di Federica Gaspari ![]() Genere: thriller, drammatico, distopico Anno: 2020 Regia: Jonathan Ogilvie Attori: Tilda Cobham-Hervey, Hugo Weaving, Josh McConville Chris Bunton, Diana Glenn, Marlon Williams Sceneggiatura: Jonathan Ogilvie Fotografia: Geoffrey Simpson Montaggio: Bernadette Murray Produzione: Future Pictures Paese: Nuova Zelanda, Australia Durata: 100 min Una nuova normalità e quotidianità da vivere soprattutto davanti e dentro a uno schermo spinge i creativi anche verso narrazioni alternative che, partendo da uno spunto originale e attuale, reinventano grandi classici della letteratura. Il regista neozelandese Jonathan Ogilvie approda quindi alla 50esima edizione dell’International Film Festival di Rotterdam con una versione distopica del romanzo The Secret Agent di Joseph Conrad che, concepita e realizzata prima della pandemia, risulta ora quasi profetica: Lone Wolf, muovendo i suoi passi in un futuro prossimo, immagina una realtà inquietante il suo scheletro portante è una sorveglianza pervasiva delle autorità. Come si può rileggere un classico in una chiave così moderna? Ogilvie ha qualche idea a proposito, scegliendo di giocare anche le sensazioni evocate da una messa in scena originale. Il ministro della giustizia australiano (Hugo Weaving) preferirebbe altri tipi di impegni ma qualcosa di misterioso e indecifrabile richiede urgentemente la sua attenzione: un flusso infinito di filmati di telecamere di sicurezza, riprese amatoriali, contenuti multimediali dei social networks oppure registrazioni di sessioni Skype. Questo insieme di immagini racchiude e racconta una storia interessante e inquietante che vede protagonista la giovane attivista Winnie (Tilda Cobham-Hervey) al centro di un intrigo decisamente più grande di lei. Considerato un titolo così evocativo, è immediato chiedersi chi sia esattamente il lupo solitario della storia. Le possibilità di interpretazione sono moltissime e il film – estremamente consapevole – gioca con tutte queste dedicando a ogni personaggio atti differenti. Questa scelta, tuttavia, sembra spesso non dare il giusto valore – forse intenzionalmente - alla componente umana della storia. Ne consegue che il pubblico difficilmente può riuscire a intrecciare un legame con uno dei personaggi, condividendone le angosce oppure anche semplicemente seguendone i passi per trovare un filo conduttore in una narrazione piuttosto caotica. Hugo Weaving, come sempre, giganteggia, impreziosendo i pochi ed essenziali dialoghi a lui affidati. Tuttavia, nel complesso la componente dei personaggi del film risulta abbastanza deludente. Fortunatamente, gli aspetti più tecnici e sperimentali della pellicola non deludono. Ogilve, facendo tesoro dei precedenti riconoscimenti a Cannes ma anche della collaborazione al montaggio per Kubrick, costruisce una macchina quasi perfetta in grado di evocare atmosfere e suggestioni con semplici inquadrature che sfruttano al meglio l’escamotage dei differenti mezzi di ripresa. La generale sensazione di freddezza e distacco suggerita dai personaggi trova quindi terreno fertile in un palcoscenico costruito forse per giocare più con i vuoti e i silenzi che con l’empatia. A fine visione, con un opprimente sensazione di oppressione, l’obiettivo si può allora considerare raggiunto nonostante alcune sbavature: il regista e sceneggiatore è riuscito a riprodurre alla perfezione le dinamiche distopiche di una sorveglianza capillare a cui non si può sfuggire e che può essere manipolata solamente da pochi. Resta, infine, uno spiraglio di luce: ma se tra quei pochi si nascondesse qualcuno in grado di ridare il giusto valore ai rapporti, alla solidarietà e alla collaborazione?
Immagini tratte da: https://press.iffr.com
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Marzo 2023
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