di Vanessa Varini ![]()
Paese: Stati Uniti d'America
Anno: 2018 Durata: 103’ Genere: drammatico Regia: Peter Hedges Sceneggiatura: Peter Hedges Fotografia: Stuart Dryburgh Montaggio: Ian Blume Effetti speciali: Jimmy Hays, David Isyomin Musiche: Dickon Hinchliffe Scenografia: Ford Wheeler Costumi: Melissa Toth Cast: Julia Roberts (Holly Burns); Lucas Hedges (Ben Burns); Kathryn Newton (Ivy Burns); Courtney B. Vance (Neal Beeby); Alexandra Park (Cara K); Rachel Bay Jones: Beth Conyers; David Zaldivar (Spencer "Spider" Webbs); Mia Fowler (Lacey Burns-Beeby); Jakari Fraser (Liam Burns-Beeby); Michael Esper (Clayton)
Ben Burns (Lucas Hedges) esce dalla comunità di recupero in cui sta cercando di disintossicarsi e torna a casa per passare le feste di Natale assieme alla famiglia. La madre Holly (Julia Roberts) è felicissima e piena di ottimismo mentre la sorella Ivy e il nuovo marito di Holly non sono convinti che Ben sia cambiato e non hanno tutti i torti. Infatti, durante la giornata la donna capisce che Ben non è ancora pronto per vivere al di fuori della comunità e cercherà di proteggere il figlio seguendolo ovunque e standogli sempre vicino. Finché, dopo la scomparsa del cane di famiglia alla Vigilia di Natale, la situazione degenera e Holly sarà costretta a confrontarsi con il passato criminale del giovane.
Ben is Back è uscito il 20 dicembre ma di natalizio ha solo l'ambientazione con paesaggi innevati e case abbellite di lucine natalizie. È un dramma familiare con alcune scene che generano suspense e tensione (come quando Holly vuole entrare nel camerino dove il figlio si sta provando un capo d'abbigliamento perché teme in una ricaduta, ma anche la scomparsa del cagnolino Ponce e la parte finale del film che lascia con il fiato sospeso lo spettatore fino alla conclusione) e sorretto da due eccellenti protagonisti, Julia Roberts e il giovanissimo Lucas Hedges. Holly è una mamma che è convinta che il figlio si sia ristabilito ma quando scopre che non è così cerca disperatamente di salvarlo nonostante sia devastata dal dolore (da Oscar la performance di Julia Roberts che torna a far commuovere nei panni di una mamma in difficoltà dopo Wonder, uscito a dicembre dell'anno scorso). Holly arriva anche a mentire a suo marito e a sua figlia pur di salvare Ben dalla droga e dai danni che ha fatto come spacciatore. L'ex tossico Ben, invece, cerca di cambiare vita ma non è semplice se le tentazioni sono sempre in agguato e se deve confrontarsi con la sua vita precedente.
Personaggi di contorno ma comunque efficaci sono Ivy Burns, interpretata da Kathryn Newton (che ha già lavorato con Lucas Hedges in Lady Bird e Tre manifesti a Ebbing Missouri ) e Courtney B. Vance di American Crime Story: il caso O.J. Simpson.
Dopo Buon compleanno Mr. Grape (di cui ha scritto il romanzo poi tramutato in sceneggiatura), About a Boy - Un ragazzo e L'incredibile vita di Timothy Green, il regista Peter Hedges torna ad affrontare i problemi dei giovani questa volta addentrandosi dentro il mondo dei tossicodipendenti e facendoci riflettere sull'abuso degli antidolorifici: da una ricetta medica sbagliata può nascere una grave dipendenza. Ben is Back è un film tosto, non un classico film natalizio divertente e disimpegnato. Ma merita la visione anche solo per la straordinaria interpretazione di Julia Roberts. Quindi, se siete alla ricerca di un film alternativo per le feste, non perdetevelo!
Immagini tratte da: https://pad.mymovies.it/ https://imagesvc.timeincapp.com/ https://www.cinematographe.it/ http://www.stateofmind.it/
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della Redazione Cinema Mancano pochissimi giorni al 2019, un tempo che si può quasi scandire a suon di buone pellicole in sala. Quest’annata cinematografica ha animato le passioni di ogni cinefilo con titoli indimenticabili e performance che hanno colpito dritto al cuore. Quali sono, però, i film imperdibili del 2018 secondo la redazione de Il Termopolio? Ecco una top ten perfetta per recuperare oppure rivedere le migliori storie di questa stagione sul grande schermo. No, ora non avete davvero più scuse per non correre al cinema! The Old Man & The Gun Il sole splende, non c’è traffico, sei produttivo a lavoro, riesci a ritagliare del tempo per te e le tue passioni, una cena con gli amici più stretti in cui si mangia bene e si ride tanto, il sorriso e il bacio della persona che ami… Così è il film di David Lowery, perfetto: il soggetto, la sceneggiatura, la regia, la musica, la recitazione degli attori… tutto si fonde in assoluta alchimia trasformandosi in oro; in puro cinema con la C maiuscola. Le vicende brillantemente portate in scena da Meryl Streep e da Tom Hanks si concludono passando virtualmente il testimone a Tutti gli uomini del presidente, capolavoro del 1976 che ripercorre gli eventi legati allo scandalo Watergate. Il film sui Pentagon Papers non può vantare la stessa intensità e potenza ma è una valida narrazione che ricorda l’importanza di condividere la verità e di renderla accessibile a tutti, senza risparmiare anche qualche silenziosa critica agli atteggiamenti di Trump. Il cinismo, il potere e la crudeltà sono da sempre i temi preferiti dal regista Yorgos Lanthimos ma questa volta al centro del film troviamo l’amore. Un triangolo amoroso con due rivali che fanno di tutto pur di accaparrarsi il cuore della fragile regina Anna. La regia di Lanthimos è ottima e sorprende l’irriverente ironia che permette al film di decollare e travolgere lo spettatore. Oltre alle strepitose Rachel Weisz ed Emma Stone, giganteggia Olivia Colman, non a caso infatti la sua interpretazione le è valsa La Coppa Volpi 2018. Il film, visto in anteprima a Venezia, uscirà nelle nostre sale il 24 gennaio 2019. Ultima apparizione sullo schermo di Daniel Day-Lewis che troviamo nei panni dell’indiscusso protagonista del Il filo nascosto di P. T. Anderson. La pellicola è un affascinante melò che si tinge di venature gialle e di un’atmosfera sinistra che fa da sfondo alla complessità di personalità inquiete che si intrecciano in trame malate. Una cura estrema nei dettagli, inquadrature e angolature molto affascinanti per un film dall’andamento molto lento, quasi funereo, lugubre, in cui la vivacità della giovinezza di Alma è sopita dal grigiore di Reynolds, personaggio di cui apprezziamo i tocchi di luce dell’artista che crea e l’oscurità di un’anima nera cui fa eco quella di Alma, musa, vittima e insieme carceriere. Dopo i fasti di Grand Budapest Hotel, Wes Anderson pone le sue doti eccellenti di creatività e rivisitazione narrativa della storia al servizio di un film d'animazione che fa tanto ridere, ma anche rimanere stupiti dinanzi alla purezza che contraddistingue i suoi personaggi. Miyazaki, il suo Giappone e le sue opere da maestro, vegliano dall'alto una storia ambientata nel futuro di droni, ma attaccata alle ventose del passato e del presente. Con un cast stellare di attori che prestano le voci ai protagonisti. C'è pochissimo spazio per i sorrisi lungo l'arco della pellicola, così come per gli uomini buoni, e per l'azzurro del cielo. L'ambientazione tetra, quasi desolata che contribuisce a trasmettere allo spettatore il senso di sgomento e amarezza vissuto all'ordine del giorno dagli uomini e donne che abitano le zone della periferia italiana in cui la giustizia si fa viva a giochi fatti, quando è troppo tardi, mentre il sopruso e il silenzio ridono sino all'accidente e i poveri cristi a volte si fanno travolgere dalla disperazione. Spike Lee è lucidissimo nelle sue intenzioni e nel modo di declinarle, usando il cinema per demolire, stigmatizzare e demonizzare il suprematismo bianco, così come il cinema e Nascita di una nazione gli diedero nuova vita. Sa bene che oggi c'è bisogno di un nuovo radicalismo che non sia limitato alla sola comunità nera, ma che coinvolga tutti, anche i bianchi, e tutte le altre etnie e razze del pianeta, che porti avanti la sua protesta nel nome di quello che è giusto e umano. Crede fermamente anche nel potere del cinema di cambiare le persone per sempre e lo dice chiaramente: non solo “power to the people”, ma “all the power to all the people”. ROMA racconta di qualcosa che sta finendo, che muore, che viene danneggiato e che nasce in una forma nuova. Racconta della fine e del nuovo inizio di una famiglia, forse di un paese, sicuramente di una giovane donna che si ritrova proiettata nella vita, ci si scontra in pieno ma si salva salvando gli altri, aiutandoli, anche quando forse non se lo meritano. Difficilmente ritroverete la sensibilità presente in quest’opera. A Venezia abbiamo riso e pianto e alla fine ci siamo lasciati andare a un lungo applauso sincero, quasi liberatorio. Cuaron riesce a ridare al cinema lustro e coraggio e dopo i trionfi internazionali della New Wave centroamericana. Molti critici hanno intravisto nei tre manifesti la decadenza della società americana con tutti i suoi spettri che ormai si trascina da anni: il razzismo, la violenza sulle donne, la corruzione della polizia. Ma Tre manifesti si spinge oltre. É una storia complessa che ti strapazza emotivamente. I suoi protagonisti stanno per perdere la fiducia nella vita, non conoscono più il significato della parola amore e la rabbia li sta lentamente divorando, sembra non esserci speranza di redenzione.
di Matelda Giachi ![]()
Data di uscita: 20 dicembre 2018
Genere: Famiglia, Fantasy, Musicale Anno: 2018 Durata: 130’ Regia: Rob Marshall Cast: Emily Blunt, Meryl Streep, Lin-Manuel Miranda, Ben Whishaw, Emily Mortimer, Colin Firth, Dick Van Dyke, Serena Rossi, Angela Lansbury, Julie Walters, Jeremy Swift Sceneggiatura: David Magee Fotografia: Dion Beebe Montaggio: Wyatt Smith Colonna sonora: Marc Shaiman, Scott Wittman Produzione: Lucamar Productions, Marc Platt Productions, Walt Disney Pictures Distribuzione: Walt Disney Italia Paese: Stati Uniti D’America
Numero 17, Viale dei Ciliegi, Londra, anni ’30, quelli della grande depressione.
Con qualche difetto di precisione, le ore sono ancora scandite da colpi di cannone, ma Michael e Jane Banks (Ben Wishaw e Emily Mortimer) sono cresciuti e somigliano tanto ai loro genitori: il primo ha la serietà del padre, la seconda la passione per l’attivismo politico della madre. Ci sono poi tre nuovi piccoli Banks: Annnabell, John e Georgie. Sono i figli di Michael e si trovano a dover affrontare troppo presto le problematiche di una vita adulta, dopo che la madre è morta e che il padre si trova in gravi difficoltà economiche. Per fortuna il vento sta ancora una volta per cambiare. È vento dell’est.
Il volto di Emily Blunt sostituisce quello di Julie Andrews ma Mary Poppins non è invecchiata di un giorno. Solo non diteglielo, non è educato parlare dell’età di una signora!
La tata più famosa di tutti i tempi è tornata per aiutare i piccoli Banks; tutti i piccoli Banks. La regia è dell’esperto di musical Rob Marshal (Into The Woods, candidato all’Oscar per Chicago) e infatti si canta. Forse anche più spesso che in un normale film Disney. Per questo, una doppia visione anche in lingua originale non guasterebbe. Non per le voci quanto per la traduzione dei testi, a cui, negli ultimi anni, si sembra dedicare meno impegno. Un film delizioso, soprattutto se si è disposti a lasciare per due ore fuori dalla sala i paraocchi da adulti per riscoprire quella sensazione magica di meraviglia che appartiene all’infanzia.
Delizioso ma non il capolavoro che avremmo sperato. Per quanto nasca bene, in quanto inteso per essere un sequel e non un reboot (in fondo la stessa “mamma” di Mary Poppins aveva concepito più avventure per la sua tata), il film ha un grosso difetto, piuttosto diffuso nel cinema di oggi: gli manca il coraggio. Il coraggio di andare oltre la zona di comfort, oltre a ciò che si sa già che piace. Così la storia si ripete. Al posto di Bert lo spazzacamino abbiamo, come aiutante e personaggio portatore di ottimismo, Jack l’acciarino. Il viaggio nel dipinto diventa un viaggio in un vaso di ceramica. Al posto dello zio Albert, la cugina Topsy, mentre il ballo degli spazzacamini diventa il ballo degli acciarini.
Peccato. Peccato perché il cast è eccezionale. Parliamo di Colin Firth, Meryl Streep, Manuel Miranda, cantante e compositore candidato a Oscar e Golden Globe per la canzone “How far I’ll go” in Moana. Il punto più alto si tocca con l’ingresso in scena di Dick Van Dyke, anni 93, nei panni di Mr. Dawes Jr. che sbaraglia tutti con la sua allegria e un’agilità che si sognano molti ventenni. Chiude in bellezza una sempre meravigliosa Angela Lansbury. Emily Blunt… Emily Blunt è praticamente perfetta sotto ogni aspetto.
Cold War: la recensione dell'elegante melodramma del premio Oscar Pawel Pawlikowski in concorso al Festival di Cannes 2018.
di Salvatore Amoroso ![]()
Titolo: Zimna wojna (Cold War)
Paese di produzione: Polonia, Francia, Regno Unito Anno: 2018 Durata: 84’ Genere: drammatico Regia: Pawel Pawlikowski Sceneggiatura: Pawel Pawlikowski, Janusz Glowacki, Piotr Borkowski Distribuzione: Lucky Red Fotografia: Łukasz Zal Montaggio: Jaroslaw Kaminski Cast: Joanna Kulig (Zula), Tomasz Kot (Wiktor Warski), Borys Szyc (Lech Kaczmarek), Agata Kulesza (Irena Bielecka).
Dopo l’Oscar per Ida, Pawel Pawlikowski firma un altro grande film in bianco e nero, ancora una volta adottando l’aspect ratio 1:1.37. Vincitore del premio come miglior regista a Cannes per questa storia d'amore travolgente e intima su una coppia, che deve farsi largo tra le macerie di una Polonia postbellica. È ispirato (e dedicato a) ai suoi genitori, che Pawlikowski ha descritto come "i personaggi drammatici più interessanti che abbia mai incontrato, sia forti che meravigliosi, ma come coppia un disastro senza fine". Questa storia d’amore inizia nella Polonia rurale, nel 1949, dove Wiktor (Tomasz Kot) e Irena (Agata Kulesza) stanno registrando canzoni folk, che parlano di storie dolorose d’amore, bevande e disagio. Sotto la bandiera del "Mazurek ensemble" (ispirato alla troupe di Mazowsze nella vita reale), fanno audizioni a musicisti e ballerini per mostrare i suoni autentici della Polonia, assicurandosi che “l’arte della gente non andrà più sprecata!”.
In mezzo a queste audizioni fa la sua comparsa la bellissima Zula (Joanna Kulig), una giovane donna enigmatica che esegue in modo magistrale non un motivo polacco di montagna, bensì una canzone appresa da un film russo. Wiktor viene subito folgorato dall’aurea di Zula e arrivati nella Berlino Est per un’esibizione, organizza la fuga dall’altra parte del blocco per vivere finalmente in libertà quella storia d’amore. Ma Zula, contro ogni previsione, non si presenta all’appuntamento concordato. È l’inizio di uno straordinario melodramma al di qua e al di là della cortina di ferro che il regista polacco costruisce per frammenti, balzando in avanti negli anni (fino ad arrivare a metà anni ’60), tra una dissolvenza in nero e un’altra, facendo perdere e incontrare i due protagonisti più volte.
Un ritorno al formato in bianco e nero vincente per il vincitore dell'Academy. Pawlikowski si serve delle straordinarie immagini del fotografo Łukasz Zal per dare vita a un’opera accuratamente studiata, che vagamente potrebbe ricordare il Frantz di Ozon, anche se qui l’asticella si alza in favore di una portata romantica maggiore. Movimenti della cinepresa più liberi che si abbinano ai cambiamenti musicali del racconto, per permettere al popolare e trascinante folk di Mazowsze Dwa serduszka (Two Hearts) di mutare nelle contaminazioni jazz parigine di fine anni ’50. Notevole lo sviluppo dei due personaggi (interpretati con una classe rara, e Joanna Kulig, già vista in Ida, farà parlare di sé) che descrive i cambiamenti emotivi in un’epoca storica ricca di mutamenti così repentini e cruciali. Pawlikowski negozia sottilmente una serie di cambiamenti chiave estetici, rispecchiando il flusso e riflusso di questa tumultuosa storia d'amore. C'è una tensione prolungata, un intreccio tra l'epico della narrativa e i temi gemelli del film di libertà e incarcerazione. Una delle scene più magiche del film è il momento in cui Zula balla “alticcia” sulle note di Rock Around the Clock di Bill Haley, in quel momento è visibile l’occhio del regista che cattura in modo vibrante quel senso oppressivo di liberazione e intrappolamento.
In Europa il film ha spopolato ed è ormai indiscutibile la maestria di Pawlikowski che si conferma come uno dei registi di riferimento del cinema europeo. In Cold War tutto è ben calibrato e si ha la sensazione di vedere un cinema d’autore d’altri tempi, quasi come i vecchi romanzi d’appendice o feuilleton, ti sembra di rivivere una storia d’amore tormentata ma al contempo tremendamente affascinante. Il consiglio è quello di farvi un bel regalo natalizio cinefilo, correte a vederlo e dimenticatevi per un po’ dello scorrere lento della vita. Cold War è quel cinema che fa sognare, è quel genere di film che se chiudi gli occhi potrai ancora rivedere nei tuoi sogni.
Immagini tratte da:ComingSoon NewStatesman.com Roger Ebert Variety.com cdnapi.kaltura.com di Matelda Giachi ![]() Anno: 1973 Genere: Commedia Sceneggiatura: David S. Ward Regia: George Roy Hill Cast principale: Paul Newman, Robert Redford, Robert Shaw, Charles Durning Produzione: Universal Picture Vincitore di 7 premi Oscar tra cui quello alla regia, David di Donatello a Robert Redford come miglior attore straniero.
Protagonisti due degli attori più talentuosi e affascinanti del panorama hollywoodiano di sempre, Paul Newman e Robert Redford, per la seconda (e ultima) volta in pochi anni a recitare insieme, sempre diretti da George Roy Hill. La storia è quella di due abili truffatori che ordiscono una vera e propria “stangata” (ingente e imprevista perdita di denaro) ai danni del boss Lonnegan per vendicare l’uccisione dell’amico e collega Luther, a seguito di un colpo finito in tragedia. Fa da sfondo la Chicago degli anni ’30, ovvero quegli anni in cui ancora non era stato concepito il risvoltino e gli uomini si vestivano come Dio comanda, indipendentemente dalla loro morale o fede. Una gangster story divertente, affrontata con la leggerezza che conosceva bene il cinema degli anni ’70, dove i mascalzoni ispirano simpatia e anche le loro malefatte sono “arte”; una sceneggiatura brillante, facile da seguire nonostante i suoi numerosi colpi di scena, arricchita dalla chimica dei due attori protagonisti a loro volta supportati da eccezionali interpreti secondari. Un film senza tempo, un pezzo immancabile di storia del cinema.
di Matelda Giachi ![]()
Data di uscita: 20 dicembre 2018
Genere: Commedia, Biografico Anno: 2018 Durata: 93’ Regia: David Lowery Cast: Robert Redford, Casey Affleck, Sissy Spacek, Danny Glover, Tom Waits, Tika Sumpter, Elisabeth Moss, Keith Carradine, Isiah Whitlock Jr., John David Washington Sceneggiatura: David Lowery Fotografia: Joe Anderson Montaggio: Lisa Zeno Churgin Colonna sonora: Daniel Hart Produzione: Condé Nast, Endgame Entertainment, Identity Films, Sailor Bear, Wildwood Enterprises Distribuzione: Bim distribuzione Paese: Stati Uniti D’America
“Era molto garbato.”
“Sembrava un uomo così gentile…” Forrest Tucker (Robert Redford), ladro per passione, è un uomo che ha passato la sua vita tra rapine ed evasioni. L’ultima, alla veneranda età di 78 anni. Ben vestito, cortese, meravigliosamente sorridente, educato e realmente esistito. Un film d’altri tempi per un uomo d’altri tempi, quello con cui Robert Redford ha deciso di chiudere il sipario sulla sua carriera di attore. Avete presente quelle giornate perfette, in cui non succede niente di eclatante, non si vince alla lotteria, non si fanno incontri sconvolgenti, però tutto procede con un’armonia quasi surreale; il sole splende, non c’è traffico, sei produttivo a lavoro, riesci a ritagliare del tempo per te e le tue passioni, una cena con gli amici più stretti in cui si mangia bene e si ride tanto, il sorriso e il bacio della persona che ami… Così è il film di David Lowery, perfetto; il soggetto, la sceneggiatura, la regia, la musica, la recitazione degli attori… tutto si fonde in assoluta alchimia trasformandosi in oro; in puro cinema con la C maiuscola.
La parte di Forrest Tucker è scritta per Redford, potremmo dire il suo ruolo preferito, quello del furfante gentiluomo. Lo incontriamo in età avanzata, alle prese con un nuovo amore, un amore maturo, lento, dolce. E ancora capace di fare ciò che gli riesce meglio: mandare in tilt le forze di polizia con le sue rapine da manuale. Diventa così l’ossessione del neo quarantenne detective John Hunt (Casey Affleck), per il quale catturare Tucker è una questione personale di orgoglio.
I due sono antagonisti ma sono mossi dalla stessa forza, la passione per quello che fanno, e per questo si capiscono; si ammirano; si rispettano. La loro contrapposizione diventa quasi un gioco, una sfida reciproca. “Io non sto parlando di guadagnarsi da vivere. Io sto parlando di VIVERE”
Il film di David Lowery è uno sguardo affettuoso e un po’ nostalgico al passato, al cinema degli anni ’80, a cui palesemente si ispira, a un’umanità in via d’estinzione. Alla vita, al suo scorrere. Alla carriera di Redford, che viene ripercorsa attraverso frame di suoi vecchi film, utilizzati con la scusa di indagare la vita di un ricercato. Un’atmosfera a cui si adattano il ritmo della narrazione, la scelta della grana della pellicola e perfino la recitazione di Casey Affleck, eccezionale nell’affiancarsi al collega e al suo stile interpretativo.
Robert Redford fa un’uscita di scena in grande stile; ci lascia con quel sorriso che, all’età di 82 anni, se ne infischia delle rughe ed è ancora la chiave di un fascino che ha reso indimenticabili un bel paio di occhi azzurri in una cornice di capelli dorati. Saluta la recitazione con l’eleganza e la classe che sono prerogativa di pochi e che hanno caratterizzato la sua intera carriera di attore. Tanto di cappello, Mr. Redford. Per te, il mio voto è un 10.
di Salvatore Amoroso
Una magistrale Maggie Gyllenhaal è l’assoluta protagonista di questo bizzarro dramma incentrato sul controverso rapporto tra un’insegnante e un piccolo alunno dal talento insospettabile. In sala da giovedì 13 il film rivelazione al Sundance Film Festival che è valso alla regista Sara Colangelo il premio come miglior regista.
Lisa Spinelli è una maestra d'asilo quarantenne alle prese con una complessa situazione familiare: la donna vive col marito e i due figli adolescenti, con i quali ha un rapporto difficile. Il primogenito intende infatti abbandonare la scuola per offrirsi come volontario per il servizio militare, mentre la minore ha perso la passione per la fotografia e frequenta cattive compagnie.
In Lontano da qui l'insegnante trova come valvola di sfogo il mondo della poesia, partecipando a un corso settimanale in cui gli iscritti presentano di volta in volta delle brevi opere scritte di proprio pugno. Un giorno però Lisa sente recitare da uno dei suoi piccoli alunni, Jimmy di soli cinque anni, una strofa pregna di un lirismo insolito per un bambino di quell'età e decide di "appropriarsene" ed esporla al corso,ottenendo il plauso generale. Sarà solo l'inizio di uno strano e ambiguo rapporto simbiotico tra la maestra e Jimmy che, ignorato dai genitori divorziati, si affeziona sempre di più a questa nuova e inaspettata figura materna.
Nel 2014 il regista israeliano Nadav Lapid diede alla luce, sia in fase registica che di scrittura, un apprezzato dramma d'ambientazione scolastica dal titolo Haganenet, premiato in diversi festival internazionali. Un successo di critica che ha attirato le attenzioni della collega, nostra conterranea ma da anni residente Oltreoceano, Sara Colangelo, alla sua seconda prova dietro la macchina da presa, nonché nel ruolo di sceneggiatrice, dopo l'inedito Little accidents (2014). Formula che vince non si snatura e nonostante il cambio di location, l'atmosfera dell'originale sopravvive all'adattamento e riempe nuovamente il cuore del pubblico con una storia ambigua e rischiosa, nella quale l'instabilità familiare della protagonista si riflette sulle proprie scelte in un vero e proprio viaggio psicologico dalla lettura sfaccettata, creando col rapporto controverso tra l'insegnante e il piccolo alunno un tono da thriller dell'anima che lascia con il fiato sospeso in più di un'occasione.
Nell'ora e mezza di visione Lontano da qui (distribuito per il mercato USA e canadese direttamente su Netflix) suscita un profondo senso di disagio crescente, fino a un epilogo forse inaspettato ma che chiude perfettamente i conti di una vicenda contorta che interroga la morale di chi guarda.
Le carenze affettive della maestra, prossima alla mezz'età e con una difficile situazione familiare da gestire, vengono risolte da una ritrovata voglia di vivere grazie alle poesie del bambino, anch'esso alle prese con una discutibile situazione tra le mura di casa. In un rimpallo tra diritti e doveri, il giusto e sbagliato, Lontano da qui partorisce figure respingenti e umane al contempo, pronte a pagare per i propri evidenti errori nonostante i buoni propositi di partenza. Al centro di un film così particolare e volutamente anti-empatico troviamo la magistrale performance di Maggie Gyllenhaal, vero e proprio alpha e omega della visione: sciupata dentro e fuori, l'attrice è il vero catalizzatore dell'insieme, capace di magnetizzare le attenzioni dello spettatore anche nelle gesta meno condivisibili, tracciando un sentito affresco di un'umanità divisa tra sogni e ambizioni e costretta a fare iconti con la nuda e spesso cruda realtà. La regista agisce in sottrazione e adopera al meglio la suadente e inquieta colonna sonora, ennesimo e acuito puntiglio di una messa in scena tagliente quanto il racconto alla sua base.
Immagini tratte da: ComingSoon.it La Repubblica.it Best Movie Quinlan.it di Federica Gaspari ![]() Data di uscita: 13 dicembre 2018 Genere: giallo, drammatico, commedia Anno: 2018 Durata: 117’ Regia: Paul Feig Sceneggiatura: Paul Feig, Jessica Sharzer Produzione: Feigo Enterteinment, Lionsgate Cast: Anna Kendrick, Blake Lively, Henry Golding, Andrew Rannells, Linda Cardellini, Rupert Friend Fotografia: John Schwartzman Montaggio: Brent White Colonna sonora: Theodore Shapiro Distribuzione: 01 Distribution Negli ultimi anni il genere thriller ha saputo trovare una nuova fortunata forma sia nel mondo della letteratura che in quello del cinema. Le assolute protagoniste femminili, spesso rielaborazioni delle figure dei film di Hitchcock, e le ambientazioni delle periferie residenziali delle grandi città hanno imposto nuove regole per tensione e misteri. Il grande e crescente numero di produzioni cinematografiche di questo tipo, tuttavia, sta portando alla distribuzione di pellicole e storie trasparenti e frettolose, incapaci di catturare il pubblico con la giusta rete di sospetti e congetture. E se in realtà mancasse quel giusto pizzico di umorismo nero in più a tutte queste storie poco riuscite? A due anni dal grande flop del reboot di Ghostbusters, Paul Feig riporta sul grande schermo una storia interamente basata su un duo protagonista al femminile. Un piccolo favore è l’adattamento cinematografico dell’omonimo best-seller firmato da Darcey Bell. Il trailer prometteva una buona dose di thriller accompagnata da un’insolita e piacevole messa in scena elegante. Il film, tuttavia, ha saputo regalare qualche sorpresa in più. La vita di Stephanie Ward (Anna Kendrick) ruota interamente intorno al proprio figlio: ne organizza le giornate nei minimi dettagli, partecipa a tutte le attività scolastiche e, contemporaneamente, registra dei video per il suo blog in cui parla di piccoli trucchi e suggerimenti per altre mamme. In una giornata piovosa, però, conosce Emily Nelson (Black Lively), donna in carriera dal fascino ammaliante che stringerà un legame fuori dagli schemi con Stephanie: le due donne, con la scusa dell’amicizia dei due figli, trascorrono lunghi pomeriggi sorseggiando Martini e confidandosi i segreti più inconfessabili. Saranno proprio questi segreti che porteranno alla misteriosa scomparsa di Emily, sparita nel nulla dopo aver chiesto un semplice favore all’amica… Nasce come un racconto giallo a metà tra L’amore bugiardo – Gone Girl e La ragazza del treno ma questo film, lungo la sua durata riesce ad aggiungere tocchi più cool e intriganti sulla riga di successi come Ocean’s 8 e Il diavolo veste Prada. Non è un caso, allora, che alla colona sonora si trovi un nome come quello di Theodore Shapiro che è stato in grado di coniugare frizzanti composizioni originali con classici della musica francese. Scelte originali e raffinate che accompagnano una narrazione completamente fuori dai tradizionali schemi del thriller. Difficile credere, infatti, che questo film sia stato interamente prodotto in terra statunitense, non sempre fortunata nel caso delle black comedy. Un semplice favore attraverso un umorismo nero e sinistro riesce a catturare sin dal primo minuto tra suspense e ilarità. Le due protagoniste trovano un’ottima intesa condita da un pizzico di ambiguità che accenda il motore della storia. Un piccolo calo di ritmo nella seconda parte non compromette un film che, con grandissima sorpresa, viene premiato dal suo coraggio di avventurarsi in pieghe cupe quanto surreali.
Immagini tratte da: www.ew.com www.letterboxd.com www.lionsgate.com
La recensione di Roma: il film di Alfonso Cuarón vincitore del Leone d'oro al Festival di Venezia 2018, un meraviglioso stralcio di vita vera che riempie lo schermo e il cuore degli spettatori.
di Salvatore Amoroso ![]()
Titolo: Roma
Paese di produzione: Messico Anno: 2018 Durata: 135’ Genere: drammatico, storico Regia: Alfonso Cuaròn Sceneggiatura: Alfonso Cuaròn Produttore: Alfonso Cuaròn, Nicolas Celis, Gabriela Rodriguez Distribuzione (Italia): Netflix, Cineteca Bologna Fotografia: Alfonso Cuaròn Montaggio: Alfonso Cuaròn, Adam Gough Colonna Sonora: Steven Price Scenografia: Eugenio Caballero Costumi: Anna Terrazas Cast: Marina de Tavira (Sofia); Yalitza Aparicio (Cleo); Daniela Demesa (Sofi); Latin Lover (professor Zovek); Nancy García García (AdelaJorge); Antonio Guerrero (Fermín); Marco Graf (Pepe); Andy Cortés (Ignacio); Nicolás Peréz Taylor Félix (Beto Pardo); Clementina Guadarrama (Benita).
Fin dalle prime immagini si ha la forte sensazione di trovarsi di fronte a un’opera intima e forte. L’acqua, elemento che troviamo dall’inizio alla fine, ci culla dolcemente, l’acqua che la protagonista Cleo, domestica di una famiglia borghese nella Citta del Messico del 1971, utilizza per lavare pavimenti, piatti, abiti. Che dà da bere ai bambini assetati. Acqua, o meglio “le acque” che le si rompono al termine di una gravidanza, nel momento più tumultuoso della storia del film e del Messico e le acque del mare delle scene finali, prima di tornare ai panni, ai tetti, ai cieli, agli aerei che passano e vanno chissà dove.
Acqua che scorre e lava via lo sporco, acqua dalla quale ci si deve salvare, ma che allo stesso tempo è vita. Alfonso Cuarón la sua macchina da presa la muove con grande abilità e attorno ai suoi tanti personaggi ci racconta una grande metafora della vita, attraverso una scenografia che ricostruisce quegli anni in maniera sontuosa, precisissima, a tratti ossessiva, cercando di arginare almeno il trasporto del sentimento di questo suo personalissimo e scolastico Amarcord “felliniano”. Attinge ai suoi ricordi personali, il regista messicano. Poco importa andare a vedere e soppesare quanta autobiografia ci sia (quanto romanzata o quanto idealizzata). Importa di più sottolinearne la scissione, la voglia di fare e di dire da un lato, e quella di trattenere il fiume in piena del ricordo e della passione attraverso lo studio maniacale della messa in scena, tradito dai virtuosismi di macchina e da una fotografia quasi troppo perfetta, troppo patinata, per la storia che viene raccontata, e dall’onnipresenza di suoni, voci, rumori.
Cuarón adesso, da adulto, è finalmente in grado di rendere omaggio alle due splendide protagoniste del film: la domestica Cleo (Yalitza Aparicio) e Donna Sofia (Marina de Tavira), madre di quattro figli. Queste due figure femminili che tanto hanno rappresentato per lui e di cui finalmente può capire in pieno la grandezza e il sacrificio. In tutto il film non esiste una sola figura maschile realmente positiva, eppure Cuarón non ne fa un film di denuncia, ma si limita a raccontare la sua esperienza in modo asciutto, semplicemente adottando uno sguardo amorevole e grato a quello che è stato il suo passato e il suo mondo. La Città del Messico che ci mostra è una città vitale e ricca di suggestioni. I suoi ricordi sono vividi, dettagliatissimi e particolarmente interessanti per chi ha amato il suo cinema: vi siete per esempio mai chiesti da dove provenisse l'idea dietro Gravity? In Roma troverete la risposta. E molto di più.
ROMA racconta di qualcosa che sta finendo, che muore, che viene danneggiato e che nasce in una forma nuova. Racconta della fine e del nuovo inizio di una famiglia, forse di un paese, sicuramente di una giovane donna che si ritrova proiettata nella vita, ci si scontra in pieno ma si salva salvando gli altri, aiutandoli, anche quando forse non se lo meritano. Difficilmente ritroverete la sensibilità presente in quest’opera. A Venezia abbiamo riso e pianto e alla fine ci siamo lasciati andare a un lungo applauso sincero, quasi liberatorio. Cuaron riesce a ridare al cinema lustro e coraggio e dopo i trionfi internazionali della New Wave centroamericana (ricordiamo anche Iñárritu e Del Toro), capace di rivoluzionare l’estetica e l’industria contemporanea, ROMA è probabilmente il vero, grande film da consegnare al cinema messicano.
Immagini tratte da: IMDB Netflix.com mymovies.it badtaste.it Isolated Nation.com di Federica Gaspari
Spionaggio, eleganza, inseguimenti per le strade delle principali capitali europee: tre ingredienti che solitamente vengono associati a un immaginario cinematografico che vede principalmente protagonisti maschili. James Bond, Ethan Hunt, Jason Bourne sono solo alcune tra le spie più celebri. Alcune serie tv, tuttavia, stanno cambiando le regole del gioco, mescolando le carte, dando spazio a nuove figure e sviluppando trame complesse e avvolgenti. Pioniere di questa piccola rivoluzione cinematica è stato lo show The Americans, conclusosi pochi mesi fa dopo sei ottime stagioni. Un’altra serie, direttamente da casa BBC, è pronta a portare avanti questo progetto. Si tratta di Killing Eve, uno dei migliori prodotti televisivi di quest’annata. Tratto dai romanzi di Luke Jennings, questo show nelle otto puntate della prima stagione concentra l’attenzione sulla sfida a colpi di astuzie tra due brillanti donne. Una competizione che mostrerà ogni lato di queste due affascinanti personalità. Da una parte Eve Polastri (Sandra Oh), agente dell’MI6 britannico che non vede l’ora di mettersi in gioco, di dimostrare tutta la sua passione per un lavoro pericoloso quanto adrenalinico: una figura a tratti esuberante che, impegnandosi a pieno sul campo trovo il giusto equilibrio. All’estremo opposto la pericolosissima Vilanelle (Jodie Comer), killer spietata e inarrestabile che lavora per una misteriosa organizzazione: il KGB o qualcosa di ancora più preoccupante? Le strade di questi due personaggi si intrecceranno continuamente, svelando lati inaspettati del loro carattere e riportando alla luce i più lontani ricordi. Non è semplice riuscire a realizzare uno show in otto puntate che riesca a coniugare un ritmo appassionante con un’altissima qualità. Per Killing Eve l’impresa sembrava decisamente impossibile considerando che, per natura, si avventura nell’universo del genere di spionaggio, un terreno piuttosto insidioso per coloro che non lo hanno mai esplorato. Tra inseguimenti e tensioni a distanza poco equilibrati, spesso, queste storie rischiano di perdere il loro grande fascino e mordente. In questo show, fortunatamente, non accade nulla di tutto ciò. L’esperimento è riuscito in modo fuori dall’ordinario ma senza stravolgere la formula originaria né rinunciare ad alcuni suoi aspetti. Cosa rende, allora, questo show uno dei migliori degli ultimi tempi? Semplice quanto complesso. Registi e sceneggiatori sono riusciti a togliere il velo appannato che avvolgeva il genere aggiungendo un tono frizzante, alla moda – nella migliore delle sue accezioni - e incalzante anche nei passaggi più statici della narrazione. Un gruppo estremamente competente è riuscito così a preparare il giusto habitat per due splendide creature della recitazione che, contrapposte una all’altra, hanno saputo regalare performances ineccepibili. Se non è possibile stupirsi davanti al noto talento di Sandra Oh, si può solo applaudire la giovane Jodie Comer che, al suo primo vero grande ruolo di prestigio, costruisce, espressione dopo espressione, un villain spregiudicato, psicopatico e fuori dagli schemi che paradossalmente riesce a entrare nel cuore dello spettatore.
Insomma…tutto questo non vi basta per cliccare play? Immagini tratte da: www.panorama.it www.refinery29.com www.vulture.com |
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Maggio 2023
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