, soprattutto, non mettano mai in dubbio la loro realtà. Dopo un ultimo aggiornamento, però, alcune attrazioni iniziano a comportarsi in modo strano, scavalcando la loro programmazione e rivivendo alcune delle loro esperienze precedenti.
Westworld è qualcosa di incredibilmente stratificato, un labirinto narrativo in cui convivono e si intersecano vari livelli di lettura. C'è quello, più profondo ma più ''superficiale'' (perché più immediato da cogliere), sul tema dell'identità. I robot di Westworld sanguinano, provano (o simulano?) emozioni, ed steriormente è impossibile distinguerli dai visitatori. Le attrazioni stesse sono convinte di essere uomini a tutti gli effetti. Cos'è, allora, che li rende diversi da loro? Si tratta di uno dei temi classici della buona fantascienza: in Blade Runner gli androidi erano diversi dagli umani perché condannati a vivere solo pochi anni; in Westworld, invece, la differenza tra visitatori e attrazioni sta nel fatto che queste ultime sono imprigionate in un loop, in una rete di falsi ricordi e di azioni preimpostate. La serie suggerisce che la risposta stia nella memoria, come mezzo per costruire una propria identità (se non si hanno ricordi come si può imparare dai propri errori?). Gli umani hanno un passato, una storia; i falsi ricordi che vengono inseriti nelle attrazioni invece sono semplici background utili a sviluppare la loro personalità, ingabbiandoli ancora di più nella loro routine preprogrammata.
Se i ricordi possono essere costruiti, se il nostro modo di agire è il risultato di un codice informatico e di una serie di parametri, se il passato si mischia continuamente al presente (ed è questa una delle trovate più belle della sceneggiatura della serie), allora come si può non mettere in discussione tutto? Ad un certo punto della serie lo spettatore si ritrova spaesato, chiedendosi continuamente se i personaggi che considerava umani siano in realtà attrazioni o viceversa.
Ma, più a fondo, la serie ideata da Jonathan Nolan è una specie di parabola sulla narrativa. L'intero parco è organizzato in miriadi di quelle che i gestori chiamano ''narrazioni''. Ogni personaggio è programmato in modo da far parte di una di queste narrazioni. L'uomo in nero, uno dei visitatori, visita il parco da 30 anni per scoprire tutte le trame di Westworld: una volta iniziato un buon libro non si riesce a chiuderlo prima di arrivare alla fine. Robert Ford, il creatore delle attrazioni (interpretato da Anthony Hopkins), è ossessionato dall'idea di raccontare storie. Come un demiurgo moderno Ford blocca con un cenno della mano interi settori del parco e ne rivoluziona la morfologia per creare il palcoscenico giusto per le proprie narrazioni. Con lo stesso metodo di cui si servirebbe un buon narratore crea (questa volta letteralmente) i personaggi, li inserisce in un'ambientazione e aspetta di vedere come si evolvono le loro storie, riscrivendo ogni tanto gli eventi per sviluppare quelle più interessanti. Tutto è programmato, tutto è costruito in modo da incastrarsi perfettamente e portare ad un finale preciso: d'altronde, Ford stesso lo dice più volte durante la serie, citando Shakespeare: These violent delight have violent ends.
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Nelle nostre sale cinematografiche è da poco uscito "Rogue one" uno spin off di "Star Wars" distribuito dalla Walt Disney Studios, ma lo sapete che impatto ha avuto la saga di "Star Wars" nella nostra cultura? "Guerre stellari", in inglese "Star Wars" è una saga cinematografica kolossal creata da George Lucas, concepita come opera in nove atti, condensati poi dal regista statunitense in sei pellicole. I primi tre film prodotti dal 1977 al 1983 formano la trilogia della serie "Guerre stellari" (Episodio IV), "L'Impero colpisce ancora" (Episodio V), "Il ritorno dello Jedi" (Episodio VI). Il loro grandissimo successo ha fatto sì che dal 1999 al 2005 Lucas producesse una nuova trilogia basata su eventi antecedenti, formata dai film "La minaccia fantasma" (Episodio I), "L'attacco dei cloni" (Episodio II), "La vendetta dei Sith" (Episodio III) con lo scopo di mostrare l'evoluzione del personaggio di Anakin Skywalker e la nascita dell'Impero Galattico. Ma da dove nasce questo stratosferico successo? Forse perché "Star Wars" si può definire una "fiaba" tradizionalista, con protagonista l'eterna lotta del bene contro il male ma priva di violenza (le scene d'azione più virulente consistono infatti nei combattimenti con spade laser, e negli spari tra le astronavi). Questo successo ha portato a molte innovazioni nel mondo del cinema ma anche nella vita di tutti i giorni. "Star Wars" ha ad esempio sdoganato la figura del nerd, vero fan della saga che colleziona i personaggi dei film, t-shirt, posters, videogame e ancora prima dei Cosplayer si traveste come il suo eroe preferito. Inoltre ha diffuso un modello di bellezza non convenzionale, grazie alla principessa Leila (Carrie Fisher), che è diventata un'icona sexy della fantascienza degli anni 80. "Star Wars" ha avuto anche un forte impatto sulla moderna cultura pop, ha rinnovato il settore degli effetti speciali, degli effetti grafici, della tecnologia, ha influenzato registi come Peter Jackson, James Cameron, Ridley Scott, Roland Emmerich, Kevin Smith. Scott e Jackson sono stati influenzati dal concetto di "Futuro usato", che hanno impiegato per trasmettere un senso di forte realismo rispettivamente in "Alien" e la trilogia de "Il Signore degli Anelli". Numerose sono le citazioni di "Star Wars" presenti in film come "Ritorno al futuro", "Hot Shots!2", "E.T. l'extra-terrestre" e sono state create anche diverse parodie. "Star Wars" ha rinnovato anche il nostro linguaggio (frasi come "Che la Forza sia con te" sono diventate parte del nostro lessico), ha dato vita a una nuova religione, chiamata jedismo, che si basa sui principi Jedi con chiese annesse. "Star Wars" è approdato anche in politica quando Ronald Reagan propose la "Strategic Defense Initiative" per utilizzare sistemi d'arma con cui proteggere gli Stati Uniti da attacchi di missili balistici a testata nucleare. Questo piano fu chiamato "Star Wars", generando diverse critiche. Si celebrano addirittura due feste in onore di questa saga, il 4 maggio in cui si celebra la cultura della saga e il 25 maggio in onore del trentennale della prima proiezione dell'episodio della saga. Nel 2016 l'intera saga di "Star Wars" ha conquistato 8 premi Oscar e ha incassato complessivamente al botteghino oltre 6,5 miliardi di dollari! Un grande fenomeno che regna incontrastato. 11/12/2016 Domani, il documentario di Cyril Dion e Mélanie Laurent Un viaggio alla ricerca di scelte alternative per un futuro miglioreRead Now
La crisi economica, il surriscaldamento terrestre, l’inquinamento del pianeta, lo sfruttamento delle risorse energetiche, come affrontare questi (come molti altri) argomenti? Questo è quello che si sono chiesti Cyril Dion e Mélanie Laurent; ma soprattutto come farlo senza gridare alla catastrofe? Focalizzare l’attenzione su queste tematiche, ma senza spaventare, senza alimentare soltanto allarmismi. La soluzione più naturale per i due giovani è stata quella di partire, di girare il mondo, accompagnati da altri due giovani Raphäel e Antoine, scoprendo e facendo conoscere quei progetti alternativi che permettono di “limitare i danni”, consegnando ai nostri figli un futuro migliore.
Hanno deciso di concentrarsi su cinque aspetti: agricoltura, energia, urbanistica, economia, democrazia e istruzione. Per ognuno di questi, spostandosi dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti, dalla Francia alla Finlandia, hanno conosciuto persone e comunità che portano avanti progetti significativi per il nostro benessere e per quello dell’intero pianeta. Scelte più naturali, ecologiche tese non solo a uno sfruttamento smodato delle risorse, ma alla conoscenza delle conseguenze di ciò che facciamo, non guardando soltanto all’immediato presente, ma appunto anche al domani. In Domani, si parla quindi di orti e fattorie urbane, di agricoltura sostenibile e di permacultura (l’associazione di colture diverse, dove ogni pianta beneficia della presenza di quella vicina, ricreando ambienti simili agli ecosistemi naturali). Ma anche della possibilità di rinunciare al petrolio e ad altri combustibili fossili; ciò è esemplificato dalla città di Copenaghen, la cui sussistenza è quasi esclusivamente a carico di fonti energetiche rinnovabili e dove il 65% dei cittadini non usa l'automobile. Arriviamo poi a San Francisco, dove il compostaggio è quasi uno stile di vita; scopriamo infatti che l’amministrazione cittadina si è posta come obbiettivo l’azzeramento della produzione di rifiuti entro il 2020. Ovviamente però il documentario non tratta solo di ambiente ma anche di nuovi modelli di società democratiche, che fanno della tolleranza e dell’impegno sociale i loro valori cardine. Veniamo a conoscenza di monete locali per ecosistemi economici complementari, e di un modello educativo, quello di una cittadina alla periferia di Helsinki, che punta alla riduzione della burocrazia e del sistema di valutazione statale delle scuole, per concentrarsi pienamente sull’educazione e la formazione dei suoi studenti.
Il film è patrocinato dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sostenuto da LifeGate, Legambiente, Greenpeace e Slow Food Italia. Vi compaiono molti attivisti tra cui troviamo Vandana Shiva, fondatrice dell’iniziativa ambientalista Navdanya, Malik Yakini, imprenditore bio, Olivier De Schutter, giurista e docente di diritto internazionale, Elizabeth Hadly, ricercatrice di Stanford, Michelle Long, fondatrice di Sustainable Connections, Kari Louhivuori, preside della Kirkkojarvi Comprehensive School di Espoo e molti altri ancora.
Esiste una scelta alternativa rispetto al modello dominante; un sistema ecologico, sostenibile, basato sulla condivisione e cooperazione, e non si parla di piccoli casi isolati, né di estremismi, ma di realtà solide e concrete; l’invito di Cyril e Mélanie è quello di non aspettare, di abbracciare oggi queste scelte, per un domani migliore. “Forse non esiste una scuola perfetta, una democrazia perfetta, o modelli economici perfetti, ma quello che è emerso nel nostro viaggio è una nuova visione del mondo, dove potere e autorità non sono un privilegio di pochi, ma dove tutto è collegato, interdipendente, come in natura […] un mondo più complesso, dove la nostra vera forza è la diversità, dove ogni persona e ciascuna comunità sono autonome, quindi più libere, hanno più potere, quindi più responsabilità. Come la cellula, che deve essere sana perché l’organismo funzioni, ma deve anche poter contare su tutte le altre cellule. Queste persone scrivono una nuova storia. Ci dicono che non è troppo tardi, ma ci dobbiamo dare da fare. Adesso!” Cyril Dion Link per approfondire: http://www.domani-ilfilm.it/ Foto tratte da: Locandina del film: http://www.cineblog.it/post/703439/domani-due-nuove-clip-in-italiano-del-documentario-ecologista-di-cyril-dion-e-melanie-laurent Alcune immagini dal film: https://www.greenme.it/vivere/arte-e-cultura/21378-domani-documentario http://www.cinematographe.it/106494/recensioni/domani-recensione-documentario.html
La straordinaria pellicola del regista attore Rick Ross dopo aver conquistato il pubblico della Festa del cinema di Roma sbarca nelle nostre sale dal 9 Dicembre, emozionante, umoristico e con un ottimo cast.
Ben (Viggo Mortensen) sta educando i suoi sei figli nel nome dell’utopia più radicale. In una foresta nello stato di Washington, li cresce allenando il loro fisico e la loro mente ai massimi livelli possibili di consapevolezza, conoscenza e vigoria. Ma quando la moglie Leslie, ricoverata per schizofrenia, si uccide, il capofamiglia dovrà prendere una decisione che avrà molte conseguenze: andare al funerale in New Mexico per cercare di far rispettare le di lei ultime volontà e rischiare così di essere imprigionato come gli ha minacciato il suocero? O rimanere “a casa” scontrandosi con la volontà dei figli e umiliando la sua filosofia? Oltretutto qualcuno dei ragazzi comincia inevitabilmente a mettere in discussione la sua leadership.
Del resto loro non festeggiano il Natale ma il compleanno di Noam Chomsky (insigne linguista ed elemento di spicco della sinistra americana), leggono I fratelli Karamazov, Armi acciaio malattie, Middlemarch e Lolita commentandoli con profondità e passione, girano tranquillamente armati di coltelli e archi e cacciano per cibarsi, parlano di trotskismo e della Carta dei Dirittti, ignorando la Coca Cola e i videogame. Ma si può vivere sempre “contro” nel nome di quel che è giusto? É la domanda che ci pone il regista statunitense Matt Ross, attore, sceneggiatore, produttore, alla sua seconda regia di lungometraggi dopo 28 Hotel Rooms che racconta in forma di ‘’commedia’’ la (quasi) impossibilità dell’utopia, senza particolari giochi di stile (la storia, se radicale nei contenuti scorre comunque in maniera piuttosto tradizionale), dolce ma mai “evasiva”, tratteggiando personaggi perlomeno insoliti nel teatrino dei tipi cinematografici, forte della partecipazione felice e convinta da parte di tutto il cast (segnaliamo per inciso anche la performance del giovane George MacKay, già in Pride, nel ruolo del primogenito, decisamente un attore da tenere d’occhio per il futuro). Ma si può vivere sempre “contro” nel nome di quel che è giusto? É la domanda che ci pone il regista statunitense Matt Ross, attore, sceneggiatore, produttore, alla sua seconda regia di lungometraggi dopo 28 Hotel Rooms che racconta in forma di ‘’commedia’’ la (quasi) impossibilità dell’utopia, senza particolari giochi di stile (la storia, se radicale nei contenuti scorre comunque in maniera piuttosto tradizionale), dolce ma mai “evasiva”, tratteggiando personaggi perlomeno insoliti nel teatrino dei tipi cinematografici, forte della partecipazione felice e convinta da parte di tutto il cast (segnaliamo per inciso anche la performance del giovane George MacKay, già in Pride, nel ruolo del primogenito, decisamente un attore da tenere d’occhio per il futuro). Captain Fantastic è un gioiello prezioso, sotto tutti i punti di vista, controcultura e spirito alternativo, con una colonna sonora che vi trascinerà, da Scotland the Brave che Ben suona con la cornamusa a I Shall be Released di Bob Dylan sui titoli di coda. La pellicola ha stregato tutti, a partire dai critici a Cannes (premio per la regia, sezione Un Certain Regard) per proseguire con i pubblici di Deauville (premio) e del recente Roma Film Fest (premio del pubblico). Il nostro consiglio è di catapultarvi immediatamente al cinema, senza dubbio Captain Fantastic è un film che profuma già di cult. Link Immagini: Locandina: www.FilmTV.it Immagine Copertina: www.keithlovesmovies.com Immagine1: www.IndieWire.com Immagine2: www.SentieriSelvaggi.it Immagine3: www.ItunesmovieTrailer.com Immagine4: www.comingsoon.it
Cast: Marco Giallini: Rocco Schiavone
Ernesto D'Argenio: Italo Pierron Claudia Vismara: Caterina Rispoli Isabella Ragonese: Marina Francesca Cavallin: Nora Marina Cappellini: Anna Massimiliano Caprara: Deruta Christian Ginepro: D'Intino Fabio La Fata: Antonio Scipioni Gino Nardella: Casella Massimo Olcese: questore Costa Filippo Dini: procuratore Baldi Massimo Reale: dott. Alberto Fumagalli Francesco Acquaroli: Sebastiano Anna Ferzetti: Adele
Un giorno viene trovato un cadavere semisepolto in mezzo a una pista sciistica sopra Champoluc, in Val d'Aosta. Sul corpo è passato un cingolato in uso per spianare la neve, quindi è irriconoscibile. Ad indagare arriva il vicequestore Rocco Schiavone da poco trasferito ad Aosta, che scopre che non si è trattato di un incidente ma di un delitto. La vittima si chiama Leone Miccichè. È un catanese che fa parte di una famiglia di imprenditori vinicoli, venuti tra le cime e le montagne della Valle d'Aosta per aprire una lussuosa attività turistica, insieme alla moglie Luisa Pec (Giorgia Wurth). Dopo il riconoscimento del cadavere si aprono tre piste: la vendetta di mafia, i debiti, il delitto passionale. Questo è il primo episodio della fiction "Rocco Schiavone" composta da sei puntate, oltre "Pista nera", ci sono "La costola di Adamo", "Castore e Polluce", "Non è stagione", "Era di Maggio", "Pulizie di primavera". Tutte sono tratte dai romanzi di Antonio Manzini. Punto di forza della serie è proprio lui Rocco Schiavone, un poliziotto atipico che non rispecchia i valori positivi degli uomini in uniforme, è un uomo corrotto, fa uso di sostanze stupefacenti, ama la bella vita, tratta male le donne e ha approcci burberi con loro, tra cui Nora (Francesca Cavallin) e la collega Caterina (Claudia Vismara), è cinico e odia il suo lavoro. Ha modi violenti con i sospettati, è infedele ed ironico. E il trasferimento ad Aosta ha peggiorato la sua situazione: Schiavone è romano, ama il sole e odia la montagna, il freddo, la neve e non riesce ad ambientarsi. Per fortuna ha un grande fiuto investigativo, è un antieroe e questa è la sua forza. Tutti questi lati negativi del suo carattere, però, nascondono un ferita che sanguina ancora, la scomparsa di sua moglie Marina (Isabella Ragonese). E se Schiavone è ruvido e scontroso come un orso, anche i luoghi della serie e la fotografia sono dark, annebbiati, nevosi, con un colore spento tipico del noir poliziesco, che dà un senso di malinconia all’intera fiction. Nulla è lasciato al caso anche i dialoghi sono coloriti e per niente educativi, è un linguaggio duro, da strada che ad alcuni può anche infastidire. Però "Rocco Schiavone" è un giallo soft non un thriller ad alta tensione, tutto basato sulla bravura di un grande protagonista, interpretato da Marco Giallini, bravissimo ed intenso, calato perfettamente nella parte, e un bravo cast tutti diretti da Michele Soavi, aiuto regista di Lamberto Bava e Dario Argento e regista di film grotteschi e horror, come "Dellamorte Dellamore", tratto dall'omonimo romanzo di Tiziano Sclavi. "Rocco Schiavone" è una serie adatta per chi si vuole passare una serata tranquilla e non ad alta tensione, con una sfumatura dark e misteriosa. Se vi è piaciuta la serie Tv "L'ispettore Coliandro", Rocco Schiavone fa per voi. L'unica parte deludente è il finale, in sospeso, pronto per prepararci ad un'emozionante seconda stagione.
Immagini tratte da: http://www.newsly.it/ http://static.panorama.it/ http://www.giornalettismo.com/ |
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Giugno 2023
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