Dall’ultimo piano di un edificio di New York, un uomo, con una maschera sul volto e con degli abiti antichi, tenta di suicidarsi: egli è Don Juan de Marco (Johnny Depp), il più grande amante del mondo. Verrà poco dopo distolto dall’intenzione di farla finita dall’entrata in scena di uno psichiatra, Jack Mickler (Marlon Brando). Ci accorgiamo fin dalle prime battute, anche in seguito all’effetto straniante degli abiti indossati da don Juan, in un film non in costume, del suo trovarsi in una condizione irreale, delirante, ma non per questo priva di elementi di riflessione . La pellicola Don Juan de Marco - Maestro d’amore (1995, regia di J. Leven), il cui soggetto è liberamente ispirato al Don Juan (1819-1824) di Lord Byron, non è unicamente ascrivibile al genere della commedia o del film sentimentale, ma risulta avere degli accenti drammatici che emergeranno progressivamente durante le sedute psichiatriche a cui il giovane verrà sottoposto. La malattia mentale diventa, all’interno della pellicola, un potente strumento per evadere da una realtà che non piace e che offende: Il giovane si è costruito una maschera che gli permette di schermarsi dal dolore per i numerosi tradimenti della madre verso il padre, per la prematura scomparsa di quest’ultimo e per la forte insicurezza nei confronti delle donne. Come capiremo infatti, la ragione per cui aveva tentato il suicidio, senza averne peraltro la reale intenzione, era stato il rifiuto da parte di un’attrice che aveva tentato goffamente di sedurre, fallendo. La maschera diventa non appena un elemento compensatorio della vita che non piace e che frustra, ma realtà più vera della realtà: le cose cambiano e hanno luogo solo nell’immaginifico e accattivante universo che il ragazzo si è costruito. Noi vediamo questo mondo in tutto il suo fulgore attraverso i suoi occhi e il suo cuore puro, quando racconta dell’amore che aveva legato i genitori, delle sue innumerevoli amanti sparse nel mondo, quando parla della sua- tra tutte la più amata - donna Anna, come pure quando si ostina ad insistere nell’affermare di trovarsi in una villa, invece che in un ospedale e di conversare con un fantomatico don Octavio, piuttosto che di essere interrogato da un medico. Dalla fredda e formale ambientazione dello studio di uno psichiatra di un ospedale americano, siamo coinvolti e trasportati in vari luoghi, viaggiando assieme don Juan e, finendo quasi per credere che la vera realtà sia quella della fantasia/malattia di uno sbullonato che delira. Chi ascolta le esaltanti vicende amorose di don Juan è il dottor Jack Mickler, interpretato da Marlon Brando, in una delle sue ultime apparizioni cinematografiche. Lo psichiatra, giunto alle soglie della pensione, si ostina a non voler trattare il delirio clinicamente, attraverso i farmaci: intuisce la straordinaria ricchezza interiore di quello che per i suoi colleghi è un ordinario malato di mente, affetto da disturbo ossessivo- compulsivo con componente erotomane. La “malattia” del giovane è invece uno stato di grazia, che permette di vedere ciò che è invisibile agli occhi e che ha effetti benefici sullo stesso terapeuta, il quale, svegliato dal sonno di una vita ordinaria e incolore, si trova a chiedere alla moglie quali speranze e quali sogni avesse perso mentre lui era troppo impegnato a pensare a se stesso. Più in generale, torna a vivere proprio attraverso l’ultimo caso che lo separa dalla pensione, ridestato dalle parole del giovane. Meritano di essere citate le quattro domande che don Juan rivolge ad uno affascinato e, nello stesso tempo, scosso Mickler: << Che cosa è sacro? Di cosa è fatto lo spirito? Per cosa vale la pena morire? Per cosa vale la pena vivere?>>. La risposta a tutti e quattro i quesiti è unica: l’amore. L’atmosfera non suggerisce di trovarci all’interno di un ospedale per buona parte dello svolgimento del film. L’effetto è ottenuto soprattutto tramite l’escamotage del cambio di ambientazione che ci conduce nei luoghi e nelle circostanze in cui il protagonista immagina di essersi trovato, e, in parte, tramite le note della splendida e delicatissima Have you ever really loved a woman? (musica e testo di Bryan Adams, Michael Kamen e Robert John Lange, Nomination Oscar 1995 per la migliore colonna sonora), che accompagna le scene più salienti.
Pur se forse attraverso un’eccessiva semplificazione dello stato di malattia, visto troppo blandamente come marcata sensibilità e, ottimisticamente, come punto di vista privilegiato sulla realtà, il film coinvolge quanto le appassionate dissertazioni del protagonista: don Juan, innamorato dell’amore, capovolge modi ordinari di vedere e sentire, aprendo a visioni creative e non convenzionali della vita che spingono anche noi a non limitare il nostro sguardo e a rivolgerlo, per quanto possibile, oltre il visibile. Le immagini sono state realizzate tramite screenshots durante la visione del film.
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Giugno 2023
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