Liberamente ispirato alla vita della femminista Annabella Miscuglio (1939-2003), l’omaggio di Emanuela Piovani nel film L’età d’oro (2016).
Un puzzle che si compone poco per volta le cui tessere si aggiungono una dopo l’altra lentamente, così come lentamente si ricompone il quadro dei ricordi e del vago passato mai veramente saputo di un giovane uomo, il cui nome è Sid. È attraverso i suoi occhi che ci facciamo strada tra le strade di Monopoli fino a giungere alla canonica, dove vive l’anziana madre Arabella.
L’età dell’oro (2016) per la regia di Emanuela Piovano è un film poetico, ispirato alla vita della femminista leccese Annabella Miscuglio (Lecce, 4 novembre 1939 – Roma, 23 febbraio 2003). Di lei, attraverso i filmati proiettati all’interno del cineclub che ha sempre gestito, Piovano realizza un ritratto che, frammento dopo frammento, definisce la figura della donna come regista, autrice, madre, ma soprattutto come essere umano.
Un rapporto conflittuale quello con il figlio. Un bambino cresciuto in fretta, alle prese con dei genitori artisti ed anticonvenzionali, con una madre eccentrica capace di mostrare anche la vita privata all’interno dei propri lavori cinematografici. Un adulto arrabbiato, incapace di rimarginare le ferite di un passato di cui non accetta la separazione dei genitori così come la spettacolarizzazione della sua stessa esistenza e i comportamenti dell’incomprensibile madre.
Una vera e propria corte intorno alla figura di Arabella, interpretata da una Laura Morante più che mai espressiva e malinconica che intesse un commovente dialogo con il figlio. È ombra, ricordo, immagine e voce che riecheggia nelle stanze e nella sua arena, ormai vuota.
Un film malinconico, girato in una Monopoli grigia in cui anche il mare sembra piangere la morte di Arabella. Pochi i dialoghi, in un film silenzioso in cui le immagini dei documentari della donna trasmettono l’idea del suo passato, delle sue idee e del suo impegno. È proprio attraverso un documentario che Arabella indirizzerà l’ultimo e più vero messaggio d’amore al figlio. Un bilancio, senza filtri, in vita come in morte, di fronte ad un’arena di nuovo piena. L’amore per il cinema e la sua capacità di far immaginare un mondo diverso, la libertà, l’innocenza, la meraviglia, la poesia, i ricordi. Parole vive e vissute che rimangono l’insegnamento di una mamma fuori dagli schemi al proprio figlio. Anche se lui non ci sarà. Ma è come se ascoltasse. Di spalle, ciclicamente, come all’inizio della pellicola, lo vediamo ritornare a casa in auto forse finalmente riappacificato con le proprie radici e riappropriatosi di una parte di sé che aveva smarrito.
Immagini tratte da:
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Gennaio 2021
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