“Non vi dimenticherete di me, vero?... Promettetemelo!” Rupert Goold racconta Judy Garland. Non la Judy regina dei palcoscenici, che incanta tutti con la sua voce. Non la ragazza della porta accanto, quell’immagine che il carrozzone di Hollywood ha venduto per anni, finché, da vendere, non vi era rimasto più nulla. Goold sceglie di guardare “oltre l’arcobaleno” e ci racconta una Judy fragile, spossata, che ha rinunciato da anni al cinema; la sua voce è indebolita, dopo il tentato suicidio di due anni prima che ha reso necessaria una tracheotomia, ma accetta di esibirsi per una serie di concerti a Londra perché è in lotta per la custodia dei figli piccoli, non ha una casa ma un sacco di debiti; e tanto bisogno d’amore. Una star che spesso si ferma a parlare con i fan e a spendere un po’di tempo in loro compagnia. La diva ha 47 anni, sono i mesi che precedono la sua prematura dipartita. A questa Judy se ne alterna, per brevi attimi, una più giovane, appena ragazzina; è piena di sogni, vive in un mondo dove tutto è finto, perfino le feste di compleanno celebrate con due mesi di anticipo per non intaccare la tabella di marcia. La torta è di cartone: una vera farebbe ingrassare. Pillole per dormire e poi pillole per aumentare l’energia e la performance durante il giorno. La piccola Judy anela ad un attimo di normalità mai concessale, ma è anche piena di passione ed energia e quando guarda un palcoscenico ha gli occhi che le brillano.
Judy Garland appartiene a quella generazione di giovani promesse, come Shirley Temple, in maniera non tanto diversa Marilyn Monroe, che diventavano “proprietà” delle case di produzione, che ne governavano interamente la vita, imponendo un modello di perfezione irreale e deleterio, che le generazioni odierne di attrici hanno cominciato a combattere, capitanate da Jennifer Lawrence che brandisce una pizza. Sono donne che, per sposare la propria passione, hanno pagato un prezzo durissimo.
Film che esplorano il dietro le quinte di leggende della musica e del cinema stanno piacendo molto sia agli autori che al pubblico (basta citare gli ultimi Bohemian Rapsody e Rocketman) e, forse, è un bene. Ridimensionare la visione che abbiamo dei divi, scoprire che sono anche loro esseri umani pieni di demoni da combattere, può servire a mitigare la spasmodica ricerca di una perfezione che non esiste, neanche in quelle che crediamo vite dorate.
Renée Zellweger è il cuore di questo film. Anzi, è il film. La sua interpretazione va oltre ogni immaginazione e le è già valso il Golden Globe e il SAG Award ed è in corsa per l’Oscar. Ha svolto un lavoro fisico, vocale ed emotivo titanico. Nell’entrare nelle scarpette rosse di Dorothy, l’attrice si è messa più che mai alla prova, affrontando le proprie insicurezze insieme a quelle della Garland. C’è sempre un certo timore riverenziale quando si deve interpretare un personaggio così significativo. Renée Zellweger ne aveva tanto che, rivela il regista, alcune canzoni le hanno registrate dal vivo, ma senza poterglielo dire per l’ansia che nutriva.
Con la sua emozionante performance Renée non solo ha reso onore alla grande donna che era Judy Garland, ma anche a se stessa, facendo in modo che la gente ricominciasse a parlare di lei non per il cambiamento del suo aspetto fisico, ma per il suo essere un’attrice eccezionale. Voto: 7
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Maggio 2023
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