di Salvatore Amoroso
BlacKkKlansman: la recensione del film di Spike Lee vincitore del Grand Prix al Festival di Cannes 2018. ![]()
Titolo: BlacKkKlansman
Paese di produzione: USA Anno: 2018 Durata: 135’ Genere: commedia, poliziesco Regia: Spike Lee Sceneggiatura: Spike Lee, David Rabinowitz, Charlie Wachtel, Kevin Willmott Produttore: Jason Blum, Spike Lee, Jordan Peele Distribuzione: Universal Pictures Fotografia: Chayse Irvin Montaggio: Barry Alexander Brown Colonna sonora: Terence Blanchard Costumi: Marci Rodgers Cast: John David Washington (detective Ron Stallworth), Adam Driver (detective Flip Zimmerman), Laura Harrier (Patrice Dumas), Topher Grace (David Duke), Jasper Pääkkönen (Felix Kendrickson), Ryan Eggold (Walter Breachway), Robert John Burke (Bridges), Corey Hawkins (Stokely Carmichael), Harry Belafonte (Jerome Turner).
Non ci avrebbe più scommesso nessuno ma a sessantuno anni suonati il ribelle Spike Lee è tornato e lo fa in grande stile. Con il suo BlacKkKlansman è riuscito a vincere il Grand Prix al Festival di Cannes 2018 combinando la levigatezza stilistica della 25a ora con il controverso potenziale di Bamboozled. Spike mette le cose in chiaro fin dall’inizio: “DIS JOINT IS BASED UPON SOME FO’ REAL, FO’ REAL S”, si tratta appunto di un romanzo sconosciuto di un poliziotto afroamericano Ron Stallworth che nel 1972 si infiltra nel Ku Klux Klan di Colorado Springs. Prodotto dal team di Get Out, capitanato dal rampante Jordan Peele, che ha portato la storia a Lee, BlacKkKlansman scivola senza soluzione di continuità dall'umorismo assurdo all'orrore fin troppo realistico, evocando un'urgente miscela di satira d'epoca sociopolitica e sveglia moderna.
John David Washington offre una performance meravigliosamente ironica ed eroica come Ron Stallworth, un idealista afro che diventa "la Jackie Robinson" della ex-polizia bianca di Colorado Springs. Dopo aver ingoiato diversi “rospi” nell’archivio del dipartimento, Stallworth viene subito promosso nella sezione intelligence e risponde a un annuncio di giornale per il KKK, spacciandosi al telefono per un bianco suprematista in erba. Qui subentra la parte comica del film, perchè Ron commette un errore da principainte e quando sono richiesti incontri faccia a faccia, il suo collega ebreo, Flip Zimmerman, interpretato da un timido Adam Driver, viene arruolato per vestire i suoi panni e partecipare alle riunioni del KKK, in cui il terrorismo fatto in casa viene servito con “formaggio e cracker”. Presto nascerà un forte legame con il grande maestro David Duke (Topher Grace), il “futuro sorridente” dell’organizzazione.
Con le sue lunghissime inquadrature, riprese in 35mm dal direttore della fotografia Chayse Irvin e un ottimo lavoro dei costumi, BlacKkKlansman evoca elegantemente il cinema del suo ambiente, le citazioni a The French Connection, Serpico e Dog Day Afternoon vengono riproposte di continuo. Ci sono conversazioni giocose su Shaft vs Super Fly e sui relativi meriti di Richard Roundtree e Ron O'Neal, mentre la splendida colonna sonora di Terence Blanchard fonde il funk della chitarra e della batteria con le corde del thriller classico. Eppure non c'è nulla di nostalgico in quest’evocazione di un'epoca passata: Lee infatti ci ricorda che lo storico odio razziale non è affatto cambiato, mostrandoci le terribili immagini di Charlottesville nel 2017 e la stupefacente “colpa da entrambe le parti” del presidente Trump agli attacchi neonazisti. Come in Malcolm X, utilizzando il filmato di Rodney King, Lee combina efficacemente le lotte del passato e del presente in un potente continuum cinematografico di grande impatto emotivo.
La cosa più notevole è quanto Lee sia in grado di bilanciare i cambiamenti di tono del film, provocando sia risate che sussulti con un soggetto basato sul dualismo: realtà e finzione, passato e presente, dentro e fuori e persino le grida arrabbiate di “potere bianco” e “potere nero”. É arrabbiato Spike Lee, e giustamente. Ma la sua rabbia non lo acceca. Il newyorchese è anzi lucidissimo nelle sue intenzioni e nel modo di declinarle, usando il cinema per demolire, stigmatizzare e demonizzare il suprematismo bianco, così come il cinema e Nascita di una nazione gli diedero nuova vita. Sa bene che oggi c'è bisogno di un nuovo radicalismo che non sia limitato alla sola comunità nera, ma che coinvolga tutti, anche i bianchi, e tutte le altre etnie e razze del pianeta, che porti avanti la sua protesta nel nome di quello che è giusto e umano. Crede fermamente anche nel potere del cinema di cambiare le persone per sempre e lo dice chiaramente: non solo “power to the people”, ma “all the power to all the people”.
Da un'apparizione di apertura brillante di Trump-flagello Alec Baldwin al duro e pesantissimo racconto di Harry Belafonte, l’intero cast è un pugno poderoso, aiutato da ottime spalle come la perfida Ashlie Atkinson alias la perfida e insopportabile Connie, Corey Hawkins aka il leader ex pantere nere Kwame Ture o Paul Hauser che interpreta l’imbranato Ivanhoe. Eppure la vera star qui è Lee. Dopo le incertezze di Oldboy e Chi-Raq, è bello vedere questo cineasta ribelle all'apice dei suoi poteri provocatori. Bentornato fratello Spike.
Immagini tratte da: iVID Coming Soon Youtube LongRoom.com elmundo.es
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Marzo 2023
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