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30/7/2017

Così zombi, così umano: George A. Romero e il suo cinema

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di Carlo Cantisani
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C’è una scena in Dawn of the Dead, conosciuto in Italia semplicemente come Zombi, che esemplifica perfettamente il concetto che sta dietro alla rappresentazione dello zombi moderno: le orde di esseri umani tramutati in morti viventi si riversano sulle vetrine dei negozi del centro commerciale dove si svolge l’intera vicenda del film, mentre la voce fuori campo di uno dei personaggi spiega che quell’azione non è altro che un vecchio e ormai sbiadito ricordo dovuto al reiterato atto dell’acquisto e del consumo. Era il 1978. Oggi come allora, il concetto di massa rimane assolutamente centrale per le nostre società consumistiche visto che ha assunto forme diverse dovute anche all’apporto delle tecnologie contemporanee. Se la figura dello zombi è diventata il simbolo contemporaneo per eccellenza della massificazione, dell’uniformazione e, in generale, della riduzione dell’uomo a cosa psicologicamente e socialmente malleabile è grazie al genio di George Andrew Romero che seppe attingere al passato cinematografico dei classici horror per ricollegarsi in maniera forte alle numerose istanze sociali che stavano attraversando gli anni ’60. Night of the Living Dead, infatti, è un prisma che sin dalla sua uscita in piena epoca sessantottina ha saputo riflettere numerosi significati politici e sociali che nel corso del tempo gli sono stati attribuiti: critica al militarismo, alla guerra del Vietnam, allo strapotere manipolatorio della scienza, all’idea tradizionale di famiglia, alla società dei “bianchi” e in particolare a quella statunitense. Da creatura del folklore haitiano ritratta in pellicole come White Zombie del 1932 (titolo italiano L’Isola degli Zombies) e I Walked with a Zombie del 1943 (Ho camminato con uno zombi), lo zombi si ritrovava ora a essere al centro di nuovi significati, strappato dalla dimensione mitico-religiosa per essere gettato nella civiltà altamente tecnologica dell’Occidente. Sin da quella pellicola, realizzata da Romero insieme all’amico John A. Russo con quattro soldi e reclutando gli attori fra i loro stessi amici, gli zombi hanno iniziato la loro lenta ma inesorabile marcia verso il mondo degli umani. E pensare che il cineasta di New York voleva seppellire quasi subito le “sue” creature, e non a caso bisognerà aspettare ben dieci anni per vedere il secondo capitolo di quella che diventerà la zombi-saga più famosa di sempre. Che gli zombi per Romero fossero solo un pretesto per distorcere e riflettere come in uno specchio i tratti peggiori dell’umanità lo dimostra il fatto che girerà altri film in cui è possibile rintracciare una forte critica sociale, come in Hungry Wives (La stagione della strega) e soprattutto The Crazies, conosciuto in Italia come La città verrà distrutta all’alba. Se il primo è un originale ritratto al femminile della figura della donna vista come una moderna strega annoiata e insoddisfatta che cerca nella pratica della magia una scappatoia dal grigiume coniugale, nel secondo Romero dimostra la volontà di superare la figura dello stesso zombi, facendo gettare a quest’ultimo la sua maschera putrescente e sanguinante, rendendo esplicito ciò che era intuibile al di sotto, ovvero l’uomo e la sua follia omicida nei confronti dei suoi simili. Qui non ci sono esseri che si risvegliano dalla morte affamati di carne umana ma comuni esseri umani, capaci anche eventualmente di correre che, tramite il pretesto del virus batteriologico diffuso nelle acque cittadine da un’arma militare, perseguitano e assassinano i sani; un’idea, questa, che, ibridata con la figura dello zombi cannibale, farà la fortuna di altri prodotti recenti nati sotto il segno di Romero, come i due 28 Giorni dopo e 28 Settimane dopo o il più underground La Horde, la saga cinematografica di Resident Evil, sino ai più recenti Welcome to Zombieland, World War Z e Pride Prejudice & Zombies. E come poi non citare altre pellicole che, nel bene o nel male e fra alti e bassi, hanno contribuito a formare l’immagine di Romero come di un regista critico e acuto verso i differenti aspetti della società: dal rapporto uomo-animale in Monkey Shines-Esperimento nel Terrore al discorso (non tanto velato) sulla dipendenza in Wampyr, sino al cult Creepshow, Due occhi diabolici (girato insieme a Dario Argento), la pellicola tratta dal romanzo di Stephen King La Metà Oscura, Bruiser e gli ultimi tre film che concludono la saga dei non-morti.
Ridurre quindi la visione di Romero ai soli claudicanti zombi sarebbe riduttivo, pur rimanendo questi ultimi il suo lascito più significativo e fecondo per il nostro immaginario: basti pensare alla quantità non solo di pellicole di genere post-Night of the Living Dead ma anche all’influenza esercitata nel mondo dei fumetti, della musica (metal, in particolare, ma non solo), dei videogiochi, della letteratura e delle serie tv come Dead Set, Zombie Nation e, naturalmente, The Walking Dead, questa scherzosamente ribattezzata dal regista americano “the talking dead”, e non gli si può dare assolutamente torto. Cineasta volutamente e testardamente indipendente, rimasto quasi sempre ai margini dell’industria hollywoodiana, Romero ci lascia una visione fosca dell’essere umano, ricordandoci a ogni capitolo della sua saga zombi quanto le strutture sociali messe in piedi per mantenere l’ordine del nostro mondo siano sempre fragili e pronte a essere messe a repentaglio, non tanto dagli zombi bensì dall’uomo stesso, capace solo di continuare a essere ancora più meschino nonostante il mondo intorno stia crollando. Gli uomini sembrano agire più come i soldati di Day of the Dead, terzo capolavoro della saga del 1985: votati alla violenza, incapaci di ragionare e, quindi, di cambiare.
Per Romero non c’è mai stata una post-apocalisse nei suoi film: l’apocalisse per lui era sempre presente e a portata di mano.

Immagine tratta da:
http://cdn1.thr.com/



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