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3/6/2018

Lazzaro Felice: la recensione

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La fiaba della regista Alice Rohrwacher, che ha letteralmente stregato Cannes. In sala dal 31 maggio.
di Salvatore Amoroso
Foto
Titolo originale: Lazzaro Felice                     
Paese di produzione: Italia, Svizzera, Francia, Germania
Anno: 2018
Durata: 130’
Genere: drammatico
Regia: Alice Rohrwacher
Sceneggiatura: Alice Rohrwacher
Distribuzione: 01 Distribution
Fotografia: Hélène Louvart
Cast: Adriano Tardiolo (Lazzaro); Alba Rohrwacher (Antonia adulta); Nicoletta Braschi (marchesa Alfonsina De Luna); Luca Chikovani (Tancredi ragazzo); Sergi Lopez (Ultimo); Natalino Balasso (Nicola); Tommaso Ragno (Tancredi adulto).

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​Lazzaro è l’ultimo degli ultimi, considerato il più sciocco e sognatore di una comunità chiusa e semi-autosufficiente che vive in una località appartata da tutto e tutti, l’Inviolata, tenuta dalla marchesa De Luna in un sistema di mezzadria che assomiglia al servaggio totale, a coltivare tabacco. Un giorno Tancredi, il figlio adolescente della nobildonna, simula un auto-rapimento e così facendo involontariamente fa scoprire ai carabinieri l’esistenza di questa gente così priva di diritti e lontana dalla “civiltà”. Intanto Lazzaro, che di Tancredi si crede amico e fratellastro, precipita rovinosamente in una scarpata. È morto? Incredibilmente no, ma ancor più incredibilmente quando si risveglia si ritrova in un futuro decine di anni più avanti, con gli amici, quelli rimasti, invecchiati in una enorme metropoli a vivere di espedienti. Ma il ragazzo, nella sua candida sprovvedutezza, ha qualcosa di fatato che lo protegge e riesce a ricongiungersi con la sua amica Antonia che ora convive con Ultimo, ladro-rigattiere. Inoltre, ritroverà anche Tancredi, invecchiato ma ancora capace di provocare stupidamente guai con la sua condotta sconsiderata.
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​Una favola divisa praticamente in due parti. Nella prima siamo immersi in una civiltà contadina, in uno spazio tempo quasi separato dal resto dell’Italia, con i suoi riti antichi, le serenate d’amore, le bevute (“chi beve solo se strozza!”), il rancore sociale che si sfoga in piccoli gesti (“Voi siete il vero vino, il vero pane!” “È per questo che ci togliete il pane dalla bocca!”); un’ignoranza del mondo mescolata a una saggezza ruspante che poi ci farà quasi pensare, una volta che verranno affrancati dalla forza pubblica e sbattuti nel mondo contemporaneo, “ma ne valeva la pena di rinunciare a quella schiavitù per esseri liberi in questo modo?”, cioè come dice la meschina marchesa Nicoletta Braschi: “Gli esseri umani sono come bestie, animali. Liberarli vuol dire renderli consci della propria condizione di schiavitù”. La seconda parte invece è cittadina, decisamente da favola (e altrettanto decisamente più debole) con Lazzaro (Adriano Tardiolo), sorta di anima candida protetta dalla “divinità della natura” (sintetizzata nella figura di un lupo), che con la sua incosciente disponibilità attraversa la miseria e la meschinità, possedendo virtù quasi magiche, “santo folle” destinato a stupire e a essere incompreso.
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​La dote migliore della regista Alice Rohrwacher, cineasta con predisposizione alle storie mistiche (il sorprendente Corpo Celeste, il bizzarro Le Meraviglie) è la mano delicata che si fa particolarmente felice nell’osservazione e nel singolo episodio, il difetto è che sembra non essere completamente sicura delle doti di comprensione del pubblico e quindi tende a sottolineare eccessivamente (di significati, di accenti e di simboli) quello che sta raccontando. Accuratissimo il mix del cast degli interpreti con professionisti, deliziosa questa volta la sorella Alba e volti inediti e forti per lo schermo. Il premio a Cannes per la sceneggiatura, sia pure ex aequo con il sommo Jafar Panahi (3 Faces) è meritato e lascia presagire ottime sensazioni per un ritorno del cinema indipendente italiano. 
​Immagini tratte da:
Locandina: Coming Soon
Immagine1: IlFattoQuotidiano.it
Immagine2: Moviestruckers.com
Immagine3: Repubblica.it

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