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23/10/2016

Intervista a Federica Di Giacomo e recensione di Liberami

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IlTermopolio questa settimana è orgoglioso di offrirvi l’interessante incontro con la regista vincitrice a Venezia del premio Orizzonti come Miglior Film e la recensione del suo splendido documentario "Liberami".
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​di Salvatore Amoroso
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Questa settimana per la prima volta nella sua storia il Cinema Arsenale di Pisa ha presentato una selezione di pellicole scelte tra le varie categorie della 73’ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Un grandissimo e imperdibile evento che ha permesso di far rivivere al pubblico pisano tutte le forti emozioni che hanno contraddistinto il festival più importante del panorama cinematografico italiano. Non poteva non mancare allora la vera e unica rivelazione di questa Biennale, la pellicola della regista spezzina Federica Di Giacomo "Liberami", con il quale si è aggiudicata l’importante premio Orizzonti come miglior film a Venezia. L’Arsenale ha trasmesso la pellicola in prima visione con una misteriosa proiezione notturna prevista per la mezzanotte e ha invitato la regista a parlare con il pubblico della sua opera e delle forti emozioni vissute durante l’esperienza veneziana. La Di Giacomo con Liberami ha raccontato uno spaccato di Italia molto profondo e ai più sconosciuto. I dati da lei raccolti sono molto interessanti e mostrano come negli ultimi anni il problema degli esorcismi abbia raggiunto dei picchi inimmaginabili in tutto il mondo. IlTermopolio attraverso Salvatore Amoroso ha partecipato all’incontro con Federica di Giacomo avvenuto Lunedì 17, nel quale abbiamo avuto l’enorme piacere di conoscere personalmente la geniale e audace regista che ci ha non solo parlato della sua opera dai contorni unici ma ci ha svelato pure qualche aspetto inquietante vissuto dietro le quinte. Vi lasciamo non solo all’interessante intervista ma anche alla recensione del film Liberami, che caldamente vi consigliamo di vedere perchè è senza dubbio una delle opere più affascinanti e moderne del nostro cinema italiano. Nell’augurarvi una buona lettura ringraziamo come sempre il Cinema Arsenale per la preziosa collaborazione e la gentile disponibilità dell’acclamata regista Federica, donna forte e decisa, un esempio per tutti i giovani registi del domani. 

Federica è un piacere conoscerti,  innanzitutto cosa ti ha spinto a girare un documentario sul mondo dell’esorcismo?
Guarda mi è sempre piaciuto come tema. Le psicopatologie della vita quotidiana mi interessano parecchio, soprattutto quando riesco a trovare dei personaggi o delle storie che rappresentano al meglio quello che noi tutti nascondiamo interiormente e che potrebbe venir fuori in qualsiasi momento, a prescindere dall’estrazione sociale, dal livello culturale o dalla propria situazione economica. Quando ho letto del corso di formazione per preti esorcisti ho subito pensato che fosse una cosa interessante e affascinante proprio perché c’era un contrasto interno, come si fa ad essere formati per affrontare il diavolo? E quindi da lì sono iniziati i nostri studi e le nostre ricerche ma la domanda forte che mi ponevo insieme ad Andrea Senguigni, con cui ho scritto la pellicola, era se potevamo farci un racconto. Il tema era talmente forte e talmente monopolizzato da tutta la finzione cinematografica e non solo degli ultimi anni che rischiavamo di uccidere in partenza qualsiasi possibilità narrativa. Quindi ci siamo più volte chiesti come fare a non scadere nell’ordinario e piano piano è venuto fuori un lavoro di scrittura, capendo finalmente come potevamo muoverci. 
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É evidente che i presunti "posseduti" nella tua opera soffrono di disturbi psichici o dipendenze da droghe, è questo per te il vero male da cui guardarsi oggi?
Io penso che al di la di quello di cui loro soffrono, il tipo di percorso spirituale che scelgono d’intraprendere è un qualcosa che aiuta moltissimo le persone. Questo percorso spirituale negli anni si è perso ed è diventato sempre più difficile da trovare. É chiaro che c’è un problema di senso, cioè non è solo una questione di nevrosi della società moderna ma è anche una questione di ricerca dell’origine del proprio malessere, per cui tu non solo riesci a dare un nome a quello che hai ma addirittura trovi qualcuno che ti possa curare, sei tu che trovi il senso del perché stai male. Quello che mi piaceva di quest’argomento è che appunto lascia molte ambiguità sul tema della malattia e quindi ti costringe a chiederti che se anche fossero solamente problemi psicologici, la psicologia o la psichiatria riuscirebbero a darci effettivamente una risposta? O comunque abbiamo gli strumenti adatti per affrontare malesseri che non sono di natura fisica? É quindi un tema che apre molteplici domande più che dare delle risposte.
 
Hai trovato delle difficoltà a comunicare con gli esorcizzati o i preti che compaiono nella pellicola? Che tipo di persone sono?
No al contrario, secondo me noi abbiamo incrociato un momento storico particolare in cui la questione sta proprio esplodendo. La maggior parte del lavoro ci tengo a dire che lo fanno i preti di strada, quelli che per capirci fanno il lavoro sporco sono proprio loro. Quasi come una vera e propria assistenza sociale perché lavorano duramente dalla mattina alla sera. Superata una certa diffidenza e dopo essersi resi conto che noi eravamo persone serie per loro è diventato abbastanza naturale a un certo punto parlare di queste problematiche quotidiane, proprio perché per loro è una cosa normale, che fa parte della loro routine. In un certo senso i preti attraverso noi cercavano di ottenere più sostegno dall’esterno, proprio per avvicinare le persone che magari non credono a questo genere di problemi. Secondo la dottrina cattolica il più grande nemico è proprio la mancanza di fede ed è quello che porta poi le persone a rivolgersi ai maghi o a stare male, quindi aprirsi a noi non solo è stato abbastanza naturale, certo non per tutti, solo per quelli che hanno trovato il coraggio. I disturbati sono persone normalissime, questo è un concetto fondamentale da capire, sono persone con cui andavamo a pranzo e a cena, con lo stesso Enrico (il ragazzo tossicodipendente) uscivamo molto spesso. Sono persone che nella vita quotidiana hanno dei grandissimi momenti di tranquillità e di ironia, tornano dall’esorcismo e vanno mangiare come se niente fosse, riprendono le loro normali attività.
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Recentemente ho letto che dopo un esorcismo sei andata a prendere una granita con una ragazza posseduta? Ce lo confermi?
Sì (ride), guarda durante l’esorcismo raramente ho pensato che fosse finto, bisogna considerare che l’esorcismo è un rito e come tutti i riti funziona solo se fatti in un certo modo. Quello che notavo era che effettivamente i posseduti non solo si dovevano riprendere mentalmente, ma anche fisicamente. Erano necessari cinque-dieci minuti  per poter riprendere a parlare o a discutere normalmente, c’è chi addirittura rideva e ritornava completamente alla normalità. É li che è nata, dopo aver visto compiere questi riti, la forte voglia di riuscire a raccontare questi episodi. Ci siamo resi conto che non stavamo raccontando più qualcosa di anormale, in quel momento stavamo raccontando qualcosa che stava succedendo di fronte ai nostri occhi. Una problematica che possiamo riscontrare in tutto il mondo. Il rapporto basato sulla sincerità che ho avuto con loro mi è servito per apprendere e mostrare il mondo delle possessioni.
 
Come trascorrevano le giornate insieme a padre Cataldo?
La prima volta andai da sola e una delle prime cose che pensai fu che mi trovavo in una specie d’inferno. Alla prima messa a cui assistetti notai subito che la prima parte era generalmente quella normale poi seguiva la seconda parte decisamente più imperativa dove i disturbati si manifestavano in ogni lato della sala, uno spettacolo incredibile, non sapevo cosa pensare. In seguito i posseduti venivano trasportati in un’altra stanza e la situazione peggiorava sempre di più, inutile dirvi che è stato scioccante. Piano piano inizi a farci l’abitudine e soprattutto inizi a frequentare le chiese, devo dire anche se non sono cattolica che le chiese sono dei luoghi interessanti, in cui c’è una forma di ricerca e anche di accoglienza. Pian piano mi sono pure completamente abituata alla figura di padre Cataldo, che è diventato una specie di faro per me. Mi ha conquistata la sua irruenza, il suo spirito d’improvvisazione, con lui le messe infatti non erano mai uguali ma variava quotidianamente. É stato piacevole e bello essere trasportati dalla sua umanità e dalla sua incredibile schiettezza.
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La schiettezza di padre Cataldo si percepisce fin da subito e a tal proposito vorrei chiederti del suo esorcismo telefonico, una scena che ha fatto sorridere molti.
Quell’occasione tra l’altro è stata la prima volta in cui l’ho incontrato. In quella telefonata Padre Cataldo stava effettuando un esorcismo ad una sua affezionata fedele che lo chiamava in continuazione. La signora è di Acireale, città dove il prete esercitava anni prima. Quando ho visto questa scena ho subito pensato che era la sintesi perfetta del film, un esorcismo classico però fatto al telefono. Padre Cataldo mi aveva dimostrato che si era completamente calato nel contemporaneo. E ovviamente risulta anche un po' comica perché lui alla fine le augura pure buon Natale (ride). Tra l’altro, ti racconto questo aneddoto, abbiamo pure tentato di registrare le telefonate visto che lui ripeteva queste scene continuamente, perché se no sembrava veramente assurdo, quasi finto e questi strumenti ci siamo accorti che non hanno funzionato, come molte cose storte legate sempre all’audio. Succedevano delle cose strane, difficili da spiegare. Spesso quando tentavamo di superare un certo limite, cioè registrare più da vicino, l’audio saltava sempre. Comunque la voce che potete sentire nel film ribadisco che è reale. 
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Cerchi di cogliere i diversi aspetti dell’essere umano e la tua pellicola è molto contemporanea, che tipo di messaggio vuoi trasmettere con Liberami?
Onestamente non penso mai al messaggio che devo trasmettere attraverso un film, cerco solo di raccontare una storia. Il mio obbiettivo principale è quello di suscitare delle domande agli spettatori e che il film che ti lasci qualcosa, perché molto spesso i film scorrono velocemente e il giorno dopo non ti ricordi assolutamente nulla. Dobbiamo riflettere sulle persone che sono vicine a noi, che soffrono e solo perchè hanno un pensiero diverso o un’altra fede non significa che non bisogna considerarle. Invece bisogna riuscire a raccontare questo tipo di storie, le storie vere che provengono da una profonda parte d’Italia, sono quelle che regalano gli spunti più interessanti. É capitato pure con gli altri film che ho girato, come quello su Matera e il caso delle guide abusive. Tutti mi chiedevano il perché non se ne fossero mai accorti, nonostante il problema fosse proprio sotto il loro naso. Forse è proprio perché non si parla abbastanza di questi casi.
 
Quando hai finito di girare il documentario di cosa ti sei liberata e che cosa hai appreso nello stesso tempo?
Guarda innanzitutto mi sono liberata di un sacco di paure, perché per realizzare questo film abbiamo dovuto sfidare numerose difficoltà. A partire dalla paura di raccontare questa storia, la paura di non trovare i produttori, di affrontare e filmare la sofferenza. É molto dura filmare la sofferenza, non solo per una questione personale, ma anche perché rischi di non trovare il giusto modo di farlo. Ho rischiato grosso girando con persone nuove, ad esempio ho lavorato con un montatore nuovo. Insomma ho voluto osare e diciamo che di conseguenza ho esorcizzato un bel po di paure, alla fine posso dire che è andata bene. Mi ha dato consapevolezza. 
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Il traguardo raggiunto a Venezia te lo aspettavi?
No e ci ha fatto tantissimo piacere. Ci ha dato tanta consapevolezza ma ora è arrivata la parte più tosta  perché è diventato davvero difficile uscirne. Dopo questa notizia di Venezia è come se il film si fosse impossessato di noi, non riusciamo a lasciarlo andare però è bello perché comunque sento delle bellissime reazioni, sento che le persone si interessano e sono molto colpita da tutto questo.
 
‘’Liberami’’ La recensione
 
La recensione del documentario vincitore del Premio Orizzonti come miglior film che ha per protagonista Cataldo Migliazzo, l’esorcista più ricercato della Sicilia.
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Regista: Federica Di Giacomo                             
Genere: Documentario
Durata: 90 min
Produzione: I Wonder Pictures
Sceneggiatura: Federica Di Giacomo, Andrea Sanguigni

Venerdì notte alle 00:00 il cinema Arsenale di Pisa ha proiettato Liberami, il documentario italiano più interessante degli ultimi anni, vincitore come miglior film all’ultima edizione di Venezia nella sezione ‘’Orizzonti’’. Federica Di Giacomo, la regista della pellicola, ci ha messo ben tre anni per realizzare quest’opera e attraverso i suoi occhi vivaci e curiosi ma soprattutto rispettosi ci ha mostrato il mondo di padre Cataldo Migliazzo, appartenente all’ordine francescano che da 15 anni opera a Palermo come esorcista. La bellezza di questo documentario risiede senza dubbio nella sua essenzialità.
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La Di Giacomo non commenta, non giudica nè banalizza in maniera ironica, come spesso accade quando si affrontano questi temi, gli esorcismi di padre Cataldo. Nella sua opera lo spettatore può ammirare con sguardo vero e disincantato la quotidianità di una comunità di fedeli, i quali soffrono di vari disturbi, per lo più di natura psichica e che si rivolgono alla chiesa perché sentono che la loro anima sia stata contaminata dal maligno.
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Lo spettatore dovrà fare i conti con la disarmante naturalezza con cui l’anziano parroco svolge il suo lavoro, ovvero schiacciare il demonio, persino al telefono. Già perché è memorabile la scena in cui padre Cataldo esorcizza telefonicamente un fedele posseduto che sbraita e lo insulta più volte. La sensazione che si prova guardando queste immagini è di forte stupore, non ci si crede al numero di persone che giornalmente affolla la sacrestia e che chiede di essere aiutata. Le scene girate durante la messa sono inquietanti e tragicomiche, i posseduti si agitano, fanno strani versi e i familiari faticano a contenere i loro cari, in preda al presunto gioco del male.
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I minuti della pellicola scorrono velocemente ma le inquadrature della regista incalzano sugli occhi dei protagonisti ed è lì, proprio in quelle profonde immagini, che si possono cogliere i veri dubbi e le inquietanti domande che man mano ci attanagliano. Enrico, Gloria, Anna e gli altri "posseduti" sono vittime in realtà di una società fortemente malata, figli disturbati del nostro secolo, forse il più buio della storia se lo si analizza per bene. Non importa da che estrazione sociale vengano, dal tipo di educazione che hanno ricevuto, dalle varie esperienze di vita vissute, sono tutti uniti da una grave forma di esibizionismo psicotico, sentono il bisogno di urlare al mondo il loro disagio, vogliono semplicemente trovare una soluzione ai loro problemi.
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Questa è la vera forza di Liberami. Non cerca una soluzione, non schernisce i suoi protagonisti, piuttosto racconta con occhio laico e trasparente uno spaccato della nostra società, un fenomeno in continua espansione come si può leggere dalle didascalie conclusive, rilegato non solo nel sud Italia ma in tutto il mondo.

Immagini tratte da:
Locandina: www.mymovies.it
Immagine1: www.LaRepubblica.it
Immagine2: www.comingsoon.it
Immagine3: www.farefilm.it
Immagine4: www.movietele.it
Fotografie Intervista: Proprietà di Salvatore Amoroso

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