Di Federica Gaspari
In un momento estremamente complesso a livello sociale e psicologico, concetti come solidarietà, senso civico e responsabilità sono tornati prepotentemente al centro di ogni conversazione. Quotidiani, telegiornali e altri mezzi di informazione, giorno dopo giorno, ritraggono tutte le sfumature delle possibili reazioni della comunità davanti a un’emergenza, un’insormontabile difficoltà. Dall’egoista inconsapevole all’altruista fuori controllo: ogni comportamento, non solo i più assurdi, spesso sembra essere frutto della fervida immaginazione di un audace sceneggiatore. La fantasia, tuttavia, è più concreta di quello che si potrebbe pensare. In questo clima caotico e intimorito, Netflix inserisce nel suo catalogo Il buco, racconto fantascientifico con sfumature horror dal tempismo a dir poco inquietante. Con il titolo originale El Hoyo, questo film del regista spagnolo Galder Gatzelu-Urrutia ha raccolto consensi e reazioni sconvolte in alcuni maggiori festival di cinema indipendente e di genere: dal Toronto Film Festival al Sitges, fino al Torino Film Festival dove ha ottenuto il premio speciale della scuola Holden. Il motivo di questo successo alimentato ora dal passaparola? La scelta di simboli e immagini semplici che non lasciano scampo. “Ci sono tre tipi di persone: quelli di sopra, quelli di sotto e quelli che cadono.” In un futuro imprecisato, Goreng (Ivan Massague) si risveglia in quella che sembra essere una prigione con una peculiare struttura verticale. L’uomo condivide con il lugubre e anziano Trimagasi (Zorion Eguileor) uno dei livelli della “fossa”, un edificio dall’atmosfera claustrofobica diviso su più livelli che determinano la spartizione giornaliera del cibo che avviene attraverso un meccanismo a discesa che distribuisce progressivamente gli avanzi degli inquilini del piano superiore. In un meccanismo consolidato, come si possono rompere delle dinamiche radicate con un messaggio di umanità? Gaztelu-Urrutia, con l’aiuto del tocco surreale della fotografia di Jon D. Dominguez, riesce a catturare l’attenzione anche dello spettatore più distratto sin dalla prima inquadratura riuscendo a costruire un legame che va oltre la semplice curiosità per un originale spunto narrativo. Con toni da sofisticata fiaba dark e con brutale efficacia, il film inghiottisce letteralmente il suo pubblico, trascinandolo in un turbinio di follia e puro orrore. Cosa accade nel momento in cui, ai livelli più bassi di questa società verticale a senso unico, non arriva alcuna porzione del pasto? Gli istinti più violenti si accendono portando un individuo a compiere gesti spietati dettati da sopravvivenza e da pazzia. Le giustificazioni per cui è la società a rendere il singolo crudele non bastano. Cos’è, infatti, questa collettività se non la somma dei contributi di ogni inquilino della fossa? In un continuo gioco di allucinazioni, buone intenzioni in frantumi e illusioni disperate, il nome di Don Chisciotte non esita ad affiorare. Un barlume di speranza, la certezza di poter credere nel prossimo, può tuttavia rendere credibile un piano che sulla carta potrebbe sembrare l’ennesima lotta contro mulini a vento.
Nonostante alcune svolte didascaliche, la curatissima ma mai pedante sceneggiatura tratteggia con lucida e cruda freddezza una società paurosamente simile a quella reale, in cui assenza di empatia e necessità di additare la colpa dei propri atteggiamenti a terzi sono veri motori di una vita in nome di cui si sacrifica ogni grammo di umanità. La penna di Desola e Rivero e le interpretazioni viscerali di Goreng e di Eguileor – attore iberico che ricorda nemmeno troppo vagamente Anthony Hopkins con la sua inquietudine – stringono in una morsa l’incosciente spettatore convinto di trovarsi al cospetto di un banale prodotto d’intrattenimento. Il finale, in netto contratto con la limpida trasparenza dei simboli dell’intera narrazione, lascia più domande – dettate dalla volontà di vedere una luce in fondo alla fossa – che risposte. Gli interrogativi, non i punti fermi, sono, dopotutto, il modo migliore per avviare un cambiamento necessario. Immagini tratte da: www.netflix.com www.torinofilmfest.org
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Marzo 2023
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