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29/10/2021

Freaks Out: la recensione

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Dopo la metamorfosi sulle rive del Tevere di Enzo Ceccotti in Lo chiamavano Jeeg Robot il cinema di Gabriele Mainetti alza l’asticella delle proprie ambizioni e firma un fantasy bellico che condensa tutto il suo cinema e le sue aspirazioni. Freaks Out lo trovate in sala dal 28 ottobre e non potete perderlo. ​
di Salvatore Amoroso

​Genere: avventura, fantastico 
Anno: 2021
Durata: 141 min.
Regia: Gabriele Mainetti
Sceneggiatura: Gabriele Mainetti, Nicola Guaglianone
Fotografia: Michele D’Attanasio
Scenografie: Massimiliano Sturiale
Musiche: Michele Braga, Gabriele Mainetti
Montaggio: Francesco di Stefano
Casa di produzione: Goon Films, Lucky Red, Rai Cinema, GapBusters
Distribuzione: 01 Distribution, Lucky Red
Paese: Italia, Belgio
Cast: Claudio Santamaria (Fulvio), Giorgio Tirabassi (Israel), Aurora Giovinazzo (Matilde), Pietro Castellitto (Cencio), Giancarlo Martini (Mario), Franz Rogowski (Franz).


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Stavolta il regista Gabriele Mainetti e lo sceneggiatore Nicola Guaglianone danno vita a un’opera a metà tra Cari fottutissimi amici e l’armata Brancaleone. Una versione fantasiosa e postmoderna di un roadmovie nostrano che conferma il talento autoriale di Mainetti e ridà al cinema italiano nuova linfa e meraviglia. I superpoteri stavolta li hanno già i nostri quattro protagonisti di Freaks Out e a differenza del nostro amato Enzo Ceccotti non devono scegliere da che parte stare ma devono cercare di districarsi in mezzo a un mondo folle e privo di compassione. Fulvio, interpretato da Claudio Santamaria, è una possibile reincarnazione del protagonista del film precedente del regista. Ha il corpo ricoperto di peli e una forza fuori dal comune, ma il vero potere sta nella sua nobiltà d’animo. Matilde (Aurora Giovinazzo) ha l’elettricità come principale arma di difesa e gli occhi sognanti di una ragazzina alla disperata ricerca d’amore. Il nano Mario (Giancarlo Martini) è l’uomo-calamita, che grazie alla perfetta caratterizzazione del personaggio e alla professionalità di Martini sfugge a tutti i clichè, regalandoci un eroe a tutti gli effetti. Cencio (Pietro Castellitto) infine muove gli insetti e li illumina a suo piacimento e non lasciatevi ingannare dal suo cinismo e dalla sua lingua lunga. Tutti insieme sono i componenti del circo di Israel (Giorgio Tirabassi) e si stanno esibendo in uno spettacolo dove stanno tirando fuori il loro repertorio migliore. Ma la magia però finisce. Ci sono gli aerei e le esplosioni dei bombardamenti. Il gruppo sogna di fuggire in America ma Isreael sparisce. È scappato o è stato catturato? I quattro personaggi restano così soli a Roma che è occupata dai nazisti e dove si trova il ZirkusBerlin, un’attrazione diabolica gestita dalla follia del pianista Franz (Franz Rogowski) che non vede futuro per il Terzo Reich. ​
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Quello di Matilde, Cencio, Mario e il nobile Fulvio è il più classico dei percorsi fatti di scoperta, sofferenza e rinascita. Il nostro team si dividerà e si ritroverà come nelle grandi epopee fantasy dominate dall’azione e dal coraggio, fino ad arrivare ai buoni sentimenti e a scontrarsi con la spietata crudeltà. Guaglianone si diverte a spargere manciate di cinema americano in tutto il film. Possiamo trovare riferimenti starwarsiani e sprazzi dei più moderni cinecomic. Tutto ovviamente in salsa italiana che non sconfina mai nel provincialismo e riesce a impastare tutti i riferimenti, i generi e le trovate estetiche del film per offrirci un universo narrativo fresco e pieno di personalità. Una Roma contemporaneamente sovrannaturale e realistica, fatata e ruvida, grazie alle scenografie di Massimiliano Sturiale (zeppe di omaggi a Fellini) e alla fotografia memorabile di Michele D’Attanasio (oggi, uno dei migliori in Italia). È un cinema sovraccarico, così appassionato da non avere il senso della misura. ​
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Difatti lo spettatore più attento si accorgerà che tra primo, secondo e terzo atto i toni si fanno molto diversi tra loro e si tingono di follia, magia e persino violenza e spesso il tipo di approccio cinematografico mostratoci all’inizio del film non lega in maniera armonica. Forse il vero limite di Freaks Out risiede nella gestione dei tempi e talvolta non frena il cambiamento (o deformazione) dei suoi personaggi e finisce per perdere il controllo. Ma è anche un film pieno di illuminazioni, che trae la sua forza dall’entusiasmo dei suoi autori. La scrittura non sempre è definita e coinvolgente, alcuni momenti sono meno affascinanti ma alcune trovate come quella dello smartphone (unico simbolo della modernità) ci riconciliano col mondo visionario e ambizioso di Mainetti, capace con due soli film, di proiettare il nostro cinema in una dimensione mai esplorata. ​
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La missione di questi due autori è appena iniziata: se con Jeeg si era tracciata una linea, con Freaks Out veniamo catapultati in uno spettacolo abbagliante di luci che spesso ci sorprende ma che a tratti ci lascia un senso laconico di mancanza. Purtroppo questo secondo lungometraggio di Mainetti accusa qualche problema a livello di ritmo e misure, e di tanto in tanto l’equilibrio del racconto ne risente nonostante l’eccellente prova di tutto il cast ma bisogna augurarsi più prodotti del genere, più opere ambiziose dirette da registi affamati dotati di una generosità totale e che sono pronti a dare tutto per amore del cinema. La passione che trasuda da ogni sequenza è la miglior risposta a qualsiasi polemica e che ci dovrebbe spingere a tenerci quanto più stretto possibile autori come Gabriele Mainetti e la crew. Correte a vederlo in sala e sostenete il cinema italiano, l’alba di un nuovo giorno ci attende e noi abbiamo già i posti in prima fila. ​
Link Immagini:
Locandina: Movieplayer.it
Immagine1: RedCapes
Immagine2: TheHotCorn
Immagine3: ElMundo
Immagine4: RB Casting.com

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