Di Federica Gaspari
La nostalgia dei tempi passati nel mondo dell’intrattenimento non è più un semplice trend: è un vero e proprio dato di fatto. Serie come Stranger Things e The OA e film come Super 8 e Ready Player One hanno consolidato il cambiamento di una cultura sul piccolo e il grande schermo rivolta verso i classici del passato e, in particolare, in direzione degli anni Ottanta e Novanta. Un colosso dei servizi streaming come Netflix ha scelto di fare di questa retro-nostalgia il tratto distintivo delle sue produzioni più apprezzate e attese. L’ingrediente fondamentale della ricetta di queste produzioni è l’attenzione rivolta ai giovani outsiders, assoluti protagonisti celebrati in particolare con il tripudio di pubblico e critica The End of this f*****g World. Proprio gli autori di questa serie britannica si celano dietro all’ideazione e produzione di I Am Not Okay with This, tenn “dramedy” tratto dall’omonima graphic novel di Charles Forsman, già autore del fumetto che ha ispirato l’altro titolo Netflix citato in precedenza. Sydney Novak (Sophia Lillis) è una diciassettenne fuori dagli schemi che vive insieme al fratellino Liam (Aidan Wojtak-Hissong) e alla madre Maggie (Kathleen Rose Perkins). Nel pieno dell’adolescenza, questa ragazzina trascorre le giornate insieme all’amica Dina (Sofia Bryant), giovane piena di energia, esatta antitesi della protagonista. Nel vivo di una quotidianità di alti e bassi, Sydney conoscerà nuovi strani amici come il vicino di casa Stan (Wyatt Oleff) e inizierà a scoprire il suo potenziale decisamente inaspettato… La promozione martellante di casa Netflix funziona senza troppi sforzi. È ormai chiaro che per attirare il pubblico di appassionati è necessario inserire semplicemente un titolo magico nella tagline pubblicitaria: Stranger Things. La creatura dei fratelli Duffer, unica vera produzione del colosso in grado di sostenere ben tre stagioni, può contare su una reputazione ineccepibile oltre che su un seguito di fedelissimi. I Am Not Okay with This, mescolando le più classiche tematiche da coming of age con un pizzico di fantascienza, ripropone una formula che ha ben poco di originale. Proprio per questo, buona parte della riuscita della serie tv è affidata al duo protagonista, che rinnova la collaborazione dopo il successo in sala di IT. Le interpretazioni di Sophia Lillis e, in particolare, dell’eccentrico co-protagonista Wyatt Oleff sono ammirevoli e l’intesa che si crea tra i due è il vero motore di una narrazione appassionante che, tuttavia, non trova la stessa efficacia quando uno dei due non è in scena. Due promettenti giovani talenti, però, non bastano se la cornice che li inquadra esaspera ogni aspetto. La ricerca di continui riferimenti al passato – VHS, vestiti, accostamenti di colore – distrae l’attenzione dalla storia, ricadendo anche in diverse contraddizioni. Il buon materiale di partenza, in grado di affrontare gli alti e bassi dell’adolescenza con un’interessante componente paranormale, viene spiacevolmente adombrato da una confezione pretenziosa e complessa, ossessionata da un’estetica di riferimenti più o meno urlati e vezzi pretestuosi da cinema indie. Il risultato è quindi una serie che intrattiene ma che con i suoi problemi di forma e con la scelta misteriosa di articolarsi su episodi di venti minuti – non senza sequenze riempitive – lascia molto amaro in bocca. Il finale sospeso che apre a grandi possibilità per la sua vocazione fantascientifica in stile Legion in una (molto) probabile seconda stagione. Si spera, però, che alcuni vizi rimangano brutti ricordi di questa prima avventura al fianco di Sydney Novak. Immagini tratte da: www.netflix.com www.nytimes.com
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Marzo 2023
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