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3/4/2016

Laura Morante, tra teatro, regia e Assolo

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​di Salvatore Amoroso

​Martedì 29 Marzo il Cinema Arsenale di Pisa ci ha permesso d'incontrare la meravigliosa e talentuosa attrice e regista: Laura Morante. Quest'ultima è stata invitata dal noto cinema pisano per presentare il suo ultimo lavoro: Assolo, del quale non è solo protagonista ma è anche autrice e soprattutto per la seconda volta regista. Quest'evento è stato possibile grazie all'iniziativa de Il Cinema Arsenale che, nel mese di Marzo si è tinto di rosa, offrendoci un ciclo di appuntamenti ricco di proiezioni e prime visioni tutte dedicate all'universo femminile. IlTermopolio vi augura con grande orgoglio una buona lettura e vi dà appuntamento al prossimo incontro cinematografico.
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D: Da dove nasce l'idea per il suo ultimo film: Assolo?
 
R: Diciamo che l'idea come spesso accade è mia e di Daniele Costantini. Volevamo raccontare una donna che affrontava con enormi difficoltà lo scoglio della vita da single, dopo essere stata più volte sposata, aver avuto varie relazioni e due figli che sono successivamente usciti di casa. In seguito c'è stato un lungo periodo durante il quale abbiamo continuato ad accumulare materiale per la pellicola,  tutto abbastanza buono, però non riuscivamo a trovare una forma giusta. Non riuscivamo a trovare la chiave perché la pellicola possiede varie componenti, è un film umoristico ma in qualche modo divertente, ci sono umori e sensazioni molto diversi. Io stavo per arrendermi, ho detto a Daniele Costantini che non ce l'avrei fatta, che non riuscivo a trovare il modo di raccontare questa storia. Mi ero detta: ''Pazienza, ne racconteremo un'altra'', ma lui mi disse di provare ancora una settimana, nonostante fossimo fermi da mesi. Probabilmente avevo bisogno di quest'atto di fiducia per sbloccarmi e appunto in quella settimana mi sono sbloccata e siamo riusciti ad arrivare fino in fondo.
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​D: Com'è stato dividersi tra questi tre ruoli: autrice, regista e protagonista?
 
R: Ovviamente non è semplicissimo, anche per questo ho voluto che Daniele fosse sempre presente sul set, perché era un po' il mio sguardo, diciamo: lui sapeva che cosa io volevo dal ruolo e dopo ogni ciak andavo a chiedere che cosa pensava di quello che avevo fatto. Il lavoro doppio di regista e attore è diventato semplice da quando è nato il monitor, vale a dire da parecchi anni ormai. Col monitor riesci a controllare tutto, un tempo era più complicato perché uno vedeva il materiale a disposizione soltanto una volta ogni 4-5 giorni, quando ormai le scene erano girate. Invece adesso c'è questa verifica immediata che rende le cose più semplici psicologicamente, perché vedersi non è affatto indolore (ride).
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​D: Come mai questa scelta di cimentarsi nella regia?
 
R: La prima volta, con il film precedente, Ciliegine, non è stata una mia idea, è stata un'idea del produttore, che è francese, ed il film appunto è francese all'80%; questo invece è interamente italiano. Dovevamo cercare un regista e lui aveva comprato i diritti della sceneggiatura e ad un certo punto mi ha proposto di fare la regia. Io, lì per lì, non ero tanto propensa, poi alla fine mi ha convinto e il film in Italia è stato accolto bene. La seconda volta, con Assolo, invece è partita da me, ho voluto farla io, ho scritto la sceneggiatura con Daniele Costantini e sì, posso affermare, che questo è un progetto che ho voluto fortemente.

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​D: Che cosa ne pensa del panorama cinematografico nazionale?
 
R: Io purtroppo col fatto che sono stata molto immersa nel lavoro, prima le preparazioni, poi le riprese e dopo il montaggio, non ho avuto molto tempo a disposizione. Ci sono moltissimi film italiani che non ho visto e devo recuperare, come ad esempio 'Lo chiamavano Jeeg Robot', quindi sono un po' impreparata in questo momento per parlare del cinema italiano.
 
D: Che consigli si sente di dare ai giovani registi che vogliono intraprendere questa strada?
 
R: La prima cosa che posso dirvi è essere molto tenaci e pazienti perché non è per niente semplice (ride). Perseverate e non lasciate nulla al caso.
 
D: Sappiamo che lei ha lavorato e lavora molto in Francia, ci può dare la sua opinione tra questi due tipi di cinema, italiano e francese appunto?
 
R: Io preferisco distinguere per individui piuttosto che per razze o per religioni. Penso di aver incontrato molte persone a me affini in Francia e a cui mi sono sentita affine, come ne ho incontrate altrettante in Italia e come ne ho incontrate altrove. Ho lavorato prevalentemente in Francia ma ho anche lavorato in Portogallo, dove ho fatto quattro film, ho lavorato in Spagna, in Svizzera e in Argentina. Ho cominciato da subito a girare in Romania, perché facevo un cinema che si chiamava “Cinema d'autore”, una definizione che adesso è ormai un po' stantia, ma un tempo esisteva ed era un cinema che girava nei festival e quindi venivo molto spesso chiamata a lavorare all'estero. Poi in Francia ci ho vissuto dieci anni e chiaramente ci ho lavorato di più.


D: Il suo rapporto con il teatro? Cosa le dà di diverso rispetto al cinema?
 
R: A me tutti gli attori rispondono: “il rapporto col pubblico”. Il che non è falso, però devo dire che per me la differenza più forte è il rapporto col testo, mi piace molto forse perché ho una formazione più letteraria che non cinematografica, infatti nel cinema manca un po' l'intensità del rapporto con il testo che invece nel teatro ovviamente c'è. Nel teatro si prova, quando si può per mesi, e quindi si sviscera tutto, a me ad esempio piace proprio il periodo delle prove. I miei colleghi mi prendevano sempre in giro perché io volevo che le prove continuassero in eterno, non volevo mai andare in scena. Le tournée sono una cosa molto faticosa ma bella! Perché è bellissimo girare e scoprire posti nuovi, fondamentalmente posso dire che il teatro è la mia seconda casa. 
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Le foto sono di Eva Dei

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