di Matelda Giachi
La recensione
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Genere: Commedia
Anno: 2020 Episodi: 10 Durata: 30 min circa Cast: Lily Collins, Philippine Leroy-Beaulieu, Ashley Park, Lucas Bravo, Samuel Arnold, Camille Razat, Bruno Gouery Produzione: Darren Star Productions, MTV Studios Distribuzione: Netflix Paese: USA Ideatore: Darren Star
Nel periodo che stiamo vivendo più che mai, chi non sente il bisogno di leggerezza, di risate senza pensieri… Di ricordare e sentire addosso il lato gioioso della vita. In questo contesto si inserisce, o vorrebbe inserirsi, perfettamente una serie come Emily in Paris, originale Netflix di ultimo rilascio, che ha per protagonista una giovane Lily Collins trasferitasi per lavoro nella capitale francese, dove ovviamente la aspettano romanticismo, realizzazione e avventure. Il tutto confezionato in episodi di 20 o 30 minuti, la durata ottimale per una fugace pausa; a pranzo, in un pomeriggio di studi o a fine di una giornata di lavoro. Ma da leggerezza a superficialità il passo è breve.
Le prime critiche a Emily in Paris sono arrivate dai francesi stessi ed è difficile stupirsene. La serie porta in scena tutti i tipici clichè sull’arroganza e la supponenza parigina. Va detto, chi è stato a Parigi lo sa, che “accogliente” è un aggettivo che si può accostare a tante cose ma non a un parigino e che più o meno chiunque può riconoscersi in Emily quando, al più cordiale dei sorrisi mentre si impegna a chiedere un pain au chocolat in una boulangerie, riceve in tutta risposta un’alzata di sopracciglio e due parole nel francese più carico di disprezzo possibile. Ma va detto anche che gli sceneggiatori si sono lasciati un po’ prendere la mano.
Emily si trova a Parigi per offrire a Savoir, agenzia di marketing appena acquisita dall’azienda per cui lavora, il punto di vista americano. Lo scontro culturale è inevitabile quanto potenzialmente interessante e soprattutto divertente. Di fatto però la sceneggiatura dipinge, neanche tanto velatamente, i francesi (e con loro tutti gli europei) come snob, antiquati e anche un poco lavativi (no, non è un riferimento al bidet ma alla voglia di lavorare) mentre l’America, incarnata nel personaggio di Emily, è “smart” (qui l’inglesismo si rende necessario al fine di rendere a pieno il concetto) e proiettata verso il futuro. Un futuro che mira ad abbassare l’eccellenza ad un livello standard medio fruibile dalla massa, piuttosto che a produrre elevazione. In questo contesto si parla di moda ma il concetto, applicato su larga scala, ha un che di terrificante.
Parliamo di Emily; ha il sorriso di Lily Collins, ma la simpatia che proviamo per l’attrice non riesce a salvare il personaggio. Poco più che ventenne (22anni secondo la Collins, 25 secondo Netflix), le affidano un compito di rilievo in cui riesce alla grande vincendo difficoltà solo apparenti, a Parigi la adorano tutti, tranne ovviamente la sua capo, perché la regola dell’empatia filmica vuole che ci sia qualcuno a mettere i bastoni tra le ruote al protagonista. E per tutti intendiamo tutti, colleghi, uomini, donne, e soprattutto stilisti capricciosi che non considerano neanche il presidente, ma lei la invitano a prendere a cucchiaiate la crosta caramellata della crème brulée nei momenti di stress. Emily trova anche l’unica casa di Parigi accessoriata col bidet e il vicino belloccio che le sistema la doccia. E un lucano. Va bene, forse quest’ultimo punto (ci riferiamo all’amaro, ovvio) può contenere tracce di invidia, sta di fatto che si cerca per 10 puntate di far passare per genio una che si affaccia alla finestra e, per esprimere quanto sia felice di essere a Parigi, dichiara di sentirsi come Nicole Kidman in Moulin Rouge. Qualcuno le spieghi che il personaggio interpretato dalla Kidman faceva la prostituta, la sua vita non era di sua proprietà e tanto felice non era.
Ambientato in una Parigi che non esiste neanche nei film della Disney, quando la città vera è un oceano di bellezza quanto anche però di disagio che lascia sempre meno spazio al romanticismo per cui è famosa, Emily in Paris esagera in tutto e il troppo… Stucca. Vorremmo poter dire che almeno il guardaroba fa sognare ma, eccezion fatta per alcuni outfit di tutto rispetto, Emily sembra spesso uscita dall’armadio de’ La Bella e la Bestia mentre si difende dall’attacco del contado guidato da Gaston. Serena Van Der Woodsen e Blair Waldorf non erano certo esempi femminili troppo educativi… ma che guardaroba!
Ci dispiace ma, questa volta, stiamo con i francesi. Voto: 4/5
Immagini tratte da:
www.imdb.com www.ciaoradio.com www.insider.com www.euroweekly.com www.metro.co.uk
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Maggio 2023
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