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19/4/2020

Dietro la maschera de "La casa di carta"

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Di Federica Gaspari
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​Nella primavera del 2017 un nuovo show originale firmato da Alex Pena fece il suo debutto su Antena 3, emittente privata spagnola. Nonostante un solido debutto con discreti e promettenti ascolti, la prima stagione – poi divisa in prima e seconda parte – de La casa di carta si rivelò un flop. Puntata dopo puntata, infatti, lo show ha continuato a perdere spettatori, portando l’emittente a pensare a una cancellazione. L’intervento inaspettato di Netflix e l’ingresso nel catalogo del servizio di streaming hanno cambiato il destino della serie rendendola un fenomeno globale. A poche settimane dall’uscita della quarta discussa parte, è interessante riflettere sulle dinamiche di questo successo che pone le sue basi principalmente su tre componenti: l’icona della maschera, la suggestione di temi impegnati e la caratterizzazione dei personaggi.

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Il fascino dell’icona

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​Originalità del soggetto? Ambientazioni suggestive? Non è un segreto che nessuno di questi ingredienti è quello che ha reso vincente la ricetta della serie di Pena. Nemmeno un interessante montaggio, unico aspetto tecnico che ha mantenuto intatta la sua qualità per tutte le quattro parti. La carta vincente de La casa di carta è da ricercare nella decisione di adottare un’iconografia semplice, immediata e, soprattutto, in grado di sfruttare e rendere più accessibile un background cinematografico già molto consolidato. Attingendo a piene mani dalla trama di Inside Man e dalle situazioni di V per Vendetta, la serie spagnola trova nella maschera di Dalì e in una semplice tuta rossa non solo un tratto distintivo ma una vera e propria icona più efficace a livello internazionale – forse per i suoi riferimenti spiccatamente anglosassoni – che all’interno dei confini iberici. Un simbolo, asciutto ed essenziale, funziona più di tanti episodi e dialoghi diventando anche il più immediato strumento promozionale. La maschera quindi è solo un’astuta immagine priva tuttavia di un messaggio? Sulla carta sì. Nella pratica, invece, anche per una serie di fortuite coincidenze, il volto di Dalì, come un elemento momentaneamente magnetizzato, ha attirato su di sé, spesso inconsciamente, molteplici temi che conducono alla riflessione sulla seconda componente fondamentale di questo fenomeno mediatico.

Suggestioni di uno scopo più grande
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La maschera e la rapina raccontata nelle prime due parti de La casa di carta si intrecciano con tematiche scottanti dell’attuali a livello internazionale. Le intenzioni del racconto fittizio, infatti, intercettano uno spirito rivoluzionario – da poltrona - diffuso, cavalcando un diffuso malcontento nei confronti delle classi dirigenti. Nel farlo, lo show sfrutta anche un brano di tradizione partigiana come Bella Ciao, snaturandolo parzialmente per renderlo una hit. La ricerca di un punto di incontro tra temi difficili e un intrattenimento estremamente leggero funziona solamente per le prime due parti. A partire dalla terza il binomio inizia a stridere con una fortissima incertezza sulla strada da imboccare. È questo il precursore della vera crisi di contenuti della quarta parte, in cui diventa palese la superficialità con cui ogni problematica attuale viene affrontata. La serie, a partire dalla terza stagione utilizza la maschera non più come un orgoglio ma come uno scudo per mascherare un’evidente mancanza di profondità nei messaggi e, in particolare, di confronti.

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Una pluralità di voci

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​Cosa rimane a reggere i futuri sviluppi della serie? Ovviamente i suoi personaggi sopra le righe. Il Professore è il grande orchestratore super partes ma, nonostante questo, La casa di carta rimane un racconto corale sorretto da un gruppo di personalità fuori dagli schemi, spesso al limite del caricaturale. La scelta di una caratterizzazione così abbozzata, tuttavia, continua a essere una mossa che premia la serie. Tramite pochi tratti che lasciano ampio spazio di manovra ai vari interpreti, il pubblico riesce ad appassionarsi e, a tratti, riconoscersi nei vari personaggi. A partire dalla terza stagione viene posto un grande accento in particolare sulle figure femminili, sul “matriarcato”. Nonostante le ammirevoli intenzioni, lo show sembra però perdersi nelle sue sempre più frequenti derive soap, svuotando di importanza ogni personaggio.

L’ultima parte de La casa di carta ha perso di vistA i suoi punti di forza. Considerata la possibilità concreta di un futuro per il progetto iberico ora targato Netflix, la serie curata da Pena avrà seriamente l’urgenza di ricalibrarsi, andando alla ricerca nuovamente delle su maggiori potenzialità. Riuscirà nell’impresa? I fan, fedelissimi, sicuramente rimarranno al fianco della banda del Professore.


Immagini tratte da:
www.netflix.com

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