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25/10/2020

I Predatori: la recensione

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di Salvatore Amoroso
I predatori mette in mostra la voglia di lavorare una materia sempre meno sgrezzata dal cinema italiano, il grottesco. Lo fa a tratti con consapevolezza e a tratti aderendo a un’estetica fin troppo facile. Nel complesso l’esordio di Pietro Castellitto non è privo di interesse, ma si dimostra confusionario. Presentato e premiato, un po’ generosamente, nella sezione Orizzonti di Venezia.
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Genere: Grottesco                                         
Anno: 2020
Regia: Pietro Castellitto
Durata: 109 min.
Sceneggiatura: Pietro Castellitto
Cast: Massimo Popolizio (Pierpaolo Pavone), Giorgio Montanini (Claudio Vismara), Pietro Castellitto (Federico Pavone), Manuela Mandracchia (Ludovica Pensa), Dario Cassini (Bruno Parise), Anita Caprioli (Gaia)
Fotografia: Carlo Rinaldi
Montaggio: Gianluca Scarpa
Produzione: Fandango
Distribuzione: 01 Distribution
Paese: Italia

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Nonostante gli esempi di Michele Placido, Sergio Rubini, Valeria Golino e altri,  quando un attore passa alla regia lo spettatore è solitamente scettico e il critico cinematografico mette metaforicamente mano alla pistola. Per giunta, Pietro Castellitto, regista e interprete de I predatori, alla Mostra di Venezia nella sezione Orizzonti è figlio d’arte, dell’affermatissimo Sergio Castellitto, a sua volta attore e regista, e della ex attrice, scrittrice e sceneggiatrice Margaret Mazzantini.
Come in altre riuscite commedie, da  Ferie d'agosto di Paolo Virzì a Come un gatto in tangenziale di Riccardo Milani, la gente di periferia incrocia casualmente i borghesi intellettuali di città per dar vita a situazioni tragicomiche. Ne I predatori da una parte abbiamo la famiglia Vismara, della provincia di Roma, che fa capo a Claudio (Giorgio Montanini, esilarante e caustico stand-up comedian) e Carlo (Claudio Camilli), gestori di un'armeria (come un protagonista di Ferie d'agosto), assoggettati al feroce zio Flavio (Antonio Gerardi), pregiudicato.  Sono dei fascisti puri, con tanto di tatuaggi con croce celtica, ritratti di Mussolini, canzoni di estrema destra, poligono di tiro con bandiere nere. Le loro mogli (Giulia Petrini, Liliana Fiorelli) sognano appartamenti di lusso in centro. Dall’altra parte c’è Federico Pavone (lo stesso Pietro Castellitto) venticiquenne studente in filosofia ossessionato da Nietzsche e vessato dal suo professore universitario.  Occhi chiari e grande naso, Federico è impacciato, intelligente, bizzarro e con una vis polemica che ricorda il Nanni Moretti degli esordi. Il padre Pierpaolo (Massimo Popolizio) è un medico, la madre Ludovica (Manuela Mandracchia) una regista affermata che sta girando un film storico. Il suo motto è “Tutti hanno un piano finché non ricevono un pugno in faccia” (Mike Tyson). Su un mobile dell’appartamento, nella zona più chic della capitale con cameriere filippino in livrea, campeggiano 5 David di Donatello. C’è una certa dose di ironica autobiografia da parte del giovane regista cresciuto in un ambiente privilegiato.  Papà Pierpaolo, infine, è amante di Gaia (Anita Caprioli), moglie del suo amico e collega Bruno (Dario Cassini).  C’è anche un misterioso personaggio, il venditore di orologi (un cameo di Vinicio Marchioni), che compare all’inizio e alla fine. 
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Sono sufficienti le prime inquadrature per rendersi conto del livello tutt’altro che modesto delle ambizioni di Castellitto: tanto il piano-sequenza che vaga di personaggio in personaggio per le strade del lungomare di Ostia quanto l’incontro in casa tra il misterioso uomo interpretato da Vinicio Marchioni e la madre dei Pavone, fascistoni dediti al culto (e allo smercio sia legale che illegale) delle armi dimostrano le velleità autoriali del regista, la sua volontà ferrea di sfuggire alle grinfie della produzione media nazionale. Il suo film posiziona la macchina da presa là dove molti suoi coetanei non penserebbero neanche di poterla fissare, gioca con stacchi di montaggio che passano da primi piani stretti a totali in penombra, utilizza la steadycam per donarsi la massima libertà, più di movimento che espressiva. I predatori è un’opera che gronda di desideri solo in parte espressi di uccidere i padri, tanto biologici quanto ideali: in qualche misura il personaggio di Federico, che non a caso interpreta proprio il regista appare come una proiezione diretta dell’esordiente, come lui deciso a far saltare in aria il sistema e allo stesso modo altrettanto confuso, e dunque impossibilitato a mettere davvero in pratica quel che teorizza. Se lo scoppio della lapide nietzschiana non porterebbe in ogni caso a niente, tanto meno a “far fuori” la famiglia borghese del protagonista, le pur apprezzabili traiettorie grottesche e la messa in scena non di prammatica per la produzione nazionale, sia chiaro non possono far saltare il banco di un cinema accomodatosi nelle agiate poltrone della borghesia. Non è casuale che Castellitto contrapponga da un lato l’agio annoiato e ritorto su se stesso della classe intellettuale romana. 
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Particolarmente riuscita la scena in cui la famiglia Pavone è seduta a cena con amici e parenti per celebrare il compleanno della nonna, li possiamo ammirare uno straordinario e pittoresco assolo della sorella del regista. L’intenzione di Castellitto è di mostrare tutti come dei predatori in una giungla, ma il regista guarda con malcelata simpatia all’umanità seppellita in fondo al cuore di Claudio, nonostante addestri il figlio di dodici anni a sparare e venda al protagonista Federico una notevole quantità di esplosivo per ventimila euro. Il finale inverosimile strizza l’occhio a Favolacce, ma siamo molto distanti dal piccolo capolavoro dei fratelli D'Innocenzo perché I predatori non si prende davvero sul serio. Prodotto da Domenico Procacci e Laura Paolucci per Fandango con Rai Cinema, I predatori sarà distribuito in Italia da 01 il 22 ottobre, mentre le vendite internazionali sono curate da Fandango Sales. 
Link Immagini:
Locandina: MyMovies
Immagine1: MyMovies
Immagine2: Coming Soon
Immagine3: La Biennale di Venezia 

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