di Matelda Giachi
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Genere: Biografico, Avventura, Drammatico
Anno: 2019 Durata: 101 min Regia: Tom Harper Cast: Eddie Redmayne, Felicity Jones, Tom Courtenay, Anne Reid, Rebecca Front, Vincent Perez, Himesh Patel, Tim McInnerny, Phoebe Fox, Kamil Lemieszewski Sceneggiatura: Jack Thorne Fotografia: George Steel Montaggio: Mark Eckersley Produzione: Amazon Studios, Mandeville Films Distribuzione: Lucky Red Paese: Regno Unito
Tratto da una storia vera. Nella Londra vittoriana (siamo nel 1862) James Glashier (Eddie Redmayne) è un visionario pioniere della meteorologia. Sbeffeggiato da tutta la comunità scientifica, non trova nessuno disposto a finanziare i suoi studi nei cieli, finché non incontra Amelia Wren (Felicity Jones). Vedova di un esperto pilota e donna assolutamente anticonvenzionale, sarà lei ad accompagnare Glashier su di un pallore aerostatico perché effettui le sue misurazioni.
Un’avventura tra i cieli che porta i due protagonisti a toccare altitudini mai raggiunte prima, che si avvicinano alle rotte di volo degli odierni aerei, a sfiorare ripetutamente il confine tra la vita e la morte, mossi da una sete di conoscenza che era stata prima di Ulisse.
Nella costretta vicinanza e nel silenzio del cielo, parte integrante della colonna sonora, i due si liberano di sacchi di sabbia dal cesto della mongolfiera e di mattoni dal cuore per salire in alto più leggeri. Nella vita reale Glashier è stato accompagnato dal pilota Henry Tracey Coxwell, sostituito nella pellicola dal personaggio di finzione Amelia Wren, eroina simbolo di tutte quelle donne forti anche con le proprie fragilità e che non hanno mai accettato che il mondo fosse solo degli uomini.
Il cast è di una caratura notevole, Eddie Redmayne e Felicity Jones interpretano il proprio ruolo con l’affinità e la complicità di due vecchi amici ed è la Jones che, a questo giro, forse spicca di più tra i due.
Il cinema di Tom Harper ha sempre al suo centro la forza del sogno, gira le sue scene con gli occhi foderati di amore per l’impossibile che diventa possibile, tanto che, più di una volta, si lascia andare a voli pindarici poco credibili e molto ridondanti nella resa di questa storia straordinaria, in cui ovviamente gli effetti speciali hanno un ruolo chiave. Voto: 6,5
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di Matelda Giachi
Ottobre 2019, Festa del Cinema di Roma. ’The Farewell è quel film che scegli un po’ per caso mentre, tentando di incastrare più proiezioni possibile nel tuo programma giornaliero da inviato stampa oberato, cerchi soprattutto un tesoro nascosto tra i nomi meno noti da portare a casa come trofeo.
Una storia familiare, una storia vera, personale, che attinge ad un episodio di vita della stessa giovane regista.
E se la trama appare, se non triste, quanto meno malinconica (parliamo di una nonna ammalata la cui famiglia cerca il modo migliore di affrontare gli ultimi giorni e gli ultimi saluti), la pellicola si rivela invece una commedia delicatissima e permeata di serenità. Serenità che la regista Lulu Wang probabilmente ha acquisito anche nel rivivere, e quindi elaborare, per mezzo del suo stesso lavoro, un’esperienza che l’ha segnata abbastanza da sentire la necessità di raccontarla.
Il soggetto è di una semplicità estrema ma è il suo sviluppo ad averlo reso una delle chicche di questa ultima edizione della Festa del Cinema di Roma. Tutto si basa su di “una bugia vera”. Al centro dell’azione non la malattia della nonna, non semplicemente il riunirsi di una famiglia attorno al suo fulcro ma anche la contrapposizione tra cultura orientale e occidentale, che si genera nel riavvicinarsi dei figli, tutti espatriati in diverse parti del mondo, ad una matriarca che invece è profondamente radicata nella tradizione e che si traduce in diversi modi di affrontare la stessa situazione ma soprattutto nel ricrearsi di un nuovo equilibrio tra cultura acquisita e radici, tradizione. Un ritratto dolce, a tratti ironico e conciliante di quello strano e mai uguale mondo che è la famiglia. Uno dei migliori film di questo 2019. Voto: 8 di Matelda Giachi
“Abbiamo tramandato la nostra conoscenza. Ora mille generazioni vivono in te. Ma questa è la tua battaglia” J.J.Abrams riprende le redini della regia dopo la controversa parentesi di Rian Johnson con episodio VIII. Senza mai palesemente criticare il lavoro del collega, Abrams sembra però voler aggiustare il tiro rispetto ad alcune sue decisioni narrative e dà vita ad un film dal ritmo frenetico, soprattutto nella sua prima parte, quasi a dover recuperare il non detto di un capitolo intermedio che non c’è mai stato. Se però la fretta era stata letale per David Benioff e D. B.Weiss nel concludere Il Trono di Spade, Abrams, invece, riesce tutto sommato a gestire la troppa carne al fuoco. Certo, ad alcuni fotogrammi straordinari, se ne alternano altri sommari di cui potevamo fare a meno, ma il vero colpo J.J. lo mette a segno quando finalmente svela le origini di Rey: qualcosa a cui nessuno, in anni e anni di speculazioni, aveva pensato. 50 punti a Grifondoro. Il ritorno a J.J. Abrams significa anche un ritorno ad una narrazione più canonica e meno intraprendente. La lotta tra bene e male, la speranza come fondamento di ogni ribellione, il valore della collaborazione, duelli coreografati tra spade laser, risposte racchiuse in un unico fotogramma, le musiche di John Williams, momenti di ironia che spezzano l’azione sono gli ingredienti della tradizione a cui attinge per concludere questa saga lunga 42 anni. Rispetto però a “Il Risveglio della Forza”, il regista si lascia più andare e ciò gli permette di dare un maggiore spessore sia alla trama ma ancor di più ai protagonisti (e su questa affermazione, potremmo far partire l’Hallelujah di Jeff Buckley cantata a cappella). Il personaggio di Finn finalmente acquisisce senso di esistere e Poe Dameron assume il ruolo e le caratteristiche di un nuovo Han Solo, dopo che la dipartita dell’originale aveva lasciato un gran vuoto nella galassia lontana lontana. Leia Organa doveva essere il fulcro di questo episodio e, nonostante Carrie Fisher si sia portata via con sé l’amata principessa prima del tempo, Abrams, tramite un sapiente lavoro di copia incolla, riesce a mantenerla in un ruolo chiave, pur avendo un limitato tempo di apparizione scenica. Anche il ritorno di Palpatine, che all’inizio sembra odorare di forzato, alla fine è funzionale a chiudere un cerchio. Almeno per chi accetta l’esistenza di una trilogia prequel. Per gli altri è comunque un ottimo cyber cattivone fantascientifico. Ma sono Rey e Kylo Ren il vero fulcro di tutto. Una diade nella forza; il loro legame, che arriva perfino a vincere le leggi dello spazio e della materia, è l’unica cosa veramente degna di nota dell’intera nuova trilogia e in questo episodio finale conquista ancora ulteriore potenza. Mai del tutto da una parte piuttosto che dall’altra, entrambi oscillano tra i propri lati di luce e ombra, richiamandosi, combattendosi e poi tendendosi la mano per sfuggirsi ancora. L’unica cosa certa, è quella consapevolezza sepolta in fondo all’animo che, ovunque andranno, finiranno per essere fianco a fianco. Adam Driver è al suo massimo e Daisy Ridley con lui, entrambi con un’interpretazione che riveste di epicità i rispettivi personaggi. Driver poteva essere sfruttato ancora un po’ di più, ma non vogliamo aggiungere altro. Ci sarebbe molto di cui parlare ma è quasi impossibile farlo senza inciampare in qualche sgradevole spoiler. Quel che possiamo dire è che si provano emozioni forti, ci si attacca ai protagonisti. L’ascesa di Skywalker torna finalmente a essere un film di Star Wars. Peccato che il filo conduttore dei tre film (per non parlare proprio dei primi due episodi in generale, perché apriremmo un vaso di Pandora) sia stato così debole perché, preso a se stante e pur con le sue innumerevoli imperfezioni, Episodio IX è davvero una degna conclusione della saga degli Skywalker. Voto: 7,5 Immagini tratte da: www.starwars.com www.imdb.com www.cinema.everyeye.it www.leganerd.com
di Vanessa Varini
Ecco 6 film delle feste, per tutti i gusti, da non perdere! PINOCCHIO Ennesima trasposizione cinematografica con protagonista il celebre burattino di legno, questa volta diretta da Matteo Garrone e basata principalmente sul romanzo per ragazzi "Le avventure di Pinocchio Storia di un burattino" di Carlo Collodi. Nel cast Federico Ielapi che interpreta Pinocchio e si è sottoposto a ben quattro ore di trucco per tre mesi per assomigliare al suo personaggio, Roberto Benigni (Geppetto), Gigi Proietti (Mangiafuoco), Rocco Papaleo e Massimo Ceccherini (il Gatto e la Volpe), Marine Vacth (la Fata Turchina). Se amate le fiabe in tinta dark, non perdete questo film!
STAR WARS - L'ASCESA DI SKYWALKER È l'ultimo capitolo della saga di Guerre Stellari ed è incentrato sullo battaglia finale fra il Primo Ordine con a capo Kylo Ren (Adam Driver) figlio di Han Solo e Leila passato al lato oscuro e la Resistenza guidata da Leila (Carrie Fisher), Rey (Daisy Ridley) e Finn (John Boyega). Un film imperdibile per tutti gli appassionati della saga fantascientifica più amata di tutti i tempi!
JUMANJI: THE NEXT LEVEL Sequel del film uscito nel 2017 con protagonisti Kevin Hart, Dwayne Johnson, Jack Black e Karen Gillan che interpretano gli Avatar di quattro ragazzi che vengono risucchiati in un videogioco. Questa volta viene risucchiato anche il nonno di uno dei ragazzi. Divertimento assicurato!
LAST CHRISTMAS Nel periodo delle festività invernali non può assolutamente mancare un romantico e divertente film natalizio con venature soprannaturali e una bella colonna sonora (George Michael e gli Wham). In "Last Christmas" la protagonista è Kate (Emilia Clarke, la Daenerys del Trono di Spade) sfortunata in amore che lavora come commessa e come elfo di Babbo Natale. Quando incontra Tom (Henry Golding) capisce che è il ragazzo giusto per lei, ma lui nasconde un segreto.
LA DEA FORTUNA
Dopo il thriller "Napoli velata" uscito a Natale del 2017, il regista Ferzan Ozpetek torna nelle sale cinematografiche nel periodo natalizio con un film sentimentale tra commedia e dramma, che racconta di una coppia (Edoardo Leo e Stefano Accorsi) la cui vita viene sconvolta quando una loro amica (Jasmine Trinca), affetta da problemi di salute, gli affida i suoi bambini. Inevitabilmente la loro vita cambierà!
THE FAREWELL
Per chi ama i film d'autore esce nei cinema "The Farewell" di Lulu Wang con protagonista Billi (Awkwafina), una giovane newyorkese di origine cinese: la ragazza scopre dalla sua famiglia che nonna Nai Nai ha un cancro incurabile. Così torna in Cina e scopre che tutti i parenti vogliono tenere nascosta la verità all'anziana donna. Ma è la cosa giusta?
La vicenda si basa su degli avvenimenti accaduti nella vita della regista, tra cui la malattia di sua nonna e le esperienze come immigrata cinese in America. Consigliato anche agli appassionati di storie vere.
Immagini tratte da:
https://movieplayer.net-cdn.it/ https://cc-media-foxit.fichub.com/ https://specials-images.forbesimg.com/ https://pad.mymovies.it/ http://www.ansa.it/ https://pad.mymovies.it/ Di Federica Gaspari Data di uscita: 19 dicembre 2019 Genere: drammatico, storico, sentimentale Anno: 2019 Regia: Céline Sciamma Attori: Noémie Merlant, Adèle Haenel, Valeria Golino Sceneggiatura: Céline Sciamma Fotografia: Claire Mathon Montaggio: Julien Lacheray Musiche: Jean-Baptiste de Laubier, Arthur Simonini Produzione: Arte France Cinema, Hold Up Films, Lilies Films Distribuzione: Lucky Red Paese: Francia Durata: 119 min Una grande ed entusiasta accoglienza ai maggiori festival internazionali non implica necessariamente una tempestiva distribuzione nelle sale. All’ultima edizione del Festival di Cannes, infatti, due film in particolare hanno incantato critici ma hanno richiesto lunghi tempi prima di arrivare nelle sale. Il primo è The Lighthouse, vincitore della Quinzaine des Realisateurs che, purtroppo, non ha ancora una data d’uscita in Italia. L’altro titolo che ha incontrato gli apprezzamenti dei frequentatori de La Croisette, invece, è Ritratto della giovane in fiamme di Celine Sciamma, uscito ora nei cinema italiani. La pellicola, candidata anche tra i migliori film stranieri ai prossimi Golden Globes, sin dalla sua anteprima è stato considerato uno dei più riusciti film non solo dell’anno ma dell’intero decennio tanto da essere inserito nella prestigiosa classifica di IndieWire. È davvero così? Sul finire del XVIII secolo, la pittrice Marianne (Noémie Merlant) riceve l'incarico di realizzare il ritratto di una giovane donna sfuggente e misteriosa di nome Héloise (Adéle Haenel). La ragazza, che vive in un'elegante dimora affacciata sul mare insieme alla madre (Valeria Golino), si appresta ad entrare nella società e il quadro commissionato rappresenta la migliore presentazione per cercare un marito. Le lunghe e interminabili giornate trascorse insieme, tuttavia, spingeranno la giovane e la pittrice a stringere un legame inaspettato... L’etichetta non sempre ambitissima di “film da festival”, in realtà, ultimamente non viene destinata a tutti i titoli cinematografici passati sul red carpet di qualche grande manifestazione. L’ultima Palma d'Oro di Cannes, assegnata al sublime Parasite di Bong Joon-ho, e il Leone d'Oro 2019 Joker di Todd Phillips dimostrano, infatti, che anche i festival più prestigiosi, quelli più snob secondo i maliziosi, sanno riconoscere la qualità dei film con toni e voci in grado di rivolgersi ad un grande pubblico rielaborando a modo loro la cosiddetta pop-culture. Basta questo per smentire, quindi, un radicatissimo stereotipo? No, perchè esiste davvero un insieme di film di nicchia, d'autore che preferisce crogiolarsi nelle etichette con aria altezzosa e anche un pizzico sprezzante. Ovviamente non tutti i film d’autore riflettono questa considerazione. Alcuni, però, sono esattamente così e il loro atteggiamento compromette inevitabilmente l’esperienza cinematografica. È il caso quindi di Ritratto della giovane in fiamme, ultima fatica per il grande schermo firmata da Céline Sciamma. È innegabile che la realizzazione di questa pellicola sia ammirevole sia nella messa in scena – una fotografia luminosa che indugia su luoghi e situazioni con eleganza – che in una sceneggiatura che coraggiosamente affronta con sincerità la genuinità di un amore tutto al femminile. Quest’ultimo interessante spunto narrativo, cardine della prima parte del film, tuttavia, viene sviluppato con eccessiva pedanteria e presunzione nella parte finale del film, esasperando ritmi e toni di una vicenda dal grandissimo potenziale. Facile, quindi, rimanere amareggiati e un po’ infastiditi ai titoli di coda in seguito a una parte finale di esecuzione artificiosa. Nonostante questo, il film può contare su una coppia protagonista eccezionale in grado di regalare il meglio delle loro abilità recitative affrontando temi decisamente complessi sul grande schermo. Forse, però, non basta questo a far dimenticare un atteggiamento dell’intero film difficile da superare. Immagini tratte da: www.festival-cannes.com www.luckyred.it di Vanessa Varini ![]() Titolo: "I Medici 3 – Nel nome della famiglia" Paese: Italia, Regno Unito Anno: 2019 Genere: drammatico, storico, in costume Stagioni: 3 Episodi: 8 Durata: 48-52 min (episodio) Ideatore: Frank Spotnitz e Nicholas Meyer Regia: Christian Duguay Musiche: Paolo Buonvino Scenografia: Francesco Frigeri Costumi: Alessandro Lai Effetti speciali: Fabio Traversari, David Serge, Ghost SFX, Stargate Studios Malta Interpreti e personaggi: Daniel Sharman (Lorenzo il Magnifico); Bradley James (Giuliano de' Medici); Sarah Parish (Lucrezia Tornabuoni); Alessandra Mastronardi (Lucrezia Donati); Synnøve Karlsen (Clarice Orsini); Aurora Ruffino (Bianca de' Medici); Sebastian de Souza (Sandro Botticelli); John Lynch (Papa Sisto IV); Jacob Fortune-Lloyd (Francesco Salviati); Francesco Montanari (Girolamo Savonarola); Jack Roth (Girolamo Riario); Johnny Harris (Bruno Bernardi) Dopo la Congiura dei Pazzi, Lorenzo de' Medici deve difendere Firenze dall'armata di Papa Sisto IV, con a capo Girolamo Riario, responsabile della morte di Giuliano de' Medici (che si vedrà solo in alcuni flashback). Nella famiglia Medici intanto arriva il figlio illegittimo di Giuliano, Giulio, rimasto orfano dopo l’uccisione della madre da parte degli uomini di Riario e a complicare il rapporto tra Lorenzo e Clarice ritorna Lucrezia Donati, la donna amata in gioventù dal Magnifico e Ippolita Maria Sforza, incontrata a Napoli. L'11 dicembre si è conclusa la terza stagione della serie Tv "I Medici", capitolo conclusivo della trilogia sulla celebre famiglia fiorentina iniziata con "I Medici - Masters of Florence" e successivamente con "I Medici - The Magnificent". Questa volta il sottotitolo è "Nel nome della famiglia" e la serie si concentra maggiormente sulle questioni politiche e famigliari che deve affrontare Lorenzo Il Magnifico (sempre interpretato da Daniel Sharman) e sulla sua "crescita" personale, abbandonando la spensieratezza della gioventù per diventare un uomo più maturo e saggio. Però è anche molto ambizioso e per la prima volta esploreremo anche il suo lato oscuro e la sua sete di vendetta: Lorenzo è disposto a tutto per difendere la sua famiglia e Firenze, compiendo omicidi manipolato dal suo consigliere Bruno Bernardi e facendo anche delle scelte discutibili, ad esempio per favorire l'elezione a Cardinale di suo figlio Giovanni, "vende" sua figlia Maddalena (perché ci rimettono sempre le donne?) a Franceschetto Cybo, figlio illegittimo di Papa Innocenzo VIII (Neri Marcorè). Anche Clarice si evolve, da donna timida e devota diventa più forte, a volte contesta il marito ma principalmente lo sostiene e quando scoprirà le menzogne di Lorenzo ne rimarrà "sconvolta" e questo la condurrà alla morte (nella realtà, invece, Clarice Orsini muore di tubercolosi il 30 aprile 1488 mentre Lorenzo era lontano da casa per curare la gotta, una fine ancora più tragica!). Lorenzo, invece, morirà pentito qualche anno dopo. Per quanto riguarda il cast, eccellenti le interpretazioni di Daniel Sharman e Synnøve Karlsen ma anche quelle delle new entry della serie come Jack Roth, John Lynch e Francesco Montanari, quest'ultimo nei panni del religioso Girolamo Savonarola che si scaglierà addirittura contro l'arte, predicendo erroneamente che "Nessuno ricorderà il nome di Leonardo Da Vinci, di Botticelli e degli altri e le loro opere diventeranno polvere spazzata via dal vento" Fra tutte e tre le stagioni ho preferito maggiormente la seconda "I Medici - The Magnificent", quest'ultimo capitolo purtroppo è meno dinamico e più concentrato sulle azioni politiche, ma ho molto apprezzato l'introduzione dei maggiori artisti del Rinascimento come Leonardo da Vinci, Michelangelo, Botticelli che grazie a Lorenzo, promotore delle arti e della bellezza, trasformarono Firenze nella patria indiscussa dell'Arte. E il finale con l'inquadratura dall'alto della Cupola di Brunelleschi, dove tutto è iniziato e con le immagini delle opere di Michelangelo e Botticelli, conclude degnamente una delle serie Tv storiche più belle ed emozionanti degli ultimi anni.
Di Federica Gaspari Navicelle spaziali, decine di personaggi indimenticabili e una storia leggendaria che dal 1977 si avventura tra le pieghe di una galassia in cui la fantasia è senza confini. A quattro decenni di distanza milioni di appassionati del grande e del piccolo schermo – ma non solo! – possono contare su una mitologia di successo, densa ed estremamente articolata. In principio, però, Star Wars era una pura e semplice scommessa di un trentatreenne sognatore di nome George Lucas. Con il primo film di quella che sarebbe divenuta una leggenda per più generazione, il regista californiano si preparava – un po’ incoscientemente - a tuffarsi nel mondo della fantascienza proponendo una versione inedita, pop ma soprattutto contaminata da più generi in gradi di rivolgersi a un pubblico vastissimo e variegato. Ironico, quindi, pensare che Lucas stesso non sembrava convintissimo del progetto, tanto da accettare la scommessa dell’amico di sempre Steven Spielberg: se Guerre Stellari avesse guadagnato più di Incontri ravvicinati del terzo tipo Spielberg avrebbe ottenuto il 2,5% degli incassi del film del collega. Il botteghino dette ragione proprio al cineasta di Cincinnati. La trilogia originale Il primo film, in seguito rinominato Episodio IV – Una nuova speranza, era stato concepito come una storia autoconclusiva. Nei sogni di Lucas esisteva già l’idea di una trilogia ma solo l’accoglienza del pubblico avrebbe poi realmente determinato le sorti della saga. La rivisitazione della narrazione cavalleresca fantasy coniugata con un’ambientazione spaziale fu la scelta vincente che permise la realizzazione dell’intera trilogia. Personaggi iconici, un villain di spessore e l’invito a viaggiare con la fantasia rendono tuttora i tre film capisaldi dei cinefili di più generazioni. Con Episodio VI – Il ritorno dello Jedi, George Lucas ha catturato definitivamente le luci della ribalta diventando uno dei nomi più interessanti del settore. La trilogia prequel Dopo un’operazione di aggiornamento e integrazione del reparto effetti speciali sui primi tre film ridistribuiti negli anni Novanta, nel 1999 il franchise torna nelle sale cinematografiche con un nuovo capitolo, Episodio I – La minaccia fantasma, parte di una trilogia dedicata alla genesi di quello che, nei due decenni trascorsi dall’avvio della saga, era diventato uno dei villain più famosi del grande schermo: Darth Vader. In un tripudio di CGI e intrighi politici, tuttavia, la storia narrata, complicata anche da un confuso intreccio politico, non decolla lasciando l’amaro in bocca ai fan di lunga data ma riuscendo comunque a incuriosire con la sua spettacolarità della messa in scena i più giovani spettatori. La trilogia sequel Il 2012 ha segnato una svolta cruciale per il futuro del franchise. Proprio in tale anno, infatti, Lucasfilm viene acquistata da The Walt Disney Company che annunciò subito le sue intenzioni di realizzare una nuova trilogia sequel dell’originale, dedicata alla dinastia Skywalker. Il progetto è stato affidato a J.J.Abrams che si è occupato anche della regia di Episodio VII – Il risveglio della Forza. Dopo la discussa regia e sceneggiatura di Rian Johnson per Episodio VIII – Gli ultimi Jedi, considerato fin troppo rivoluzionario nel suo approccio alla saga, la serie cinematografica più redditizia di sempre si prepara a tornare in sala il 18 dicembre con Episodio IX – L’ascesa di Skywalker. L’universo cinematografico di Star Wars, però, è ancora più ampio. Al canone della saga, infatti, appartengono anche altri due altri film: Rogue One sull’origine della Morte Nera e Solo dedicato all’iconico personaggio di Han Solo. Parallelamente, sul piccolo schermo sono stati esplorati altri lati della galassia immaginata da Lucas con alcune serie televisive. Tra quelle di maggiore successo figurano senza dubbio Clone Wars e il recente The Mandalorian che settimanalmente esplora il mondo di Star Wars con sfumature western. Il viaggio nella galassia, tuttavia, non finisce qui. Oltre che nei film, serie tv, libri, fumetti e videogiochi, il mondo di Luke, Leia e Rey vive infatti nel cuore di tutti gli appassionati che con la loro fantasia potranno continuare a viaggiare al fianco dei propri personaggi preferiti anche dopo quest’ultimo Episodio IX… ma sarà davvero l’ultimo?? Immagini tratte da: www.disney.com www.imdb.com
di Salvatore Amoroso
Noah Baumbach firma il suo film più ambizioso: un divorzio straziante, senza dubbio non adatto ai deboli di cuore, con gli ottimi Adam Driver e Scarlett Johansson, in concorso a Venezia 76, disponibile su Netflix e al cinema, in poche sale selezionate.
Il cinema di Noah Baumbach è geometrico. E mai come in Marriage Story la quotidianità si trasforma in un gioco di simmetrie, riflessi, forme. Da una parte il geniale regista, dall’altra la musa, anche madre di suo figlio. I loro sguardi si incontrano, si ignorano, si cercano. Tracciano linee ben visibili, scandiscono il ritmo, determinano la quotidianità. Non è un caso che il film si apra con due lettere. Il loro contenuto può essere rivelato solo agli spettatori. Tra quelle righe si nasconde la dichiarazione di un amore al capolinea.
È una confessione: le parole, le immagini, l’essenza del sentirsi marito e maglie, dell’essere genitori. Poi la separazione, che squarcia le giornate dei due protagonisti, distrugge ogni momento di felicità. Ancora una volta, come in The Meyerowitz Stories, la magia dell’arte si trasforma in un ostacolo. Dalla scultura si passa alla rappresentazione, all’importanza della messa in scena. Lui vuole il controllo sui suoi attori e su ogni gesto che riguardi la coppia, lei si sente soffocata, vuole scappare. Il passato è sinonimo di dolore, fraintendimento. Baumbach ragiona sulle prospettive, sulla scansione del tempo: i cambiamenti attraverso gli anni, la condivisione del proprio bambino. Gli affetti vengono monetizzati, diventano un oggetto di scambio. Si torna a Il calamaro e la balena, quando il divorzio era raccontato dal punto di vista dei più piccoli. Le liti, gli schieramenti, la casa che veniva descritta come un campo di battaglia, dove ci si contendeva addirittura la stessa ragazza. Qui il dramma si fa adulto. E si affronta il rimpianto, per non essersi fermati in tempo, per non potersi più opporre a scelte magari troppo affrettate. Baumbach, maestro del lessico famigliare, attinge forse anche dalla sua esperienza personale (l’addio a Jennifer Jason Leigh), e gira con mano ferma la sua opera più ambiziosa. Conserva lo stile pungente, vicino alla commedia degli attici di Woody Allen, mantiene i suoi dialoghi carichi, incalzanti. Fissa la macchina da presa sul volto dei suoi divi, quasi li stritola nelle loro emozioni. Cattura le lacrime, i sorrisi, gli scatti di rabbia che fanno nascere cerchi nel muro (il pugno di Adam Driver), i comportamenti oltre il limite che portano a rette (il taglio nel braccio di Driver). E poi i quadrati, i rettangoli (le foto sul mobile nella villa della madre di Scarlett Johansson), i triangoli che si vedono sul palcoscenico durante le rappresentazioni. Marriage Story è una piccola apocalisse narrata con tenerezza, una perla nella filmografia di Baumbach. Che si supera, si mette a nudo, sfida le convenzioni, si fa più malinconico e cerca la dolcezza anche in un mondo che crolla.
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Immagini tratte da:
Locandina: politeama.org Immagine1: Mondofox.it Immagine2: cinematographe.it Immagine3: Iodonna.it Di Federica Gaspari
La carriera di un regista può spesso vivere vertiginosi alti e bassi, in un costante susseguirsi di film dalle alterne fortune con pubblico e critica. La storia del cinema insegna che quasi tutti i grandi autori sono inciampati in almeno un passo falso, cercando sempre di rialzarsi dimostrando nuovamente il proprio talento. Con le attuali dinamiche del cinema, dominate da oligarchie dell’intrattenimento e regolate da franchise sorretti dagli stessi inguaribili e giudicanti fan, un umano errore, un calcolo sbagliato con un film ricco di aspettative può però determinare la fine di un sogno nella settima arte. Secondo questa visione, in molti hanno archiviato con un pizzico di compiacimento l’esperienza cinematografica di Rian Johnson dopo il tanto discusso e sbilanciato Star Wars: Gli ultimi Jedi. A due anni dalla funesta incursione nella galassia delle grandi produzioni, il regista statunitense torna al cinema con una nuova scommessa inaspettata quanto ordinaria. Johnson, infatti, per la svolta non sceglie un ritorno alle origini indie ma si mette nuovamente alla prova con quello che, sulla carta, ha tutti gli indizi che lo portano a essere un film classico, senza infamia né lode. Con Cena con delitto – Knives Out, tuttavia, il regista si approccia ai temi più tradizionali del genere con verve e toni frizzanti e freschi, sfruttando al meglio un cast di nomi d’eccellenza in una narrazione ammiccante, ammaliante e consapevole dei limiti dettati dal suo immaginario ma soprattutto conscia delle sue potenzialità fuori dal comune. L’improvvisa morte di Harlan Thrombey (Christopher Plummer), scrittore di gialli di grandissima fama, sconvolge i piani di un’intera famiglia abituata agli agi e alle comodità dettate dal successo guadagnato e consolidato negli anni dal patriarca. L’impareggiabile investigatore privato Benoit Blanc (Daniel Craig) viene misteriosamente coinvolto nelle indagini di quello che all’apparenza è un banale suicidio. Le ricerche e gli indizi, tuttavia, porteranno a galla dinamiche e rapporti ben diversi da quelli costruiti artificiosamente per un primo sguardo distratto. Le prime sequenze, i movimenti di camera e le scelte stilistiche operate di Johnson chiariscono sin dal principio i riferimenti, in alcuni passaggi omaggiati esplicitamente, di questo “moderno giallo deduttivo”. Il trailer, con poche ma significative inquadrature, richiamava abilmente il mondo dei romanzi di Agatha Christie, attingendo a piene mani da strutture narrative fortemente segnate da stereotipi e figure sopra le righe. Johnson, con astuzia e maestria, piega alle sue necessità questi canoni costruendo e introducendo gradualmente un gruppo di sospettati vivacemente definiti nelle loro personalità – macro-sfumature di una precisa classe sociale attuale - da gesti, costumi e colori. Questo apparente e massiccio utilizzo degli schemi del giallo tradizionale, tuttavia, rivela anche interessanti sguardi sulla società, sull’ipocrisia dell’upper class e sulla genuinità dei rapporti più semplici e, forse, ingenui. Prendendosi anche qualche irriverente soddisfazione nel tratteggiare anche i suoi haters – chi se non il più giovane tra i Thrombey? -, Johnson si aggira tra le eleganti stanze della dimora della vittima come il miglior giocatore di Cluedo si avventura sulla plancia da gioco. Il regista e sceneggiatore, però, alza la posta in gioco scommettendo su un gruppo di noti attori in ruoli estremamente distanti da quelli con cui sono diventati celebri. È il caso di Daniel Craig, brillante nelle vesti di un eccentrico detective costantemente sopra le righe ben distante dai suoi granitici uomini d’azione. Lo stesso accade con un Chris Evans alle prese con un giovane ereditiere spocchioso e opportunista con la risposta sempre pronta in una ballerina e incalzante sceneggiatura con ogni battuta al punto giusto. Con questo gioco di ribaltamento dei ruoli, Knives Out si rivela vincente e appassionante ben più di un semplice divertissement. Johnson si diverte a ingannare e depistare il pubblico ma senza dubbio è molto chiaro e trasparente su un aspetto: il suo talento nella settima arte deve essere indiscutibile. Immagini tratte da: https://www.torinofilmfest.org
di Matelda Giachi
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Genere: Commedia, Sentimentale
Anno: 2019 Durata: 92 min Regia: Woody Allen Cast: Timothée Chalamet, Elle Fanning, Selena Gomez, Jude Law, Diego Luna, Liev Schreiber, Kelly Rohrbach, Suki Waterhouse, Rebecca Hall, Cherry Jones, Annaleigh Ashford, Griffin Newman, Taylor Black, Kathryn Leigh Scott, Natasha Romanova, Jacob Berger Sceneggiatura: Woody Allen Fotografia: Vittorio Storaro Montaggio: Alisa Lepselter Produzione: Gravier Productions, Perdido Productions Distribuzione: Lucky Red Paese: USA
Mentre l’uragano #meetoo, nel suo momento di massima furia inconrollata, colpiva Allen e comprometteva l’uscita dell’appena terminato A Rainy Day in New York e anche tutti i suoi attori, per tutelarsi, prendevano più o meno velatamente le distanze dal regista, Jude Law solo si esponeva dichiarando che invece bloccarne la distribuzione era non solo un peccato, ma un errore. Buon vecchio Jude. Aveva ragione. Un giorno di pioggia a New York è una vera e propria “chicca”.
In un piccolo college universitario di provincia, la giovane Asleigh (Elle Fanning) ottiene un’intervista a New York con l’importante regista (Liev Schreiber). Col fidanzato Gatsby (Timothée Chalamet) decidono quindi di approfittarne per passare un romantico weekend insieme nella grande mela. Sulla classica intelaiatura da commedia adolescenziale romantica, Allen inserisce tutti i temi più importanti dei suoi film: uno su tutti, New York.
Un giorno di pioggia a New York è infatti, in primo luogo, una grande celebrazione dell’amore che il regista nutre per questa città, soprattutto nei suoi momenti di grigia piovosità. E’ lei la protagonista vera del titolo. La magnifica trapiantando questa visione romantica negli occhi del protagonista, il cui nome Gatsby è tutt’altro che casuale.
Altro tratto tipico è un’umanità piena di nevrosi, che Woody Allen da sempre accentua iperbolicamente portando i suoi attori ad una recitazione fortemente mimica, sia da un punto di vista di espressioni facciali che di movimenti a volte compulsivi. Per fare questo, come sempre un grande cast a disposizione. L’attenzione però è soprattutto su Gatsby e Ashleigh, nelle cui vite si inseriscono, in sole 24 ore, Selena Gomez, Jude Law, Diego Luna e molti altri, sconvolgendo ogni dettaglio di un weekend pianificato al millimetro. Ed ecco un altro tema caro ad Allen, il destino. Sarà una ventata di positività legata al fatto di lavorare con attori così giovani, ma il destino di Un Giorno di Pioggia a New York è tutt’altro che cinico. E’ un destino che sistema le cose, le fa andare nella giusta direzione. Perché i personaggi del film non sono semplicemente nevrotici, sono incompleti, confusi, irrisolti; ognuno, anche i minori, in una fase di passaggio della propria vita. La pioggia newyorkese, altro elemento chiave insieme alla città stessa, lava via ogni incertezza e apre nuovi orizzonti.
Di cinico rimane l’umorismo tipico di Manhattan ed Io e Annie, tagliente e geniale, nonché le neanche troppo dissimulate stoccate a tutta una serie di cliché hollywoodiani e del mondo dello spettacolo in generale.
Sul piano della recitazione nulla da dire, un grande attore rimane un grande attore anche con piccoli ruoli. Tra Chalamet e Fanning, entrambi astri nascenti di questo momento cinematografico, il primo è una spanna sopra la sua co-protagonista. Sicuramente tagliato per questo genere di ruoli, appare interpretativamente più maturo, mentre lei, seppur brava, sembra ancora un po’ acerba come il suo personaggio. Nota di merito a Storaro, direttore della fotografia, alla sua terza collaborazione con Woody Allen, per un uso eccezionale della luce. Che dire Woody, era veramente tanto che non riuscivo a destinarti parole di lode. Bentornato. Voto:7/8 P.S. nel film Allen è riuscito a inserire anche se stesso… Vi sfidiamo a individuarlo!
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Maggio 2023
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