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19/5/2019

Dolor y Gloria: la recensione

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La recensione di Dolor y gloria: Pedro Almodóvar ripercorre la sua vita attraverso il cinema e il dolore scegliendo come alter ego Antonio Banderas.
Paese: Spagna                             
Genere: drammatico
Anno: 2019
Regia: Pedro Almodóvar 
Sceneggiatura: Pedro Almodóvar 
Fotografia: José Luis Alcaine
Montaggio: Teresa Font
Musiche: Alberto Iglesias
Distribuzione: Warner Bros.
Attori: Antonio Banderas (Salvador Mallo); Penélope Cruz (Jacinta da giovane); Asier Etxeandía (Alberto Crespo); Leonardo Sbaraglia (Federico).
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Dolor y Gloria è il nuovo, atteso, film di Pedro Almodóvar che segna il ritorno del regista dietro la macchina da presa, cimentandosi con una sorta di summa compendiaria della sua opera omnia, nonché con un bilancio agrodolce della propria vita, sospesa tra privato e pubblico, creatività e realtà. Davanti l’occhio meccanico, il regista ritrova i sodali Antonio Banderas e Penélope Cruz (quest’ultima in un’apparizione speciale), affiancati da Asier Etxeandia, Leonardo Sbaraglia e Nora Navas.
Il film racconta una serie di ricongiungimenti di Salvador Mallo (Banderas), un regista cinematografico ormai sul viale del tramonto. Alcuni sono fisici, altri solo evocati dal ricordo: la sua infanzia negli anni ’60 quando emigrò con i genitori a Valencia, in cerca di fortuna; il primo desiderio; il suo primo amore da adulto nella Madrid degli anni ’80; il dolore della rottura di questo amore quando era ancora vivo e palpitante; la scrittura come unica terapia per dimenticare l’indimenticabile; la precoce scoperta del cinema ed il senso di vuoto causato dall’impossibilità di poter girare nuovi film. Ma proprio nel recupero del proprio passato Salvador avverte l’urgenza di narrarlo, trovando così la propria via di salvezza.
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​Dolor y Gloria rappresenta una sorta di trilogia ideale per il regista, insieme a La Legge del Desiderio e La Mala Educación. Al contrario degli altri due, però, il film supera i confini stessi e i limiti della poetica cinematografica almodovariana, riflettendo proprio su quest’ultimi e sancendo la sua entrata nella dimensione degli autori, un gruppo capace di (auto)riflettere su se stesso e sul proprio cinema quanto di riprodurre, sotto forma di schemi fissi come frattali, determinate tematiche declinate sotto nuove luci e sfumature.
Lontano dall’umorismo sfrontato e dagli eccessi degli esordi e di buona parte del suo cinema, Almodóvar richiama gli amici di sempre Banderas e Cruz e li trasforma negli specchi che riflettono il suo passato; tanto l’attrice spagnola è la Madre, quella figura di donna forte e sempre presente nella vita del regista, che qui si trasforma per la prima volta in una figura conflittuale, quasi edipica, per la futura carriera del cineasta; quanto l’attore di Malaga si trasforma nel suo transfert, un personaggio che respira come Almodóvar, porta i capelli come lui, vive in quella che è casa sua e indossa perfino i suoi vestiti; eppure Salvador non è Pedro.
Salvador somiglia a Pedro, è un plausibile alter ego di Almodóvar nelle vicende narrate sullo schermo, anch’esse verosimili e vicine alla realtà; ma tutto ciò che lo spettatore vede sullo schermo è filtrato dalla creatività, dall’immaginario iperattivo che falsa e modifica, distorce, colora e inventa. Nell’impeccabile trama del presente tessuta da Almodóvar s’insinuano i ricordi, creando delle crepe, delle brecce dalle quali filtra la famosa luce del passato.
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Lo stile della regia mostra una forte eredità nei confronti dell’arte pittorica, dell’eleganza delle forme e del rispetto della natura fluida del colore; Almodóvar compone la propria tavolozza, satura l’immagine sul grande schermo e finisce per rendere entrambi (colore/forma) protagonisti attivi della narrazione, scandita dal ritmo perfetto di una sceneggiatura personale che mette a nudo l’anima dell’artista rendendolo vulnerabile, ostaggio dello sguardo dello spettatore.
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Con un Antonio Banderas intenso e maturo, Dolor y Gloria incarna il viaggio più complesso mai affrontato da Almodóvar, che per la prima volta toglie definitivamente la patina dell’umorismo sfrontato e sfrenato abbracciando la malinconia della rievocazione, costruendo un’ideale via crucis laica sulle tappe della memoria e del ricordo, finendo per utilizzare alla perfezione il meccanismo del cinema e del meta-cinema, dei rimandi tra Settima Arte e teatro, per comporre la sua opera più bella: un atto d’amore verso la creatività, un atto d’amore verso il cinema, una lettera appassionata verso l’opera di una vita.

Immagini tratte da:
​

Locandina: Coming Soon
Immagine1: Ciak Magazine
Immagine2: The HotCorn
Immagine3: SkyTg24
Immagine4: IlSussidiario.net

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