E’ il 28 dicembre del 1895 quando i fratelli Lumière proiettano per la prima volta il cortometraggio intitolato La sortie des usines Lumière: da quel momento, tra intuizioni e innovazioni tecnologiche, il cinema assumerà progressivamente i tratti che ce lo rendono oggi così familiare. Perché allora accostarlo alla filosofia? Che attinenza può avere? Gilles Deleuze (Parigi, 1925-1995), è il filosofo contemporaneo che ha teorizzato in maniera problematica il rapporto esistente tra cinema e filosofia, individuando l’interessante analogia per cui, così come la filosofia elabora concetti, il cinema crea attraverso le immagini. Possiamo anche dire che esiste un’altra similitudine: quella tra lo sguardo dello spettatore e quello della macchina da presa, il cineocchio. Il nostro occhio è per forza di cose limitato spazialmente, coglie degli elementi che cadono nel nostro raggio visivo ed è altresì limitante: esso è condizionato nell’orientamento dai nostri interessi e dai nostri punti di vista che favoriscono via via la ricezione di alcuni elementi piuttosto che di altri. Il cineocchio, al contrario, potenzia le nostre possibilità percettive e, superando l’egocentrismo della nostra visione personale, permette di cogliere in modo nuovo la realtà. Così scrive il regista Dziga Vertov, all’interno del manifesto teorico del suo cinema, I kinoki. Un rivolgimento, del 1923: <<Io sono il cineocchio. Io, macchina, vi illustro il mondo come solo io posso vederlo. Io mi libero dell’immobilità umana, io sono in continuo movimento, io mi avvicino e mi allontano dagli oggetti, striscio sotto di essi, vi monto sopra. Svincolato dalla norma dei 16-17 fotogrammi al secondo, libero dai limiti dello spazio e del tempo. La mia vita è diretta verso la creazione di una nuova percezione del mondo. Così io decifro in modo nuovo un mondo che vi è già conosciuto>>. Il cinema mette in luce chiaramente la sua natura non statica: noi ci muoviamo attraverso di esso, nello spazio e nel tempo ma anche, e forse soprattutto emozionalmente, attraverso i ricordi, i pensieri e gli stati d’animo che la visione delle immagini suscita. Il dinamismo che contraddistingue questa recente forma d’arte, oltre che essere un’evidenza empirica, è stata oggetto di riflessioni di diversi intellettuali ed è qui che si radica il nesso cinema-filosofia. Nel 1907 H. Bergon, nell’Evoluzione Creatrice, ha individuato la vicinanza tra l’atto dello spirito che coglie il fluire del divenire del reale e riesce a costruirlo a posteriori e dall’esterno, e il cinematografo che permette di legare le immagini in sequenza per riprodurre la loro durata reale. Entrambi i processi sono creativi e danno luogo ad un’originale lettura del reale. Colui il quale porta a compimento la strada inaugurata da Bergson, è il già citato G.Deleuze, il quale crea concetti che diventano delle categorie proprie del cinema e della sua interpretazione filosofica. Deleuze parla di immagini-movimento e di immagini-tempo, individuando, col primo termine, l’essenza stessa del movimento ovvero il movimento puro, considerato come sostanza, che si riesce ad astrarre dal veicolo attraverso il muoversi della camera o il montaggio dei piani fissi, col secondo termine, l’immagine diretta del tempo, cioè non ottenuta attraverso la successione delle immagini in movimento, ma attraverso un processo in cui è l’immagine che sprigiona il tempo. Nel cinema moderno, basta citare alcuni nomi come O. Welles, A. Resnais o J-L.Godard, per capire come si sia preferito non dare un’idea indiretta del tempo attraverso la giustapposizione delle immagini, ma emanciparlo, utilizzando immagini di vario tipo, come immagini-ricordo (flashback) o immagini-sogno che lo hanno reso protagonista, a dispetto dei film classici, più ancorati all’azione. Mettendo da parte le argomentazioni tecniche, abbiamo compreso che il cinema è uno strumento che permette di rielaborare e potenziare la percezione della realtà. In questo è stato utile il confronto con la filosofia, ma non sarà troppo invadente e pesante la sovrastruttura dei concetti filosofici impiegati per interpretare il cinema? La risposta è negativa se pensiamo che la filosofia ha la capacità di mettere in rilievo gli elementi stilistici che del cinema sono propri e che spesso vengono taciuti da critiche interessate quasi esclusivamente all’aspetto narrativo, sostanzialmente facendo per le pellicole la stessa operazione che può essere fatta per un testo di letteratura. L’essenza del film, invece, come afferma Sartre <<è nella mobilità e nella durata. Esso è un’organizzazione di stati, una fuga, uno correre indivisibile, inafferrabile, come il nostro Io>>. Il cinema, pur nascendo in un preciso momento storico come invenzione tecnica che non aveva degli scopi immediatamente artistici o espressivi, si apparenta progressivamente con la filosofia, e per la creazione tramite immagini in luogo dei concetti e venendo a rispondere -anche se in modo diverso- alle domande dello spirito. Merita quindi di essere preso in carico senza escludere nessuna delle sue potenzialità creative, narrative e stilistiche, che ci permettono di amarlo e di esserne ogni volta toccati profondamente. Bibliografia: - D. Angelucci, Filosofia del cinema, Carocci editore, Roma 2013 - M. Bertolini, T. Tuppini (a cura), Deleuze e il cinema francese, Mimesis, Milano 2002 Immagini tratte da: - extrait du film sortie des usines Lumière à Monplaisir, da Wikipedia Italia, Di sconosciuto - User's archive, Pubblico dominio, voce “L’uscita dalle officine Lumière”; - Dziga Vertov in una sovrimpressione sulla sua cinepresa, da Wikipedia Italia, Di en:Dziga Vertov, Frame from the film, Pubblico dominio, voce “Cinema d’avanguardia russo”. - Sallie Gardner at a Gallop Di Eadweard Muybridge, Wikipedia Italia, The sequence is set to motion using these frames, originally taken from Eadweard Muybridge's Human and Animal Locomotion series, (plate 626, thoroughbred bay mare "Annie G." galloping) published 1887 by the University of Pennsylvania, Pubblico dominio, voce “La nascita e i primi anni del cinema”
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Giugno 2023
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