Di Federica Gaspari Da sempre i Bond movies sono un’occasione perfetta per viaggiare con la fantasia. I cinque film con Daniel Craig, tuttavia, hanno un legame strettissimo con i loro luoghi tutti da esplorare. Sin dalla sua origine nel lontano 1962, il fortunato universo di James Bond, nato tra le pagine di Ian Fleming e divenuto una leggenda della settima arte, deve buona parte del suo successo a un perfetto equilibrio tra un protagonista carismatico, co-protagoniste affascinanti e ambientazioni mozzafiato. Ai tempi di Sean Connery tra gli anni Sessanta e Settanta, luoghi esotici e quasi nati da un sogno a occhi aperti erano frutto di un’oculata scelta della produzione costantemente alla ricerca di una fuga dalla realtà per un pubblico poco avvezzo a certe mete esotiche lontane dal turismo di massa. La breve esperienza di George Lazenby ha invece posto l’accento sull’eleganza e il lusso di mete europee che con l’arrivo di Roger Moore, tuttavia, si sono trasformate in un modo di riflettere sulla realtà tra esuberanza dei generi ed estravaganza della messa in scena fino ad arrivare nello spazio. Pur risultando intriganti, le mete visitate da Timothy Dalton e Pierce Brosnan al tramonto della Guerra Fredda tra Est e Ovest non sono comunque all’altezza dell’immaginario geografico – e geopolitico – plasmato dall’incarnazione più recente di Bond, quella di Daniel Craig. Questo viaggio cinefilo gentilmente offerto da IlTermopolio è un nuovo tour dalle dimensioni internazionali che, dopo avervi accompagnato nella Los Angeles di La La Land, nella New York di Ghostbusters e nella Parigi di Midnight in Paris, si prepara ad attraversare nazioni e continenti nel ripercorrere tutta la filmografia bondiana di Daniel Craig.
Il Bond di Daniel Craig non solo ha dovuto confrontarsi con un franchise che da troppo tempo chiedeva a gran voce una ventata di novità ma anche con un pubblico più sofisticato, un’audience sempre più abituata a visitare scenari fuori dal comune attraverso lo sguardo di protagonisti di film e serie tv. Sin dalla sua introduzione, allora, si sono scelte ambientazioni – e scenografie - che riflettessero lo spirito di questa nuova incarnazione del personaggio: diretta, concreta e spietata senza mai rinunciare, tuttavia, a un tocco di sofisticata eleganza. Con Casino Royale, quindi, si assiste a un viaggio nella vecchia Europa con buona parte delle riprese realizzata nei palazzi di Praga e Karlovy Vary in Repubblica Ceca, e, ovviamente, della cara vecchia Londra. Pur non mancando la tradizionale tappa nei Caraibi a Nassau, per la prima volta dopo diversi anni nel franchise torna in scena l’Italia con un gran finale tra i canali di Venezia.
L’Italia è un elemento cardine dell’immaginario di questo Bond sin dai suoi albori e rappresenterà una meta obbligata e solitamente molto apprezzata dal protagonista per quattro dei suoi cinque film. Sfortunatamente, la Toscana ritratta nel secondo capitolo tra Massa e Siena non sembra aver regalato grandi soddisfazioni al film più bistrattato di Craig, Quantum of Solace, duramente penalizzato anche dallo sciopero degli sceneggiatori avvenuto durante la produzione. Se la trama e la messa in scena non hanno soddisfatto buona parte del grande pubblico, lo stesso non si può dire del variegato insieme di mete visitate da 007, uno dei più ricchi di sempre con missioni tra Europa e Sud America. Oltre alla tradizionale toccata e fuga a Londra, infatti, James Bond terminerà la missione tra Panama e Cile.
I luoghi più iconici della reggenza di Craig sono però indubbiamente da ricercare nei panorami di Skyfall, perfetto esempio di come le ambientazioni in bilico tra classico e moderno abbiano giocato molto nel definire anche la psicologia del personaggio stesso. Con il primo film affidato alla regia di Sam Mendes, infatti, il franchise si tuffa tra inquadrature polverose e toni seppia nel cuore vibrante della Turchia, tra Istanbul e Kiralan, a decenni dall’amatissimo From Russia with Love. Si tratta della prima occasione in cui nel nuovo ciclo bondiano fanno capolino architetture dai tratti bizantini o medio orientali. La stessa autenticità, purtroppo, non si può ritrovare nei palazzi ultramoderni di quella che nella finzione è Shangai ma che nella realtà è la periferia di Londra. L’ambientazione più memorabile è però probabilmente quella giapponese di Hashima, isola abbandonata al largo delle coste della penisola di Nagasaki. L’affascinante storia vera di questo scorcio di Sol Levante si arricchisce ulteriormente intrecciandosi infine con l’origine di un mito, quello di Bond, che con Skyfall affonda le radici nella profonda Scozia tra brughiere e paesaggi rurali che creano il perfetto contrasto con le precedenti mete.
Con Spectre arriva sulla scena internazionale uno dei film più controversi dell’intero franchise insieme a una delle sequenze di apertura più spettacolari di sempre. È difficile, infatti, rimanere impassibili davanti alle peripezie di Bond a Città del Messico nel vivo del Dia de Los Muertos. Dopo quest’introduzione scoppiettante, l’azione si sposta nuovamente nella vecchia Europa, tra Londra, Roma e, soprattutto, Austria dove tornano a fare capolino le Alpi in un chiaro omaggio a On Her Majesty's Secret Service, titolo che a distanza di anni finalmente sembra trovare lo status di cult. Il gran finale è tutto a Londra sulle rive del Tamigi ma il cuore dello spettatore è rimasto probabilmente ancora in Messico con quell’eccezionale fuga in elicottero.
Il tramonto dell’era Daniel Craig assume, invece, i toni freddi della Norvegia con un ingresso in scena a tinte horror sulle rive di un lago ghiacciato a nord di Oslo. Anche il secondo atto del film si snoderà sull’Atlantic Road norvegese e sulle remote isole Faroe ma solamente dopo aver regalato al pubblico un adrenalinico viaggio tra Basilicata e Puglia con i Sassi di Matera e Gravina a fare da sfondo al primo emozionante inseguimento in auto ritratto in No Time To Die. Pur non raggiungendo mai l’epicità delle architetture e dei paesaggi di Skyfall, questo film sa perfettamente come chiudere in grande stile l’avventura di Craig nei panni della spia più celebre del grande schermo.
E ora? Mentre tutto il mondo si chiede chi raccoglierà il testimone di Craig, è inevitabile domandarsi anche dove verrà condotto il pubblico nelle prossime avventure del personaggio nato dall’immaginazione ed esperienza di Ian Fleming. Nel cuore dell’incertezza sul futuro di James Bond è senza dubbio bello lasciarsi cullare dal pensiero di nuovi emozionanti viaggi tra location esotiche e città tutte da (ri)scoprire attraverso la magia del grande schermo.
Risorse: http://movie-locations.com/ www.imdb.com www.screenrant.com Dati mappa: Utenti di www.openstreetmap.com
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di Federica Gaspari ![]() Paese: Stati Uniti Anno: 2021 Genere: commedia, drammatico, fantascienza, supereroi Stagione: 1 Episodi: 6 Durata: 45 min Regia: Rhys Thomas, Bert & Bertie Cast: Jeremy Renner, Hailee Steinfeld, Florence Pugh, Linda Cardellini, Vincent D’Onofrio, Tony Dalton, Vera Farmiga, Alaqua Cox Un’annata senza precedenti per il Marvel Cinematic Universe si avvia rapidamente verso la conclusione con l’ultimo grande titolo rilasciato su Disney + per il sempre più nutrito gruppo di appassionati: la serie Hawkeye. Negli ultimi dodici mesi, il multiverso multimediale guidato da Kevin Feige è entrato nel cuore della fase Quattro, un’epoca di rinascita per le sue storie e per il modo di intendere e reinventare l’intrattenimento stesso. Il gioiellino metanarrativo di WandaVision ha aperto le danze a gennaio, lasciando poi spazio alle altre serie The Falcon and the Winter Soldier e Loki che hanno preparato la scena, insieme a film come Shang-Chi, Black Widow e Eternals, per l’introduzione di nuovi personaggi e dinamiche. Il gran finale riservato al pubblico, però, ha incluso quelle che sono probabilmente le esperienze e le novità più interessanti dell’intera annata, anche – inaspettatamente – sul piccolo schermo. A pochi giorni dall’uscita di Spider-Man No Way Home, infatti, si conclude la corsa di Hawkeye, un titolo su cui pochi alla vigilia scommettevano ma che, nella sua semplicità, ha saputo lasciare il segno. Un anno dopo gli eventi di Avengers: Endgame, Clint Barton (Jeremy Renner) deve collaborare con Kate Bishop (Hailee Steinfeld) per affrontare i nemici del suo passato di Ronin per tornare dalla sua famiglia in tempo per Natale. Dopo alcune iniziali incomprensioni, i due formeranno un duo che si avventurerà per le strade di New York tra indizi e pericoli che affondano le radici nel passato di entrambi ma che tracciano i presupposti per nuove prospettive del MCU. Con le sue prime serie TV, il MCU ha mostrato tutta l’incertezza nell’avventurarsi tra stilemi e convenzioni narrative seriali in una dimensione inedita, pur trattandosi del più grande esperimento seriale della storia del cinema. Una cattiva gestione di ritmo e rivelazioni ha decretato le delusioni di Loki e The Falcon and the Winter Soldier mentre WandaVision, pur risultando un prodotto rivoluzionario per il suo contesto, non è stato risparmiato da un finale poco in linea con la qualità delle altre puntate. Non potendo contare sugli stessi livelli di hype dei film precedenti né su un cast di personaggi già nel cuore del pubblico, Hawkeye ha scelto una strada differente, privilegiando un intreccio più contenuto nelle sue dimensioni ed estremamente lineare ma scommettendo tutto proprio sui nuovi personaggi alle prese con il confronto con la vecchia guardia. Definire, tuttavia, questa serie come un “semplice” e pre-confezionato passaggio di testimone sarebbe troppo riduttivo: è fin troppo facile, infatti, lasciarsi ingannare da un’apparenza pulita e lineare resa possibile solamente da un oculato studio di ogni personaggio non solo attraverso traumi o umorismo sopra le righe ma soprattutto attraverso la bellezza del ritrovarsi insieme in un’avventura urbana e natalizia, lontana anni luce dagli apocalittici scenari galattici che perseguitano il pubblico Marvel da anni. Pur ammiccando insistentemente alla nuova generazione di appassionati con l’ottima intesa da buddy story tra Steinfeld e Renner, episodio dopo episodio lo show decide di illuminare con sfumature di led natalizi i suoi personaggi, animandoli attraverso le interazioni con amici, familiari e anche semplici sconosciuti incontrati in una New York mai così vivida e pulsante. Nell’ammirare la geografia di questi rapporti personali che si sviluppano tra le strade, gli appartamenti e i luoghi sociali della città, il pensiero corre (felicemente) verso il ricordo delle atmosfere urbane – certamente più cupe – del mondo Marvel iniziato anni fa sui lidi Netflix con le serie dei Defenders e, in particolare, di Daredevil, richiamo evidente e necessario per riuscire a posare anche le prime fondamenta di un complesso narrativo che ha forse finalmente compreso che, per trovare il giusto equilibrio, dovrà tornare a riscoprire le potenzialità passate che ha finora erroneamente ignorato.
Immagini tratte da: www.comicbook.com
di Matelda Giachi
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Genere: Thriller, Drammatico, Biografico
Anno: 2021 Durata: 157 min Regia: Ridley Scott Cast: Lady Gaga, Adam Driver, Al Pacino, Jared Leto, Jeremy Irons, Salma Hayek, Jack Huston, Camille Cottin, Madalina Ghenea, Reeve Carney, Youssef Kerkour, Vincent Riotta, Andrea Piedimonte Sceneggiatura: Becky Johnston, Roberto Bentivegna Fotografia: Dariusz Wolski Montaggio: Claire Simpson Musica: Harry Gregson-Williams Produzione: Metro-Goldwyn-Mayer (MGM), Scott Free Productions Distribuzione: Eagle Pictures Paese: USA
Ridley Scott è uscito al cinema con due pellicole in questo 2021. Il primo è stato The Last Duel, flop immeritato, ottimo film totalmente incompreso, e poi il re della campagna mediatica House of Gucci, sulla rovinosa caduta della grande dinastia della moda italiana e internazionale. Un film difficile da classificare, di quelli di cui non puoi dire in assoluto che sia brutto, ma neanche bello, forse perché già a monte non si avevano le idee chiare su che tipo di prodotto dare al pubblico. Non si prende abbastanza sul serio da essere un biopic di tutto rispetto né un thriller ad alta tensione, ma neanche ha il coraggio di imboccare fino in fondo la strada pop barocca estrema che il trailer promette. E sulla stessa scia indefinita si settano anche tutti gli altri aspetti cinematografici.
Se da una parte abbiamo un equilibratissimo Adam Driver nei panni di Maurizio Gucci, dall’altra vi è un Jared Leto totalmente sopra le righe che fa del cugino Paolo un’imbarazzante macchietta. L’interpretazione di Leto ha l’effetto di un gesso che stride su di una lavagna, inserito in un contesto recitativo abitato, oltre che da Driver, da un istrionico Al Pacino e da un Jeremy Irons glaciale, ma anche dalla vera protagonista Lady Gaga, che, nel ruolo di Patrizia Reggiani avrebbe sicuramente potuto osare di più, ma che comunque si mette in gioco e regge fino in fondo il peso di una parte mastodontica. Costumi bellissimi accanto a scenografie che pullulano di dettagli storicamente fuori luogo, a partire dalla segnaletica stradale moderna in bella mostra; inaccettabile per una produzione di livello così alto. Aspetti positivi sono le scelte musicali paradossali ma anche divertenti e un montaggio che rende la visione accattivante. La storia, più che romanzata è raccontata proprio a fantasia, con la cronologia che slitta ad libitum, perché gli anni ’80 ci sono piaciuti più dei ’70, e alberi genealogici sottoposti a svariate potatine di comodo. Il dettaglio che potrà rendere al film un po’ di dignità è forse il doppiaggio, vista la scelta linguistica originale di far parlare gli attori in un americano italianizzato, cioè come se fosse pronunciato da un italiano, intercalato poi frequentemente con parole appartenenti al dizionario italiano con “ciao belli”, “grazie”, o “buongiorno”, così, a ricordare ad un eventuale pubblico distratto (sai mai, in quasi tre ore qualcuno va in bagno) la nazionalità dei protagonisti.
Il risultato è inevitabilmente confuso, tanto che, già solo a parlarne, sembra di riferirsi continuamente a film diversi. Certo non mancano gli elementi che portano ad arrivare in fondo alla visione ma, per gioire davvero della maestria di chi ha diretto film del calibro di Blade Runner, Thelma e Louise, Il Gladiatore ma anche Tutti i Soldi del Mondo, meglio recuperare The Last Duel e, se amanti del genere, la serie diretta invece da Ryan Murphy “L’assassinio di Gianni Versace”, con protagonista un Darren Criss spaventosamente illuminato. Di House of Gucci possiamo parlare solo con immenso rimpianto, quello per un incommensurabile potenziale sprecato.
Voto: 6. Più o meno.
Immagini tratte da:
www.cinematographe.it www.cinema.everyeye.it www.nonsolocinema.com www.ilgiornale.it Di Federica Gaspari Al tramonto del 2021, si entra nel vivo della Award Season tra ultimi titoli della stagione in sala e, soprattutto, prime nomination dei grandi premi, fra cui gli immancabili (e discussi) Golden Globes! Lo scorso lunedì 13 dicembre cinefili e non di tutto il mondo hanno potuto finalmente scoprire i titoli dei film e delle serie tv che il prossimo 9 gennaio gareggeranno per ottenere le scintillanti statuette dei Golden Globes assegnati dalla Hollywood Foreign Press Association. Dopo le polemiche e gli scandali degli ultimi mesi, l’associazione ha dovuto (in parte) mettere in discussioni le sue fondamenta, arrivando anche a un “mea culpa” ufficiale in apertura della comunicazione dei candidati per il 2022. Pur non potendo vantare il prestigio delle origini, tuttavia, questo storico premio è considerato da sempre, soprattutto a livello mediatico, come l’apripista della stagione dei grandi premi che culmina ogni anno con la cerimonia degli Oscar. I Golden Globes, quindi, possono essere un’ottima occasione per iniziare a individuare i film da tenere d’occhio, i titoli che potrebbe consolidare la loro fama oppure quali potrebbero rivelarsi grandi sorprese. Perché, allora, non scoprire insieme chi è in corsa per questa edizione? Film La selezione di film in gara per il 2022 è tra le più ecclettiche e variegate degli ultimi anni, con titoli molto diversi anche all’interno delle due categorie. Tra le pellicole drammatiche, si conferma la moderna tradizione legata a produzioni presentate in esclusiva alla Mostra del Cinema di Venezia e da sempre adocchiate come frontrunner per i grandi premi. Si tratta di Dune di Denis Villeneuve e Il potere del cane di Jane Campion. Quest’ultimo, in particolare, sembra essere il favorito della vigilia, vantando anche candidature alla regia e nelle categorie attoriali (Benedict Cumberbatch, Kirsten Dunst e Kodi Smith-McPhee). Non bisogna però sottovalutare la competizione di film come il beniamino dello scorso Sundance CODA, il biopic delle sorelle Williams King Richard acclamato a Telluride e Tribeca e l’intimo racconto in bianco e nero Belfast di Kenneth Branagh. Mentre i titoli drammatici di punta conquistano anche gli slot delle candidature per la migliore regia con l’eccezione del veterano Spielberg con il suo West Side Story e la “debuttante” Maggie Gyllenhaal con The Lost Daughter, in molti si chiedono che fine abbiano fatto nomi come Paul Schrader (The Card Counter), Wes Anderson (The French Dispatch) e soprattutto Paul Thomas Anderson, il cui ultimo lavoro Licorice Pizza è tra i favoriti della categoria commedia o musical. Al fianco di quest’ultimo si riconferma la produzione Netflix dal cast stellare Don’t Look Up, il già citato remake firmato Spielberg e altri due musical, Cyrano e Tick, Tick…Boom che, insieme al grande assente Annette, confermano come il 2021 sia stato un anno di grande rinascita per questo genere cinematografico. Con la categoria miglior film in lingua straniera arrivano anche le grandi soddisfazioni per il cinema italiano con È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino che si prepara a sfidare tre titoli presentati a Cannes (Scompartimento n. 6, Drive My Car e Un eroe) e uno direttamente da Venezia (Madres Paralelas). Infine, non sono da escludere a priori possibili piacevoli sorprese dal mondo dell’animazione con la nomination di Luca di Enrico Casarosa al fianco di Encanto, Flee, My Sunny Maad e Raya e l’ultimo drago. Serie TV A differenza delle categorie cinematografiche che hanno rispettato i pronostici con rare e isolate eccezioni, le candidature dedicate alle migliori produzioni del piccolo schermo hanno regalato sorprese e anche qualche sopracciglio sollevato. In alcune categorie, infatti, sembra decisamente evidente l’influenza che alcuni fenomeni mediatici di passaparola e pubblicità hanno esercitato sui giornalisti che hanno nominati alcuni titoli. Infatti, è senza dubbio curiosa la presenza di titoli Netflix come Lupin e Squid Game al fianco di serie universalmente acclamate da pubblico e critica come Pose, The Morning Show e, soprattutto, il granitico Succession. Gli stessi titoli tornano anche nelle categorie attoriali, con l’eterno binomio Cox-Strong che anima Succession fuori e sullo schermo e con la veterana Elisabeth Moss che ottiene l’ennesima candidatura per The Handmaid’s Tale, uno show ormai interamente costruito sul suo potente sguardo in camera. Le sfide più avvincenti vanno quindi ricercate tra i titoli commedia o musical che quest’anno testimoniano un’incredibile rinascita di un genere spesso sottovalutato soprattutto sul piccolo schermo. I quotatissimi The Great, Only Murders in the Building e Ted Lasso affronteranno le sorprese Hacks e Reservation Dogs, in una selezione che dimostra quanto si sia diversificata la produzione televisiva di comedy negli ultimi anni sui diversi network e piattaforme. Tra gli attori candidati, sarà davvero gustoso e intrigante vedere chi avrà la meglio tra Nicholas Hoult (The Great), l’ormai iconico Ted Lasso di Jason Sudeikis e la coppia che scoppia di Only Murders in the Building composta da Martin Short e da un redivivo Steve Martin. La selezione dal piccolo schermo si conclude con alcune grandi mini-serie che hanno segnato la scorsa stagione dall’impegnato La ferrovia sotterranea di Amazon ai discussi Dopesick e Impeachment:American Crime Story che si avventurano tra le pieghe più oscure degli Stati Uniti contemporanei, passando per l’attualità di Maid e il prestige drama HBO di Mare of Easttown. I grandi assenti Scenes from a Marriage e WandaVision si devono “accontentare” di candidature solo nelle sezioni attoriali con le loro rispettive coppie protagoniste, Oscar Isaac-Jessica Chastain - quest’ultima in gara anche tra i film con The Eyes of Tammy Faye – e i supereroi da sitcom Paul Bettany-Elisabeth Olsen. Quale sarà il vostro film o la vostra serie televisiva dell’anno? Il vostro titolo del cuore avrà conquistato anche l’HFPA? Mancano ancora alcune settimane alla premiazione dei prossimi Golden Globes e alle risposte a questi quesiti. Senza dubbio, tuttavia, queste candidature possono suggerire qualche intrigante titolo da (ri)scoprire anche in vista delle feste natalizie.
Immagini tratte da: www.optimagazine.com ilbolive.unipd.it www.ciakclub.it
Grande, spettacolare, complesso, ambizioso. Un film che chiude una trilogia, un ventennio di Spider-Man, una stagione della vita di Peter e prepara l'ingresso definitivo in un nuovo universo. Finalmente eccovi la recensione di Spider Man: No Way Home.
di Salvatore Amoroso
![]() Genere: Avventura Anno: 2021 Durata: 148 min. Regia: Jon Watts Sceneggiatura: Chris McKenna, Erik Sommers Fotografia: Mauro Fiore Scenografia: Rosemary Brandenburg, Emmanuelle Hoessly Musiche: Michael Giacchino Montaggio: Jeffrey Ford, Leigh Folsom Boyd Casa di produzione: Marvel Studios, Columbia Pictures. Distribuzione: Warners Bros Entertainment Paese: USA Cast: Tom Holland (Spider Man); Zendaya (MJ); Benedict Cumberbatch (Stephen Strange); Jacob Batalon (Ned); Jon Favreau (Happy); Marisa Tomei (May Parker); Alfred Molina (Otto Octavius); Willem Dafoe (Norman Osborn); Jamie Foxx (Electro).
La pressione che si avverte nelle prime sequenze di Spider-Man: No Way Home è la stessa che mediaticamente ha subito il film in questi ultimi sei mesi (forse più grande). L’ansia, la frenesia, la spasmodica ricerca della verità attorno alla trama dell’ultima fatica di casa Marvel ci ha fatto perdere di vista il percorso di crescita dell’arrampica muri interpretato da Tom Holland. Percorso che a pensarci bene fotografa perfettamente la generazione di oggi, quella del ‘’tutto e subito’’, quella che non può aspettare e sente la pressione di dover crescere a tutti i costi senza dover fare sacrifici. Lo Spider Man di Sam Raimi nel 2004 diceva: ‘’A volte, per fare la cosa giusta, bisogna mostrare carattere. E rinunciare a ciò che vogliamo di più, persino ai nostri sogni’’. Ed è quello che il nostro Spidey dovrà fare in questo nuovo capitolo, staccare il cordone ombelicale e diventare uomo, diventare davvero il super eroe che conosciamo.
Stavolta è proprio come recita il titolo, non ci sarà un ritorno a casa. Il nostro Peter vivrà l’avventura più difficile di sempre e non ci saranno gli altri eroi a dargli una mano. L’azione si sposterà sulla terra dove non ci sarà Thanos ne il suo amato mentore Tony, solo lui, ‘’il ragazzo del Queens’’ che dovrà vedersela contro una schiera di super cattivi provenienti da universi differenti. Non sarà facile per il nostro eroe ne tantomeno per noi spettatori. Si perché, in fondo, il Peter di Holland è stato l’eroe più coccolato di questo universo Marvel. A differenza dei suoi passati protagonisti, questo Spidey non ha mai dovuto lottare contro le avversità della vita quotidiana come quello di Tobey Maguire, e non ha nemmeno dovuto gestire il profondo dolore che sfocia in rabbia che prova Andrew Garfield nella sua saga. La proverbiale responsabilità, che l’amato Zio Ben citava prima di esalare il suo ultimo respiro, arriverà con la sofferenza straziante di un nuovo lutto, che spingerà il nostro Peter a chiudere per sempre con il suo mondo ovattato e lo allineerà idealmente con gli altri universi ragneschi.
Il regista Jon Watts non dimentica affatto il tono scanzonato che ha dato alla sua saga e nonostante questo capitolo affronti temi più adulti, riesce ad alleggerire il tutto condendolo di spassose gag e succulente citazioni dell’universo Spider Man. Watts ci invita a fare un giro nel suo parco giochi dove le montagne russe sono azionate dal duo di sceneggiatori formato da Chris McKenna e Erik Sommers, che sembrano essersi divertiti abbastanza nel doversi barcamenare tra paletti tanto stretti che, però, permettevano loro anche di compiere scelte spericolate, forse un po’ troppo avventate. Questo film infatti ha il pesante compito di chiudere un ciclo durato vent’anni e deve amalgamare la leggerezza dei precedenti capitoli targati Sony con i toni più altisonanti della saga Marvel, che impone un certo tipo di gravitas. A tratti sembra che questo mix riesca e il tutto scorra con naturalezza, ma molto spesso No Way Home risulta eccessivo, quasi ridondante e confusionario in alcune sequenze, e purtroppo lo spettatore potrebbe sentirsi spaesato. Per fortuna Watts ha grande consapevolezza dello spettacolo e gestisce in maniera bilanciata la coralità, merito anche dell’enorme carico di fanservice che arriva come una manna dal cielo e che non può non farci balzare dalla poltrona. Sfido infatti a trovare qualche detrattore che accuserà questo capitolo di non possedere una forte anima. Si ride e si piange, in alcune sequenze quel ragazzo impaurito, che deve fronteggiare la sua sfida più grande, potrebbe essere ognuno di noi. In fondo tutti abbiamo vissuto dei momenti bui e No Way Home lancia un messaggio di speranza universale (forse anche più di uno): quando le crepe del nostro animo spezzato si fanno sempre più grosse bisogna compiere un vero e proprio atto di fede, per avere la forza di chiudere gli occhi e lanciarsi nel vuoto, per affrontare le nostre paure e avere la forza di cambiare. Già bisogna credere nel cambiamento, bisogna anteporre il benessere di chi ci vuole bene veramente per potere diventare adulti. Peter Parker sembra riuscirci e la sua cieca convinzione di credere nel cambiamento, nelle seconde chances, lo guiderà verso un finale maestoso ed emozionante.
Immagini tratte da:
Locandina: ComingSoon.it Immagine1: ScreenWeek.it Immagine2: SupergaCinema.it Immagine3: EveryEye Cinema
di Vanessa Varini
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Titolo: "Cry Macho"
Paese di produzione: Stati Uniti d'America Anno: 2021 Durata: 104 minuti Genere: drammatico, western Regia: Clint Eastwood Soggetto: dal romanzo di N. Richard Nash Sceneggiatura: N. Richard Nash, Nick Schenk Fotografia: Ben Davis Interpreti e personaggi: Clint Eastwood (Michael "Mike" Milo), Eduardo Minett (Rafael "Rafo" Polk), Natalia Traven (Marta), Dwight Yoakam (Howard Polk), Fernanda Urrejola (Leta), Horacio Garcia-Rojas (Aurelio)
"Cry Macho" è il trentanovesimo film diretto da Clint Eastwood e la sua realizzazione è stata molto travagliata: N. Richard Nash scrisse una sceneggiatura intitolata "Macho", ma la 20th Century Fox la rifiutò due volte. Allora Nash trasformò la sceneggiatura in un romanzo dal titolo "Cry Macho", pubblicato 1975. Dopo le critiche positive ricevute dal romanzo, Nash insistette per realizzare la sceneggiatura e molti attori erano stati vicini al ruolo da protagonista (tra cui proprio Clint che rifiutò per interpretare l'ispettore Callaghan). Finchè nel 2020 proprio lui decide di dirigere questo film, interpretando anche il protagonista. In "Cry Macho" il novantunenne Clint non dimostra affatto la sua età ed è sempre agile, infatti il co-protagonista del film gli dice: "Sei molto veloce per essere un vecchio." L'attore interpreta Mike Milo un anziano cowboy ed ex campione di rodeo (si è rotto la schiena a causa di una caduta), che accetta di fare un favore al suo amico ed ex datore di lavoro Howard (Dwight Yoakam): riportare a casa in Texas dal Messico suo figlio Rafo (il bravo Eduardo Minett), cresciuto in strada e maltrattato dalla madre alcolizzata. Il ragazzino di tredici anni non ha più fiducia di nessuno e il suo unico amico è un gallo da combattimento di colore nero con la cresta rossa di nome Macho, la vera rivelazione del film. Mike rintraccia i due e non con poca difficoltà riuscirà a convincere Rafo a tornare a casa.
Durante il tragitto saranno inseguiti dagli scagnozzi della mamma del ragazzino e durante la sosta obbligata in un paesino, Mike insegnerà a Rafo a cavalcare, domare i cavalli, a riconoscere le persone che valgono e che il machismo è sopravvalutato, mentre il ragazzino, a sua volta, salverà Mike dai suoi problemi di alcolismo e lo aiuterà a superare la perdita della moglie e del figlio.
L'ambientazione, i costumi e i cavalli richiamano il genere western, per il resto il film coniuga il dramma e la commedia (ci sono diverse battute, la migliore è quando Mike si definisce Dottor Dolittle perché i messicani gli portano i loro animali bisognosi di cure) con il racconto di formazione e con una bella storia d’amore tra Mike e una tosta vedova messicana di nome Marta (Natalia Traven).
La storia è semplice, lineare e il lieto fine assicurato, è un film che mette di buonumore. Nella prima settimana di proiezione "Cry Macho" ha raggiunto il secondo posto al box office e attualmente è al quarto posto. Non è il miglior film di Eastwood, ma merita la visione.
di Vanessa Varini ![]() Titolo: "Blanca" Paese: Italia Anno: 2021 Genere: commedia, drammatica, giallo, poliziesco Stagioni: 1 Episodi: 6 Durata: 100 min Regia: Jan Maria Michelini, Giacomo Martelli Soggetto: dai romanzi di Patrizia Rinaldi Sceneggiatura: Francesco Arlanch, Mario Ruggeri, Luisa Cotta Ramosino, Lea Tafuri Interpreti e personaggi: Maria Chiara Giannetta (Blanca Ferrando), Giuseppe Zeno (Michele Liguori), Enzo Paci (Mauro Bacigalupo), Pierpaolo Spollon (Nanni), Antonio Zavatteri (Alberto Repetto), Gualtiero Burzi (Nello Carità), Federica Cacciola (Stella), Ugo Dighero (Leone Ferrando), Sara Ciocca (Lucia Ottonello) Va in onda tutti i lunedì dal 22 novembre (sono sei puntate), è diretta da Jan Maria Michelini (il regista di "Doc") e Giacomo Martelli ed è liberamente tratta dai romanzi gialli di Patrizia Rinaldi. Stiamo parlando della fiction "Blanca" con protagonista proprio Blanca Ferrando (Maria Chiara Giannetta), una giovane non vedente, sovrintendente di polizia e specializzata nel décodage, cioè la capacità di analizzare nelle telefonate e nelle intercettazioni suoni e rumori che vengono avvertiti solo se si possiede un udito particolarmente sviluppato. La ragazza viene assunta come stagista in un commissariato di Genova e il suo compito è portare il caffè e fare fotocopie, ma non esita ad intromettersi nelle indagini dell'affascinante ispettore Michele Liguori (Giuseppe Zeno), facendo infuriare Bacigalupo, il suo capo. Alla fine il suo intuito sarà essenziale per risolvere i casi. Blanca infatti è cieca dall'età di dodici anni a causa di un incendio nel quale ha perso la vita sua sorella maggiore Beatrice e questa tragedia l'ha spinta ad entrare in polizia. Nonostante il suo handicap, Blanca vive la sua vita con ironia ed ottimismo, non si abbatte grazie anche all'aiuto del suo cane guida Linneo e dei suoi amici, l'estetista Stella e il cuoco Nanni (Pierpaolo Spollon). Tra tutte le fiction Rai "Blanca" è una serie unica nel suo genere. Infatti è registrata con la tecnica dell'olofonia, che permette di riprodurre il suono in modo simile a come noi lo percepiamo dall'apparato uditivo umano e durante la visione della fiction si possono indossare le cuffie per sentire suoni, voci, rumori come se fossimo la protagonista della fiction, immedesimandoci in Blanca e vivendo le sue stesse emozioni. Altre particolarità della serie sono le musiche funk e jazz affidate ai Calibro 35, che hanno anche prodotto la versione usata per la sigla iniziale, la fotografia che rappresenta una Genova, la città dove è ambientata la fiction, dai colori freddi (grigio, verde, azzurro) in netto contrasto con l'abbigliamento colorato sfoggiato da Blanca. Strepitosa l'interpretazione della protagonista Maria Chiara Giannetta, il capitano Anna Olivieri di "Don Matteo", che riesce a rendere realistiche anche le scene dove ricrea, attraverso i sensi, la ricostruzione degli spazi in cui sono accaduti gli omicidi. Un'altra collega che ruba la scena alla protagonista è Fiona, cagnolina Bulldog Americano che nella fiction interpreta il cane guida Linneo. I suoi occhi azzurri magnetici molto espressivi bucano lo schermo. Nella prossima puntata, in onda lunedì, Blanca cerca di convincersi che non le interessa Liguori, avendo scoperto la sua relazione con la giornalista Marinella. Il figlio di lei, però, scompare e i due devono collaborare insieme.
GLI EPISODI SI POSSONO RECUPERARE QUI: https://www.raiplay.it/programmi/blanca FOTO TRATTE DA: https://www.superguidatv.it/ https://www.play.rtl.it/ https://www.spettacoloitaliano.it/ di Federica Gaspari ![]() Paese: Stati Uniti d’America Anno: 2021 Genere: fantascienza, drammatico Episodi: 10 Durata: 45-69 min Ideatori: David S. Goyer, Josh Friedman Regia: Rupert Sanders, Andrew Bernstein, Alex Graves, Jennifer Phang, Roxann Dawson Cast: Jared Harris, Lee Pace, Lou Llobell, Leah Harvey, Laura Birn, Terrence Mann Nel maggio del 1942, Isaac Asimov, autore che nei decenni a seguire avrebbe consolidato la sua reputazione come uno dei padri della fantascienza moderna, iniziò a pubblicare sulla rivista Astounding Magazine una serie di racconti brevi, storie di un futuro lontano le cui dinamiche sono decifrate attraverso l’oscura psico-storia. Alcuni anni dopo queste narrazioni sono state raccolte nei volumi del Ciclo della Fondazione, saga fantascientifica che ha influenzato grandissima parte dell’universo letterario, cinematografico e televisivo di genere. Per decenni showrunner e sceneggiatori hanno letteralmente saccheggiato questo immaginario senza mai davvero abbracciarlo, rivendicandone l’eredità. I pochi coraggiosi – o, per alcuni, sciagurati – che hanno dichiaratamente riadattato opere di Asimov si sono dovuti invece confrontare con risultati disastrosi. Con queste premesse, è stato quindi inevitabile non rimanere sorpresi davanti all’annuncio di Apple di adattare il più celebre tra i lavori di Asimov nella serie Foundation. Con l’approvazione degli eredi e uno dei budget più importanti visti per il piccolo schermo, la prima stagione ha debuttato sulla piattaforma di Apple TV+ a Settembre garantendosi già a Ottobre un rinnovo per una seconda stagione. La strada aperta dall’ideatore David S. Goyer, tuttavia, sembra essere diversa da quella promessa… In un futuro lontano, l’Impero Galattico domina l’intera e sterminata galassia esercitando il suo potere anche grazie alla conservazione di una dinastia che si rinnova attraverso una rituale clonazione generazionale. Hari Seldon (Jared Harris), all’ombra di un governo sempre più preoccupato di mantenere lo status quo, esplora i possibili sviluppi futuri della storia dell’umanità attraverso i suoi studi sulla psicostoria che lo porteranno a condividere una terribile previsione: l’Impero crollerà e l’unico modo per ricostruire una nuova società prevede la creazione di una Fondazione dedita alla raccolta delle più grandi conoscenze in un’Enciclopedia. Chiunque abbia avuto la fortuna o il piacere di avventurarsi tra le parole di Asimov può comprendere la complessità di un adattamento fedele. Il primo libro del ciclo, in particolare, oltre a essere denso di riflessioni e riferimenti, trova buona parte della sua bellezza nei salti temporali dei suoi capitoli che vedono susseguirsi generazioni di personaggi su diversi pianeti. Come può, quindi, una struttura così fortemente antologica tradursi in un prodotto fantascientifico in grado di essere d’attrazione per il pubblico del 2021? Al termine della prima stagione è allora impossibile non ritornare su questo interrogativo indissolubilmente legato al peso della definizione di un prodotto basato sui libri di Asimov. Sotto questo puro, semplice e drastico punto di vista, Foundation non è un adattamento fedele: non rispetta i personaggi originali e, soprattutto, sacrifica ben due dei suoi pilastri fondativi – la violenza come ultima scelta e l’assenza di una certa natura di personaggi – in nome di una messa in scena spettacolare, maestosa e talvolta adrenalinica in netto contrasto con i ritmi meditati delle storie di origine. Si riaccende, quindi, una delle questioni più annose nell’ambito dell’adattamento dei prodotti multimediali: fino a che livello deve essere garantita l’assoluta fedeltà alla fonte iniziale? Cosa può essere sacrificabile? Prendendo coscienza dei compromessi fatti per l’adattamento e della problematicità di questo tipo di operazione, tuttavia, Foundation si rivela gradualmente come un’esperienza narrativa estremamente coinvolgente nelle sue singole componenti. Pur non potendo vantare ancora una struttura complessiva solida al pari di Game of Thrones, sua evidente ispirazione per le trame politiche, lo show propone riflessioni genuinamente intriganti e attuali come quelle sul ruolo della scienza all’interno della società e delle sue decisioni e quelle invece legate all’umanità in quanto collettività dal destino comune. In questo senso, alcune linee narrative integrate nel passaggio sul piccolo schermo sono un valore aggiunto del prodotto stesso. È impossibile, infatti, non citare la componente narrativa legata alla dinastia imperiale dei Cleon, elemento che diventa sia un supporto delle riflessioni dello show che un ottimo escamotage per la continuità della serie stessa.
In conclusione, Foundation, pur vantando un cast convincente e un comparto tecnico eccellente per una buona prima stagione, sembra non avere ancora trovato la sua giusta dimensione. Le premesse per una seconda stagione in grado di essere davvero eccellente sono tuttavia già state introdotte e potrebbero essere le chiavi di un successo capace di pensare sul lungo termine. Immagini tratte da: www.theguardian.com www.appletvplus.com di Matelda Giachi ![]()
Genere: Drammatico
Anno: 2020 Durata: 105 min Regia: Barry Alexander Brown Cast: Lucas Till, Lucy Hale, Lex Scott Davis, Julia Ormond, Cedric The Entertainer, Sharonne Lanier, Brian Dennehy, Chaka Forman, Mike Manning, Shamier Anderson, Ludi Lin, Sienna Guillory, Jake Abel, Dexter Darden, Matt William Knowles, Byron Herlong, Onye Eme-Akwari, Michael Sirow, Nicole Ansari-Cox, Cian Genaro Sceneggiatura: Barry Alexander Brown Fotografia: John Rosario Montaggio: Barry Alexander Brown Musica: Steven Argila Produzione: Jaba Films, Lucidity Entertainment, Major Motion Pictures Ltd., River Bend Pictures Distribuzione: Notorious Pictures Paese: USA
E’ basato su una storia vera il nuovo film distribuito nelle sale da Notorius Pictures, a partire dal 2 dicembre, e prodotto da Spike Lee. Il Colore della Libertà segue i primi passi dell’americano Bob Zellner nel suo percorso di attivista per i diritti civili. Siamo in particolare nell’estate del 1961; Zellner è bianco, vive nello stato conservatore per eccellenza, l’Alabama, ed è nipote di un membro del Ku Klux klan. Tutto comincia all’università dove, con quattro compagni, deve redigere una tesina sui diritti civili. Mentre il professore indica come non necessario lo studio di molteplici punti di vista sulla questione della razza, i ragazzi non seguono il suo consiglio, si recano a discuterne con studenti dell’Alabama State College per neri e finiscono per intervistare personaggi del calibro di Martin Luther King e Rosa Parks. Saranno proprio loro a ispirare quella curiosità che ha spinto poi Zellner a intraprendere il cammino dell’attivismo.
Il Colore della Libertà ha il pregio e la particolarità di raccontare il razzismo da un diverso punto di vista e cioè attraverso l’occhio di un attivista bianco. Il film si concentra sulla storia di Bob Zellner nella sua giovane età. E’ erede di un mondo conservatore, ma la curiosità lo spinge a non fermarsi a quello che gli è stato insegnato, anzi a farsi e fare domande, fino a prendersi la responsabilità della scelta di chi essere e da che parte stare. L’approccio del regista Barry Alexander Brown è delicato e sventa qualsiasi possibilità di cadere nell’ovazione dell’eroe bianco. Si rimpiange anzi che il personaggio di Zellner, interpretato da Lucas Till, non venga scavato un po’ più a fondo per esplorarne i conflitti interiori. La pecca è quindi quella di essere un po’ superficiale e di non usare tutto il proprio potenziale.
Il film si inserisce in una tipologia narrazioni tra le quali è sicuramente emerso, negli ultimi anni, Il Diritto di Contare (2016, regia di Theodore Melfi), cioè una pellicola capace di fare riflettere senza necessariamente sfoderare l’armeria pesante e un carico da novanta di angoscia. Pur non raggiungendo il livello del film sopra citato, Il Colore della Libertà riesce nell’intento e resta un film importante e godibile, che apre lo sguardo su pezzi di storia negativa ma anche positiva altrimenti destinata ad essere sconosciuta ai più.
Voto: 7 |
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Maggio 2023
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