di Federica Gaspari La 37esima edizione del Torino Film Festival sorprende e sconvolge i pronostici della vigilia premiando un film scandinavo dall’apparenza tradizionale ma dall’essenza fuori dal comune. Si è conclusa ieri la 73sima edizione del Torino Film Festival, appuntamento cinematografico che negli anni ha saputo conquistarsi un ruolo di rilievo non solo nel panorama italiano. Con il suo respiro internazionale e multiforme, il festival del capoluogo piemontese continua a rinnovare il suo spirito popolare, fortemente legato alla sua città, trovando un punto d’incontro tra l’intrattenimento delle storie più pop e l’eleganza del cinema indie. Torino 37 Il concorso principale del Torino Film Festival ha visto in scena alcuni dei talenti cinematografici più interessanti del momento. In titoli in gara, coniugando i temi dell’attualità attraverso i generi più disparati, hanno saputo proporre molteplici prospettive e voci. Nonostante il grande entusiasmo mostrato dagli appassionanti per la produzione spagnola El Hoyo, alla fine trionfa la narrazione scandinava di Hlynur Palamason A White, White Day, una riflessione inedita sul lutto e sulle relazioni personali. Il racconto distopico iberico sembrava essere il preferito alla vigilia, in un’edizione interamente dedicata all’horror sin dalla locandina dedicata all’icona Barbara Steele. La giuria presieduta da Cristina Comencini sorprende invece tutti assegnando il premio principale a un solido dramma che si distingue da molti altri prodotti tradizionali per alcune scelte stilistiche originali. Tra i premiati dalla giuria, spunta anche un titolo italiano: Giuseppe Battiston e Stefano Fresi, infatti, si aggiudicano il premio per le migliori interpretazioni maschili nel film Il grande passo di Antonio Padovan. Miglior Film Hvitur, Hvitur Dagur / A White, White Day – Hlynur Palmason Premio Fondazione Sandretto Re Rebaudengo La Reve de Noura – Hinde Boujemaa Premio per la Miglior Attrice Dylda / Beanpole – Viktoria Miroshnichenko e Vasilisa Perelygina Premio per il Miglior Attore Il grande passo – Giuseppe Battiston e Stefano Fresi Premio per la Migliore Sceneggiatura Wet Season – Anthony Chen Premio del pubblico Ms. White Light – Paul Shoulberg TFFdoc La sezione dedicata ai documentari vede invece trionfare un titolo che aveva convinto gli appassionati anche al passaggio al Locarno Film Festival. 143 Rue du Desert, racconto della storia e della vita della donna dall’Algeria. INTERNAZIONALE.DOC Miglior film per Internazionale.doc 143 Rue du Desert – Hassen Ferhani Premio speciale della giuria per Internazionale.doc Khamsin – Grégoire Couvert e Grégoire Orio ITALIANA.DOC Miglior film per Italiana.doc Fuori tutto – Gianluca Matarrese Premio Speciale della giuria per Italiana.doc L’apprendistato – Davide Mavaldi ITALIANA.CORTI Premio per il miglior cortometraggio Spera Teresa – Damiano Giacomelli Premio Speciale della giuria La buca – Dario Fedele Le prospettive del Torino Film Festival
Con un’edizione ricca di scelte coraggiose e di grandi scommesse su titoli insospettabili, il Torino Film Festival conferma ed esalta la sua vocazione innovativa e rivoluzionaria in un panorama che spesso punta l’attenzione solamente sulle grandi produzioni. Riscoprendo titoli cult del passato e gioiellini dell’horror, il festival scommette sui generi e sulle intuizioni portando in scena storie e voci estremamente diverse tra loro ma unite da una comune ricchezza di intenzioni e contenuti. Non mancano, infine, prestigiose anteprime ed esclusive dei film più interessanti della stagione. La manifestazione, infatti, si è aperta con la proiezione eccezionale di Jojo Rabbit, gioiellino di Taika Waititi che ha stregato i maggiori festival statunitensi con la sua vena satirica estremamente tagliente e fuori dall’ordinario. L’atteso Knives Out, l’elegante giallo di Rian Johnson, ha invece accompagnato il festival alla sua conclusione, raccontando una storia intrigante e coinvolgente grazie a un cast stellare che, però, ha saputo mettersi in gioco in vesti inedite. Quali sono le aspettative per la prossima edizione che avrà luogo dal 20 al 28 novembre 2020? Nuovi orizzonti e coraggiose scommesse in grado di non dare mai niente per scontato in un festival sempre capace di stupire. Maggiori info su: https://www.torinofilmfest.org/it/
0 Commenti
di Matelda Giachi
Era solo questione di tempo. Il successo di Frozen è stato troppo importante perché la Disney non decidesse di dargli un seguito. Seguito che da mercoledì 27 novembre è nelle nostre sale. A dispetto di un passato non proprio glorioso in fatto di secondi capitoli (fatta eccezione per il recente Gli Incredibili 2) Il Segreto di Arendelle, seppur non all’altezza del precedente, è un film riuscito e molto carino. Nel ritorno al regno di Arendelle ritroviamo Elsa più sicura della sua magia, ma ancora confusa per quanto riguarda il proprio posto nel mondo. Insomma, una di noi. Accanto a lei la sorella Anna che, priva invece di qualsiasi potere, sente però sempre di dover proteggere la maggiore, anche con un certo eccesso di zelo. E di ansia. Mamma quanta ansia… Ci sono poi Kristoff, buono e paziente, con la renna Sven, e l’immancabile pupazzo di neve Olaf, vero mattatore della situazione e pilastro del lungometraggio animato. Tutto comincia con un re e una regina che raccontano alle proprie figlie piccole di un bosco incantato. Molti anni dopo, una forza misteriosa perturba l’equilibrio nella vita del piccolo regno, mentre Elsa sente il richiamo di una voce che canta e la invita a raggiungerla. Così le due sorelle, per cercare risposte, si trovano a dover affrontare un viaggio nel passato della propria famiglia, scoprendone luci ed ombre. Lungo il percorso, impareranno molte cose su se stesse e soprattutto a contare l’una sull’altra. Trama semplice, efficace, anche se, a tratti, portata avanti in maniera non del tutto lineare; una bellissima storia di sorellanza è il punto forte di Frozen 2, insieme anche alla positività e simpatia di Olaf e ad effetti visivi assolutamente magnifici. Per chi ancora stesse smaltendo i postumi del black Friday, segnaliamo la pericolosità dei continui cambi d’abito delle due principesse, tutti talmente belli da istigare allo shopping compulsivo. Vorremmo fosse questo l’unico problema da evidenziare, ma la vera pecca di questo film d’animzione sono le canzoni. Tante, troppe. E tutte anonime. Tranne una, una specie di As long as you love me versione Disney, che vede protagonista Kristoff in versione Nick Carter con il resto della band sostituita da un esercito di renne. Lo stacco pubblicitario che ha seguito è arrivato decisamente troppo tardi. Velo peloso (almeno è più spesso), sulla canzone originale dei Negramaro. Un assoluto peccato perché Serena Autieri e Serena Rossi, oltre ad avere una gran voce, hanno fatto con Elsa e Anna un ottimo lavoro. Comunque le renne sono bellissime. Voto: 7 Di Federica Gaspari Genere: drammatico Anno: 2019 Regia: Hlynur Palmason Attori: Ingvar Sigurdsson, Ida Mekkin Hlynsdottir, Hilmir Snaer Gudnason, Bjorn Ingi Hilmarsson, Elma Stefania Agustsdottir Sceneggiatura: Hlynur Palmson Fotografia: Maria Von Hauswollf Montaggio: Julius Krebs Damsbo Produzione: Join Motion Pictures Paese: Islanda, Danimarca, Svezia Durata: 109 min Il cinema scandinavo, spesso intrappolato nell’immaginario comune della freddezza dei suoi colori e paesaggi, ha un modo piuttosto peculiare di portare in scena emozioni e sentimenti. A White, White Day (Hvitur, hvitur dagur) è il perfetto esempio di questo rappresentazione della sfera emotiva umana. Seguendo un approccio e un ritmo lontanissimo da ogni schema consolidato, il secondo lungometraggio del regista e sceneggiatore islandese Hlynur Palmson ha conquistato critica e pubblico dalla Semaine de la Critique di Cannes fino al concorso principale della 37esima edizione del Torino Film Festival. Il film, infatti, è stato premiato con il riconoscimento al miglior film, sorprendendo soprattutto i pronostici della vigilia che vedevano un’ottima accoglienza di pubblico e critica per l’horror distopico El Hoyo. A un primo sguardo, l’ultima pellicola di Palmason potrebbe sembrare la più classica frequentatrice di eleganti concorsi cinematografici. La storia di Ingimundur (Ingvar Sigurdsson) si avventura tra le pieghe del lutto della perdita della moglie, morta tragicamente in un incidente stradale dai contorni misteriosi. Questo punto di partenza piuttosto tradizionale, tuttavia, viene sviluppato in modo inaspettato, stimolando il pubblico con continui interrogativi e cambi di marcia distanti dalle canoniche variazioni sul tema. Un uomo, un padre, un nonno, un poliziotto, un vedovo. La vita di Ingimundur sembra essere perfettamente descritta da queste etichette. Anche la sua sofferenza, silenziosa e quasi invisibile, si consuma in modo rigoroso, secondo una (forse) stereotipata concezione scandinava. Non piange e difficilmente ha sfoghi emotivi: tutta la sua attenzione è concentrata nel lavoro per la costruzione di una nuova abitazione dove trascorrere la giornata insieme alla nipotina dal momento della scomparsa della moglie. Proprio come le sequenze stagionali del paesaggio da camera fissa che si alternano nei primi minuti del film, Ingimundur sembra quasi indifferente a tutto quello che gli accade intorno, con un comportamento che si riflette perfettamente nell’estetica fredda e algida della fotografia di Maria Von Hauswollf. Un’introduzione insolita che a tratti lavora a sottrazione esplode nella seconda parte della narrazione rivelando tutti i colori più accesi delle emozioni provate da Ingimundur: l’amore per la nipotina, la sofferenza per il sospetto del tradimento della sua amata e la rabbia per una realtà in cui non riesce più a trovare saldi riferimenti sono ormai incontenibili. L’attore protagonista, Ingvar Sigurdsson, è davvero viscerale nel dare forma al travolgente turbinio di emozioni che prende il controllo della scena. L’esplosione potrebbe sembrare improvvisa e dettata da un vero raptus ma Palmason già nella prima parte dissemina piccoli dettagli, all’apparenza accessori, che lasciano intuire l’inevitabile sviluppo. Insinuandosi nell’animo e nell’identità del suo protagonista come nella solitudine dei fiordi e delle insenature islandesi, il regista porta così in scena una storia difficile da inserire in un genere, creando forse una strana condizione tutt’altro che accomodante. Il passo verso l’ignoto e avvolgente bianco della foschia dei paesaggi islandesi e dell’anima di Ingimundur, tuttavia, verrà ampiamente ripagato da una prospettiva fuori dall’ordinario nonostante la superficie tradizionale. Immagini tratte da: https://www.torinofilmfest.org |
Details
Archivi
Dicembre 2022
Categorie |