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26/5/2019

Game of Thrones - Il Finale

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La Recensione

di Matelda Giachi
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Sveglia a orario improbabile. Sigla, per l’ultima volta. Macerie. Quel che rimane di Approdo del re dopo che alla bionda son partiti i cinque minuti. Seguiamo Tyrion tra le rovine in quella che sappiamo già essere una ricerca senza speranza. Trova i fratelli sepolti e li piange; entrambi. Jaime, perché lo aveva sempre accettato e aveva con lui un legame speciale, e Cersei, della quale ha odiato l’amore di cui lo ha privato più che la crudeltà spietata. Poi affronta la sua regina e scaglia via la spilla di “Hand of the Queen”, con un disprezzo e una delusione proporzionali all’orgoglio provato quando il titolo gli era stato conferito, regalandoci due delle sequenze migliori dell’episodio. Ormai che il viaggio è finito, possiamo dire che, per merito di complessità di scrittura e del talento del suo interprete, Peter Dinklage, Tyrion Lannister è sicuramente il personaggio più bello di Game of Thrones. 
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Qui la narrazione riprende velocità; Daenerys inneggia a Immacolati e Dothraki, che hanno ormai la peculiare caratteristica di moltiplicarsi invece di decimarsi dopo ogni battaglia per poi dirigersi, con lo sguardo di chi ha appena subito una seduta di ipnosi, verso il famigerato Trono di Spade. “Pensavo fosse più grande”, dice a Jon Snow, prima di dare inizio ad un ultimo attacco di delirio di onnipotenza a cui lui, ormai privato dell’ultima speranza che l’amore suo si ripigli, pone fine con un coltello piantato nel cuore. Non senza aver prima pronunciato il suo mantra per la stagione otto, opportunamente caricato di drammaticità per il finale. “You will always be my Queen”. Non so cosa sia successo nella testa degli altri spettatori, nella mia è partita forte e chiara la voce di Whitney Houston nella ripresa di I Will Always Love You.
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È la volta di Drogon di regalare una delle sequenze più intense del finale: furioso per la morte della sua mamma, sfoga la rabbia non sull’assassino materiale ma sul vero responsabile, fondendolo con le sue fiamme insieme al nostro povero cuore.
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Buio. “Ti prego, non la scrittina qualche tempo dopo”. Qualche tempo dopo, senza scrittina. O almeno così deduciamo; un tempo per andare da Grande Inverno ad Approdo del re ci volevano almeno tre puntate, ora basta un intervallo pubblicitario. Sono riuniti tutti i lord sopravvissuti (compresa un sacco di gente inutile che non ricordavamo e un nuovo Principe di Dorne sfoderato dal cappello al posto del classico coniglio. I maschi di famiglia non dovevano essere tutti morti?) in quello che, di sicuro, è stato un lungo conclave. Infatti i partecipanti sono stati opportunamente forniti di bottigliette d’acqua contro la gola secca.
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Morale, gli Immacolati diventano proprietari terrieri, Pesce Lesso Tully tenta di farsi acclamare re ma viene fatto tornare a cuccia dalla nipote, che intanto ottiene l’indipendenza del Nord e corona il sogno di una vita diventando finalmente regina. L’altra nipote decide di non tornare a casa ma di prendere il mare e diventare Cristoforo Colombo. Sam Tarly diventa Gran Maestro e non si capisce dove abbia parcheggiato Gilly e i figli. Ma il vero vincitore del gioco del trono è Bronn, che si è defilato mentre tutti finivano di bisticciare per poi ricomparire sul finale: il mercenario è diventato Maestro del Conio e Lord di Alto Giardino. Un brindisi a Ser Bronn! Jon è il prototipo del “sei nato sfigato e sfigato morirai". Dopo aver salvato la vita di ogni abitante di Westeros almeno due o tre volte e minacce di varia natura, viene esiliato alla Barriera per aver ucciso la regina (peraltro ancora non riconosciuta da tutti come tale e salvando tutti, di nuovo, a discapito del suo cuore). Se possibile, torna anche vergine, grazie. Va detto comunque che, probabilmente, si sarebbe esiliato da solo ed è quindi felice così. Tyrion viene obbligato a richiappare la spilla e Brienne prende il posto di Jaime a capo della guardia reale (e qui lacrimuccia).
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​E sul trono? Brandon Stark. Otto stagioni di “Non mi interessa più niente”. “Ormai vivo solo nel passato”. “Sono cose che non mi riguardano” ed un’unica espressione facciale e poi… “Senti, t’andrebbe mica di fare il re?”. “Sono qui per questo”. E niente, il drago si è dato alla macchia quindi, purtroppo, niente Dracarys. Qualcuno comunque ha saggiamente fatto notare che il più avanti di tutti era stato Jaime a tentare di farlo fuori nella prima stagione. Lo sterminatore di re, un nome, una garanzia.
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Ma proprio alla fine, una gioia. Jon si riunisce con Ghost e Tormund. Ed è quasi happy ending.
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L’ottava serie ha diviso il pubblico tra entusiasti e delusi. Noi ci collochiamo un po’ nel mezzo: non è il cosa ma il come che ci ha lasciato una certa amarezza. La fretta di chiudere era papabile non solo nel susseguirsi veloce degli eventi ma anche negli errori, dagli oggetti dimenticati in scena di cui nessuno si è accorto, all’avvio di parentesi narrative mai chiuse, come nei personaggi svuotati della loro complessità e ridotti alla stilizzazione di se stessi.

Che il finale sia piaciuto o meno, con la sesta puntata dell’ottava stagione si è chiusa un’era, si è conclusa una seria diversa, esplicita, coraggiosa, coi contorni fantasy ma soprattutto umana. Game of Thrones è stata in grado di accaparrarsi un pubblico vastissimo, creare aspettativa e sorprendere. Un successo basato sulla complessità dei suoi personaggi, mai cristallizzati in un tipo caratteriale ma sempre in cambiamento a seguito del loro reciproco incontrarsi lungo quello che è stato, per tutti, un sanguinoso cammino. Una serie che ci ha insegnato che il confine tra bene e male non è netto come lo immaginiamo.

Voto alla serie: 8,5
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Voto alla stagione finale: 5/6
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