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19/5/2018

"The Happy Prince" - L'ultimo ritratto di Oscar Wilde

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di Enrico Esposito
Titolo originale: The Happy Prince
Paese di produzione: Stati Uniti d'America, Italia, Belgio, Regno Unito
Anno: 2018
Durata: 105'
Genere: drammatico, storico, biografico
Regia: Rupert Everett
Sceneggiatura: Rupert Everett
Distribuzione: Vision Distribution (Italia)
Fotografia: John Conroy
Montaggio: Nicolas Gaster
Colonna sonora: Gabriel Yared
Cast: Rupert Everett (Oscar Wilde); Colin Firth (Reggie Turner); Colin Morgan (Alfred "Bosie" Douglas); Emily Watson (Constance Lloyd); Tom Wilkinson (Fr.Dunne)
Foto
Siamo stati privilegiati. dobbiamo riconoscerlo. Innanzitutto perchè è sempre una grande fortuna poter assistere a un film introdotto dal suo regista o da uno dei suoi interpreti. Ancor di più se questo succede in anteprima nazionale, all'interno di una sala gremita e al cospetto di un attore dalla storia e dallo stile elevatissimi, Rupert Everett, che nel corso della sua carriera ha affrontato albori luminosi ma anche vuoti bui e senza alcuna spiegazione. Per poter portare a compimento The Happy Prince, l'omaggio su tela a Oscar Wilde che aveva in cantiere da diverso tempo, Everett ha faticato molto a trovare i fondi necessari e con sincerità e charme difficili da eguagliare ne parla tranquillamente davanti alla platea del Cinema Astra, in occasione della serata che il Lucca Film Festival gli ha cucito su misura, insignendolo di un doveroso Premio alla Carriera. Everett è riuscito alla fine a compiere un progetto ambizioso, grazie al supporto di colleghi del settore come Colin Firth che lo affiancano nella pellicola, prendendo parte a un affresco degli ultimi tempi vissuti dal controverso scrittore inglese. 
Foto
Il cast completo del film alla presentazione ufficiale al Sundance Film Festival 2018
Affresco è il termine che nel complesso sembra più adatto a descrivere un film dai forti contenuti pittorici e iconici, in cui trionfa la bellezza estetica del volto umano, degli abiti eleganti come dei paesaggi naturali di una Napoli clamorosa e gli interni affollati dei cafè parigini al culmine della Belle Époque. Art for art's sake ("L'arte per l'arte"): non solo un aforisma storico di Wilde, ma una vera e propria etichetta dello stile di vita bohémien e della filosofia dell'epoca decadentista nell'Europa di fine Ottocento. The Happy Prince emerge come un elogio puro degli anni bohémien di Oscar Wilde ma non semplice, non scontato. Qui siamo lontani anni luce dalla biografia ordinata e diacronica resa da Brian Gilbert con Wilde nel 1997. A Everett non interessa ricominciare da capo, prendere le mosse dall'infanzia e dall'adolescenza per proseguire sino all'età adulta, il finto matrimonio con Lady Costance, il successo di pubblico, il processo e l'esilio dovuto agli scandali. Non mancano di certo accenni alla sequela di vicissitudini, dolorose ma anche bellissime, che hanno segnato la prima fase dell'esistenza wildeiana in Gran Bretagna e affiorano in sordina sottoforma di flashbacks avvolti dalla penombra, come se fossero filtrati attraverso le ciglia dischiuse di Wilde stesso oppure provenissero da meandri confusi della sua mente. Il passato e il presente si confondono in continuazione nel "gioco" creato dal regista, si muovono lentamente secondo l'andamento generale della trama, e dimostrano l'inutilità di una conformazione temporale ben precisa. 
Il tempo è infatti del tutto relativo in The Happy Prince, mentre gli spazi e il modo in cui all'interno di essi i personaggi si muovono e interagiscono assumono un rilievo assoluto. Wilde entra in scena sotto le mentite spoglie di Sebastian Melmoth a Dieppe (Nord della Francia) dove è arrivato dopo aver scontato i due anni di carcere a Reading, a seguito della condanna per omosessualità mossagli dal padre del suo amato Alfred "Bosie" Douglas. È un uomo affannato e perso, abbandonato dalla moglie Constance come dallo stesso Bosie, ingrassato, incapace di resuscitare il suo grandioso talento letterario. Appare più come un animale notturno da avanspettacolo, tenuto su dalla grinta di due giovani orfani e confortato dall'amicizia mai perduta di Reggie Turner e Robbie Ross, da sempre innamorato di lui ma prevaricato da Bosie. Proprio Bosie, il suo portatore di gioie immense e drammi inauditi, ricompare, si riappacifica con lui, e la loro fuga d'impulso nella convivenza lussuriosa di Napoli dà l'impressione di concedere a Wilde in questa seconda vita la possibilità di riconquistare traguardi eccelsi. Ma il confronto con difficoltà, forse stupide ma inevitabili, della quotidianità quali la mancanza di soldi e di cure mediche rovesciano ancora la situazione e trasportano Wilde in un replay incontrollabile e discendente.
Rupert Everett riesce probabilmente in questo film a comporre il ritratto che aveva sempre desiderato e in virtù dell'età e delle fasi della sua di vita è molto più vicino di quello che pensasse al Wilde raccontato. Per questo motivo, con naturalezza e istrionismo pregevoli, interpreta la scena in cui lo scrittore monopolizza l'attenzione di un locale intero quando canta una lasciva canzone in francese. Senza dimenticare la scena emotivamente e artisticamente più aulica della pellicola, che lo vede recitare all'orfanello The Happy Prince ("Il Principe felice"), la fiaba che raccontava sempre ai suoi figli prima di andare a dormire.

  Immagini tratte da:

- Immagine 1 da www.comingsoon.it
- Immagine 2 da www.zimbio.com
- Galleria da www.luccafilmfestival.it e da www.genteetteritorio.it; 

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