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11/3/2018

Bright

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di Fabrizio Matarese
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​GENERE: azione, fantascienza, fantastico, poliziesco
ANNO: 2017
REGIA: David Ayer
CAST: Will Smith, Joel Edgerton, Noomi Rapace, Lucy Fry, Édgar Ramírez, Margaret Cho e Ike Barinholtz
SCENEGGIATURA: Max Landis
FOTOGRAFIA: Roman Vasyanov
MONTAGGIO: Michael Tronick, Geoffrey O'Brien e Aaron Brock
PRODUZIONE: Regency Enterprises, Overbrook Entertainment
DISTRIBUZIONE: Netflix
DURATA: 117’
PAESE: Usa

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​In una Los Angeles oscura e piovosa la tensione razziale è alle stelle. Niente di nuovo, potremmo dire. Eh no, perché in Bright, diretto da David Ayer e distribuito da Netflix nel 2017, la questione delle razze presenta delle caratteristiche inedite. Certo, siamo ancora di fronte a un poliziesco che unisce l’adrenalina delle scene action, con inseguimenti e sparatorie, alla comicità tipica dei buddy movie basata sulla coppia dei protagonisti. Solo che la coppia di poliziotti in questione è composta da un umano di colore, Daryl Ward (interpretato da Will Smith) e da un orco mezzosangue (Joel Edgerton) rinnegato dai suoi simili e che ha sempre sognato di pattugliare le strade in nome dell’ordine e della giustizia. E qui capiamo che nonostante l’impianto generale del film sia quello già visto e rivisto in molti film americani, ci sono alcuni elementi che distinguono il lungometraggio di Ayer e portano un po’ di novità in una formula usurata.
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​Nel mondo alternativo nel quale è ambientato il film ci sono orchi, elfi, fatine, nani e magia. Ogni razza ha le sue peculiarità e si è organizzata di conseguenza. Gli elfi vivono nei quartieri alti con grattacieli di vetro e acciaio scintillante e rappresentano l’élite della società. Gli orchi vivono ghettizzati nelle periferie e si organizzano in gang di quartiere vivendo ai margini della legalità. Gli umani potremmo identificarli come la classe media tra le altre due, che fa le leggi e cerca, senza troppo successo, di favorire l’integrazione (vedi la strana coppia di protagonisti, uniti forzatamente da un programma della polizia di Los Angeles per arginare la xeonofobia dilagante).
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​A completare lo scenario ci sono sette misteriose e bacchette magiche, oggetti rarissimi, che possono scatenare una potenza devastante e un’antica profezia riguardo il ritorno di un Signore Oscuro. E proprio attorno alla lotta per il possesso di una bacchetta magica, scovata casualmente dai due poliziotti, si snoda la seconda parte del film. In questa continua fuga la strana coppia è aiutata da una giovane donna elfo, che si scopre essere un bright: un individuo eccezionale in grado di maneggiare la bacchetta magica senza esserne sopraffatto.
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​I punti di forza di Bright risiedono nell’operazione di riposizionamento di una serie di stilemi propri del genere poliziesco hollywoodiano (reclute, agenti corrotti, ghetti, violenza gratuita e la difficoltà di scindere i buoni dai cattivi) in uno scenario urban fantasy non convenzionale che arricchisce e mostra sotto una nuova luce la mescolanza razziale che popola la metropoli statunitense. La nota dolente è che questo scenario inedito e pieno di potenzialità non viene sfruttato in maniera sufficiente e, invece di indagare le origini e le forme dei conflitti di razza introdotti nella prima parte, il film si aggroviglia in una serie di scene d’azione ben girate e godibili ma che non hanno niente di nuovo da dire in sostanza.
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È come se Bright avesse aperto un portale su un universo nuovo e affascinante ma invece di entrare ed esplorare i sui misteri si fosse limitato a osservare da lontano, facendo affidamento alle vecchie conoscenze che regolano il nostro mondo.
Ma chissà che a breve non conosceremo la vita degli elfi nei loro grattacieli imperiosi ad esempio, oppure la miseria degli orchi reclusi nei quartieri periferici, ricolmi di graffiti e violenza. È possibile, dato che Netflix ha già in cantiere un sequel in uscita a fine 2018. Non ci resta che attendere.
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Immagini tratte da:

www.netflix.com
www.ilpost.it
www.polygon.com
www.filmtv.it

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