<<Né con te né senza di te>>, questa l’epigrafe che la dolce signora Odile (Veronique Silver) ha pensato per l’ipotetica tomba di due amanti, trovati morti uno vicino all’altro.
La signora della porta accanto (1981) è un film di F. Truffaut (ispirato alla storia d’amore del regista con Catherine Denevue), in cui sono presenti e indagati con sensibilità e spessore i tratti della fenomenologia amorosa e del suo dispiegarsi verso il patologico: dal risveglio del sentimento, al ritorno della passione, fino alla follia e alla morte. Un amour fou, totale che preferisce annientarsi piuttosto che patire un nuovo e insopportabile distacco. Odile osserva le vicende che si svolgono in sei mesi attorno al circolo di tennis che gestisce, con la vivacità e l’acutezza di una donna che porta sul suo corpo i segni di un amore disperato, per il quale aveva tentato il suicidio venti anni prima. Il destino fa del suo meglio per riavvicinare Bernard (G. Depardieu) e Mathilde (F. Ardant). I due si sono amati vicendevolmente, si sono fatti del male e adesso vivono entrambi una nuova vita, apparentemente felice e soddisfacente. Bernard, 32 anni, è sposato e padre di un bambino. Mathilde si è da poco sposata con un uomo più grande. La tranquillità delle rispettive esistenze si interrompe bruscamente con l’arrivo di Mathilde, la femme d’à côté, una donna <<tenebrosa, di quelle donne che cercano sempre il pelo nell’uovo>, lei, che otto anni prima aveva deciso di troncare un rapporto insano, che stava facendo male ad entrambi. Un inizio coinvolgente con la narrazione in apertura di Odille che guarda direttamente in camera da presa, per un film che si sviluppa attraverso un lungo flashback. La tensione dell’inizio- l’urgente e ossessiva necessità di Mathilde di incontrare Bernard- si stempera una volta che la passione divampa tra i due per poi ripresentarsi avvicinandosi al tragico finale, pervaso da un’atmosfera inquietante, quasi hitchcockiana
Il film vede un capovolgimento del modo di mostrarsi e di interagire dei due amanti: nella prima parte Mathilde è in balia di emozioni incontrollabili, le basta sfiorare le labbra di Bernard per perdere i sensi e svenire. Nella seconda parte, la situazione è gestita con apparente migliore controllo e distacco dalla donna, mentre l’uomo è completamente offuscato dall’amore, tanto da diventare folle, una volta scoperto che Mathilde partirà per il viaggio di nozze col marito.
L’epilogo drammatico della pellicola ha un oscuro e velato presagio: un disegno che Mathilde realizza per un volume di fumetti per bambini, in cui un bimbo è disteso per terra in una pozza di sangue. La donna, esausta di fingere un controllo e una razionalità che non ha, lascia cadere la maschera. Si scopre depressa, malata di un amore a sua volta malato, che la consuma, perché fuori tempo. E quale soluzione se non l’annullamento di se stessi, dei propri ricordi, rimpianti e sensi di colpa in una fusione definitiva con l’oggetto del proprio desiderio ed amore?
All’interno di un milieu tipicamente borghese, un amore malato ed estremo che acceca, consuma, che annulla. Truffaut con maestria e senza scadere nel feuilleton indaga a fondo la psicologia di due amanti, mettendo a fuoco sentimenti ed emozioni, a cui non sempre decide di abbinare le parole, che trovano senso ed espressione nel non-detto, tramite i volti e i gesti dell’inquieta F. Ardant e del turbato G. Depardieu. Il regista riesce a dare una grande potenza drammatica ad una storia già sentita, impreziosita dal lungo flashback e dalla narrazione diretta al pubblico in sala, a cui Odille, malinconica, rivolge sul finire le ultime amare considerazioni.
Immagini tratte da:
- boxofficestory.com - lab80.it - lab80.it
0 Commenti
Lascia una Risposta. |
Details
Archivi
Marzo 2023
Categorie |