4/6/2017 IlTermopolio incontra Mariangela Barbanente e Antonio Palumbo, alla scoperta del vero volto di Varichina.Read Now
Abbiamo fatto quattro chiacchiere con i due registi della pellicola Varichina – La vera storia della finta vita di Lorenzo De Santis, presentata al cinema Arsenale di Pisa.
Lorenzo rappresentava la trasgressione, la macchia composta da colori vivissimi nella grigia città di Bari degli anni ’70. Strillava di fronte agli innocenti “agguati” dei ragazzini del luogo che lo spaventavano con i loro odiati granchi, lanciava occhiolini ammiccanti a tutti i bei ragazzi che incontrava ma era anche capace di conquistarsi la fiducia delle donne del quartiere, donne da cui traeva spunto per arricchire la sua femminilità. Chi si celava realmente dietro alla maschera del personaggio di Varichina? Lo abbiamo domandato proprio a Mariangela Barbanente e Antonio Palumbo, registi della pellicola: Varichina – La vera storia della finta vita di Lorenzo De Santis. Ospiti al cinema Arsenale di Pisa, i due registi ci hanno raccontato un pezzo di storia della loro Bari. Una città che non ha dimenticato le bizzarrie di quest’alieno che ha portato una ventata di follia e di diversità, che sì è coraggiosamente scontrato contro la gretta mentalità e l’ipocrisia degli abitanti che oggi ammirano le sue gesta e non possono fare a meno di sorridere di fronte alle sue mitiche imprese. Con questa pellicola i due autori vogliono rendere omaggio al primo omosessuale che ha celebrato la sua diversità quotidianamente, sconfiggendo a caro prezzo la paura e la fobia. Lorenzo non si è mai arreso, neanche quando lo scherno si tramutava in rabbia per poi sfociare nella violenza più becera. Ha continuato a “combattere” contro i bacchettoni dell’epoca che lo guardavano basiti ma allo stesso tempo quasi ipnotizzati da tutta quella straordinaria e sana follia. La coppia Palumbo e Barbanente mescola nel loro racconto realtà e finzione e attraverso i racconti e le testimonianze dei baresi ci narrano le vicende di una maschera che ha fatto la storia di Bari e, grazie alla grande prova dell’attore Totò Onnis, provano a indagare sulla vita di un personaggio assai complesso. Chi c’era dietro la maschera di Varichina? Una macchietta che non si era resa conto di essere diventata un baluardo. Un “fimminiello”, una femmina mancata, un’imperfezione che rende la vita meravigliosa che, nonostante vivesse come un emarginato, profondamente solo e dimenticato dalla famiglia, riuscì a non farsi risucchiare dal limbo in cui vivevano gli altri “difettati” come lui, a fare breccia nei cuori della gente con la sua teatralità. Nello struggente finale Varichina dice che quello di far divertire gli altri è sempre stato il suo destino, quel celebrare la vita come fosse un continuo “si va in scena”. Quest’opera dal sapore agrodolce, saprà emozionarvi e coinvolgervi. Non potete assolutamente perdere le strepitose camicie del protagonista, fantastico specchio della sua grande personalità, che ci ha insegnato a vivere seguendo il nostro istinto e le nostre passioni. Nel lasciarvi all’intervista con i due autori cogliamo l’occasione per ringraziarli, non solo per averci concesso un po’ del loro tempo ma per averci regalato un’opera vera, fatta di volti, sorrisi e lacrime che difficilmente dimenticheremo.
È un piacere potervi conoscere, parlateci di Lorenzo de Santis, chi era il protagonista della vostra storia?
Antonio Palumbo: Lorenzo de Santis è un personaggio molto conosciuto a Bari soprattutto da coloro che hanno più di 35 anni perchè per 30 anni ha solcato le vie del centro barese sculettando e urlando in maniera molto pittoresca. Era un omosessuale molto dichiarato e aveva fatto del suo essere pittoresco e colorito una ragione d’essere. Tutti quanti conoscono Varichina perchè all’epoca Bari era una città di provincia molto buia e grigia e Varichina, vestendo le sue camicie colorate annodate sopra una pancia molto prominente, gli zoccoli ai piedi anche d’inverno, rivolgendo inviti poco velatamente sessuali a chiunque si trovasse di fronte, soprattutto gli uomini, era diventato un po’ il “matto del villaggio”. Non potevi non conoscere e non sapere all’epoca chi fosse Varichina. Noi ci siamo interessati a questo personaggio perchè in tempi non sospetti ha provato a fare, a modo suo, un coming out sulla sua diversità sessuale. Sicuramente in quegli anni era molto diverso rispetto a oggi, è stato infatti quotidianamente vittima di pestaggi e insulti, ma nonostante tutto, anche in maniera incoscente continuava a essere quello che era e ha portato avanti il suo essere sciantosa ed estremista che in lungo e in largo gridava la sua voglia di essere donna. Essendo nati e cresciuti a Bari, quanto di voi o meglio dei vostri ricordi è presente all’interno del vostro film? Antonio: io conoscevo Lorenzo perchè frequentavo l’università e quella era la zona di maggiore interesse per Varichina. Lui faceva il parcheggiatore nelle vicinanze dell’ateneo, precisamente in un parcheggio di fronte al cinema cittadino, il Cinema Galleria, proprio di fronte all’ingresso dell’università. Abitando nel quartiere Libertà, zona limitrofa al quartiere Murat che sarebbe il quartiere borghese centrale, era molto facile vederlo scorrazzare per quelle vie che sono una schacchiera, quindi mi è rimasto il ricordo di questo personaggio sopra le righe. Poi mi trasferì a Roma e in maniera quasi inconscia mi son sempre portato dentro la mia città e anche questi personaggi. Mia sorella nel 2014 mi girò l’articolo di un giornalista della gazzetta del mezzogiorno, che aveva celebrato in maniera goliardica e gioviale il mito di questo personaggio, promuovendo un busto all’interno della piazza centrale, quello davanti all’ex sede delle poste centrali, dove lui era solito intrattenere il pubblico con i suoi spettacoli e fare, secondo alcune voci, anche le marchette. Ho chiamato Mariangela che è una sceneggiatrice, oltre che una documentarista, perchè m’interessava tantissimo coinvolgere lei come professionista e come donna per avere un punto di vista diverso. Mariangela non conosceva il personaggio ma è apparsa subito entusiasta. Quindi abbiamo cominciato a scrivere con l’aiuto di Alberto Selvaggi, il giornalista in questione, che già aveva condotto una piccola ricerca su chi lo conosceva, sulla sua vita privata e su che fine avesse fatto questo personaggio rimasto nel mito per molti baresi, che però, a un certo punto, non aveva dato più notizie di sè. Molti pensavano fosse morto di AIDS, altri pensavano fosse andato via da Bari, in realtà con le testimonianze siamo riusciti a ricostruire gran parte della sua vita, fino al tramonto dei suoi giorni. Mariangela Barbanente: io non ho conosciuto personalmente Varichina o perlomeno non possiedo un ricordo forte su di lui, per cui in questo momento non so dirti se l’immagine che ho nella memoria è qualcosa che è nata dalle chiacchiere con Antonio o con Alberto o se è veramente nella mia memoria. Io non vivo più a Bari dall’89 però c’è comunque molto di me in questo racconto sulla Bari degli anni ’80. Ricordo che nel mio paese, abitavo in un paese limitrofo alla città, l’omosessualità era veramente un taboo, un mistero, esisteva solo un gruppo di omosessuali che bazzicava attorno a una pizzeria, erano veramente dei “femminielli” e questa cosa che l’omosessualità era associata allo scimmiottare le donne, è sempre rimasta molto forte nella mia memoria e nel racconto di Varichina c’è molto di questo ricordo. Una delle cose che mi ha affascinato di più della proposta di Antonio è stata provare a raccontare chi c’era dietro il personaggio pubblico, chi c’era dietro la maschera, anche il titolo parla di Varichina e di Lorenzo de Santis, perché uno era la maschera e l’altra era la persona dietro la maschera.
Avete lavorato fianco a fianco in questo progetto o avete curato certi aspetti separatamente? Possiamo definire il vostro film una docu-fiction?
Mariangela Barbanente: abbiamo lavorato insieme, unendo tutte le nostre competenze. Tecnicamente la docu-fiction è documentario e finzione, qualcuno la definisce pure docu-drama, più erroneamente anche docu-film, ma in fondo cosa vuol dire docu-film? film è un termine generale che comprende l’animazione, il documentario, il film di finzione: il nostro è a tutti gli effetti a metà strada tra il documentario e il drama, quindi sì, ci riconosciamo in questa definizione. Antonio Palumbo: non siamo sicuramente dei pionieri, ma abbiamo voluto sperimentare. Tante pellicole di docu-fiction in realtà tendono a separare nettamente la fiction dalla parte testimonale, invece noi abbiamo provato a mischiarle; i personaggi della fiction s’intrecciano con i testimoni e i personaggi reali all’interno delle stesse sequenze. Tutto questo ha creato più continuità e soprattutto è riuscito a spiegare la nostra idea. Lorenzo de Santis è un personaggio simile a un fantasma che continua ad aleggiare e a vivere nelle coscienze delle città e dei suoi cittadini. Devo dire che, anche dai feedback esterni, perchè ormai è un anno che il nostro film è in circolazione, siamo riusciti a trasmettere la nostra idea al pubblico: un film dove gli attori, i personaggi di finzione diventano testimoni e i testimoni diventano attori.
Dopo aver girato il film vi sarete confrontati con altri omosessuali, avete avuto modo di trovare un altro Varichina o semplicemente di conoscere nuove storie?
Mariangela Barbanente: no, non abbiamo trovato un altro Varichina, ma dopo sono venuta a conoscenza di una storia assai interessante che mi ha confidato un amico coetaneo sempre nativo di Bari. Egli, quando era adolescente già sapeva di essere omosessuale ma non ne aveva parlato con nessuno; aveva come unico modello Varichina ma diceva “io non sono come lui” perchè l’omosessualità all’epoca era talmente repressa che un ragazzino che cominciava a crearsi un’identità sessuale non sapeva a quale modello ispirarsi. L’idea che l’unico omosessuale che lui conosceva era Lorenzo lo metteva a disagio perchè diceva “io non sono così e allora chi sono? sono veramente così alieno?”. Per fortuna, andando anche a studiare fuori, il suo mondo si è allargato e ha trovato la forza per seguire la sua strada. Ecco questa è una delle considerazioni che mi ha colpita di più. Antonio Palumbo: diceva bene Mariangela! il concetto di omosessuale in provincia negli anni ‘70 e ‘80 era quello di una femmina mancata, era quello il concetto base di omosessuale, per noi adolescenti ma anche per una sacca sottoculturale della città. L’omosessuale era quasi pericoloso perché era una vista come una donna mancata, repressa, che viveva per adescare gli uomini, ecco perché c’era questo rifiuto, questo rigetto. Ovvio che in alcuni casi il rifiuto si trasformava in offese verbali più o meno pesanti, in altri, laddove i soggetti implicati in queste attenzioni di Varichina appartenevano a una classe particolarmente ignorante, potevano tramutarsi in violenze, ma nella sua incoscienza, nella sua ignoranza e nella sua naiveté Lorenzo de Santis non poteva essere differente. Quindi le mazzate e gli insulti lo fortificavano, forse lui si sentiva vivo perchè riconosciuto e oggetto di attenzioni, in realtà lui era un esibizionista e aveva bisogno di gente che lo riconoscesse come un diverso. Sembra un po’ un controsenso però ci siamo resi conto nel tempo che questo era Lorenzo. Inoltre ci siamo accorti che a livello simbolico era diverso rispetto a oggi, con i tempi che sono cambiati, con una coscienza diversa e anche con i diritti agli omosessuali che giustamente sono stati riconosciuti. Questo film ha acquistito un simbolo di rivalsa politica, quando lui in vita sicuramente non aveva la struttura culturale per voler essere un rivoluzionario.
Oggi com’è vista l’omosessualità a Bari? La mentalità della città è cambiata?
Mariangela Barbanente: assolutamente sì! Rispetto agli anni ’80 non c’è paragone. Certo chi appartiene ad altre generazioni ha ancora delle strutture mentali arcaiche, però non è più un problema per nessuno. Basti pensare che la Puglia è stata la prima regione ad avere un governatore dichiaratamente omosessuale e nessuno ha battuto ciglio e questa secondo me è una grande lezione di civiltà. Progetti futuri? Avete ancora voglia di lavorare fianco a fianco? Visti gli ottimi risultati sarebbe un peccato non potervi vedere ancora insieme... Antonio: proprio oggi siamo tornati da Berlino per la tournée di Varichina. A livello professionale noi abbiamo messo le basi per un progetto futuro che stiamo sviluppando in questi giorni, siamo proprio nella fase primordiale però parliamo non di una docu-fiction, ma di un possibile format per il broadcasting. Al momento il progetto è ancora embrionale questo dovrebbe farti capire che ci piace molto lavorare insieme. Mariangela: perlomeno questa co-regia non ha messo a repentaglio la nostra amicizia e questo è un grande risultato. Antonio Palumbo: lavorare con Mariangela è un piacere, siamo sempre stati molto chiari e lucidi l’uno con l’altra e certo qualche diverbio c’è stato ma fa parte del gioco e sempre fuori dal set. Mariangela: Penso che il diverbio più grande sia stato durante il montaggio, quando ti bacchettavo perchè non volevi vedere e rivedere il girato del film (Ride N.d.R). Antonio: la cosa che ci rende unici è che abbiamo una formazione e una prospettiva totalmente diversa. Io scrivo anche, ma lei è una sceneggiatrice con esperienza ed è una strutturalista, io non lo sono ma ho una predisposizione naturale per la fiction ed è per questo che ci sposiamo bene. Mariangela: sulla direzione degli attori è stato fondamentale il contributo di Antonio, diciamo che la cosa positiva della nostra collaborazione è che siamo stati capaci, senza nemmeno dircerlo, senza darci delle regole, di fare un passo indietro o un passo avanti quando le competenze dell’uno erano maggiori delle competenze dell’altro e viceversa. Antonio: il lavoro del regista è straordinario, devi essere illuminato e illuminante e devi essere pronto a recepire, se ti aiuta a portare avanti il progetto e, quando hai una persona che è partita con te nello sviluppo di questo progetto, che ha anche delle competenze perchè è stata dietro la macchina da presa, anche se con dei linguagi differenti, la devi vedere come una grande opportunità piuttosto che come un intralcio o un limite alla tua creatività. In questo siamo stati maturi e intelligenti, ma soprattutto umani. Immagini tratte da: foto a cura di Martina Criscione
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