di Fabrizio Matarese
Se gli eventi più noti del giugno pisano sono indubbiamente la Luminara di San Ranieri e il Gioco del Ponte, la città offre in queste settimane molte altre iniziative culturali, incontri e spettacoli. Tra questi c’è la rassegna di film Il cinema della normale , che la Scuola Normale organizza in collaborazione con il Cinema Arsenale.
In Piazza dei Cavalieri è stato montato un grande schermo e per cinque sere consecutive vengono proiettati i film, con una piccola introduzione a cura dei professori della Normale. L’iniziativa è a ingresso libero e aperta a tutti. Giovedì 28 giugno è stato il turno di Avatar e, sebbene lo avessi già visto, mi sono recato nella suggestiva cornice della piazza per assistere allo spettacolo interplanetario offerto da James Cameron.
Cosa ha da dire Avatar a quasi dieci anni dalla sua uscita? Ha conservato qualcosa di fresco il film che ha incassato di più nella storia del cinema? Oltre al tripudio tecnologico degli effetti speciali e della computer grafica rimane qualcosa di questo straordinario kolossal?
La trama la conosciamo tutti ed è, tutto sommato, abbastanza scontata. In un futuro lontano gli umani hanno colonizzato un lontano pianeta abitato da una razza aliena, i Na’vi. Su questo pianeta c’è un materiale preziosissimo ed è il motivo della presenza degli uomini su Pandora. Il problema è che il giacimento principale di questa pietra si trova sotto la casa principale dei Na’vi, un enorme albero che svetta sulle foreste circostanti.
Il protagonista è Jake Sully, ex marine invalido che, rimpiazzando il gemello scienziato, si trova a prendere parte al progetto che lo porterà al contatto con i nativi: tramite una speciale capsula tecnologica la sua coscienza viene trasferita nel corpo di un avatar, un corpo creato in laboratorio combinando DNA umano e alieno.
Entusiasta di poter usare nuovamente le gambe, Sully si butta a capofitto in questa avventura ma durante un’esplorazione nella foresta perde il resto della equipe scientifica ed entra in contatto col popolo dei Na’vi. Da qui in poi conosceremo meglio la cultura degli alieni e il ricchissimo, variopinto e sorprendente ecosistema di Pandora, che tramite connessioni biochimiche interagisce direttamente coi suoi abitanti. Jake Sully, mano a mano che prosegue negli esperimenti, inizia a sentirsi in uno strano limbo, non sa più chi è, si trova in una situazione precaria di ambivalenza: da un lato la sua missione è convincere i Na’vi a lasciare l’albero-casa per permettere ai terrestri di estrarre il prezioso materiale, dall’altro lato inizia a conoscere la cultura dei nativi e finisce per innamorarsi della principessa Neytiri che gli insegna un nuovo modo di convivere con le creature e con la natura.
Il film prosegue con una serie spettacolare di inseguimenti (magnifiche le scene di volo, in sella agli Ikran, variopinte creature alate), scene d’azione e battaglie che culminano nello scontro finale tra umani, militaristi e spietati, e alieni, “buoni” e rispettosi di ogni forma di vita.
Se la parabola delineata dal protagonista è interessante (cambia punto di vista, gruppo di appartenenza e anche corpo nel corso del film), il finale è abbastanza prevedibile. Ma concentriamoci sugli aspetti salienti di questo film mastodontico per produzione, durata e impatto estetico sullo spettatore. La prima cosa che colpisce è ancora l’impianto scenico e visuale. Anche senza il 3d Pandora, il mondo immaginato da Cameron, appare vivo, vegeto e pulsante sullo schermo. Un ecosistema complesso e misterioso, con la sua vegetazione radiosa e luminescente, i suoi animali che sfidano le leggi della gravità e questi straordinari alberi che permettono al popolo dei Na’vi una connessione col pianeta e coi loro antenati. Questa concezione naturalistica e, oserei dire, ecologista è resa convincente e profonda proprio dal livello dell’immagine e della computer grafica.
C’è in questo film il recupero del mito del buon selvaggio, ovvero l’idea che in origine l’uomo fosse un animale pacifico e buono ma che, col progredire della civilizzazione, perdesse queste virtù per diventare malvagio. Ecco che questo tipo di mito, che trova in Rousseau un suo grande promulgatore, arriva intatto fino a noi e, sotto spoglie diverse, conserva intatta la sua forza di fascinazione. È inevitabile il sospetto che nel corso della civilizzazione qualcosa sia andato storto e Avatar riutilizza questa idea in un contesto fantascientifico per mostrarci i problemi reali del nostro pianeta.
Pochi film riescono a mostrarci i nostri limiti nel rapporto con la natura e col pianeta Terra, la nostra grande casa che ci è indispensabile per vivere. Eppure siamo ancora fermi (come gli umani di Avatar) su posizioni di dominio e sfruttamento delle risorse naturali, danneggiando l’ecosistema e l’ambiente in cui viviamo senza il minimo scrupolo. Ecco, forse di questo grande film, osservandolo un decennio più tardi, viene da pensare che ciò che rimane, oltre agli effetti speciali, è questa meravigliosa visione utopica di un rapporto più equo, profondo e spirituale degli esseri umani, con gli animali, le piante, la natura e il cosmo.
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Marzo 2023
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