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29/10/2017

Mindhunter

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di Federica Gaspari
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PAESE: Stati Uniti
ANNO: 2017
GENERE: thriller, drammatico
STAGIONE: 1
EPISODI: 10
DURATA: 34-60 min
IDEATORE: Joe Penhall
REGIA: David Fincher, Asif Kapadia, Tobias Lindholm, Andrew Douglas
SCENEGGIATURA: Joe Penhall, Ruby Rae Spiegel, Dominic Orlando, Jennifer Haley, Erin Levy, Carly Wray
 ATTORI: Jonathan Groff, Holt McCallany, Anna Torv, Hannah Gross, Cotter Smith
PRODUZIONE: Denver and Delilah, Jen X Productions, Panic Pictures / No.13

Serial Killer, omicida seriale: suoni pericolosi, termini entrati nell’immaginario collettivo soprattutto grazie agli innumerevoli prodotti televisivi di genere investigativo e, purtroppo non raramente, a servizi del telegiornale. Questo binomio, nella sua forma anglosassone e non, a ogni nuova pronuncia diventa sempre più raggelante. Il suo grande utilizzo, però, lo ha reso un’etichetta oltre cui difficilmente ci si addentra se non per fare un po’ di audience nei talk show.
Cosa c’è dietro a esso? Come nasce e cosa vuole indicare? Il più recente successo Netflix, con David Fincher e Charlize Theron, vola negli anni Settanta per seguire un insolito gruppo di agenti dell’FBI alle prese con l’identificazione di una nuova tipologia di criminali: gli assassini seriali. Alla vigilia della pubblicazione dei 10 episodi della prima stagione, considerato il prestigioso background cinematografico di Fincher, c’erano grandi aspettative nell’aria.
 
Basato sull’omonimo libro di Mark Olshaker e John E. Douglas, Mindhunter si avventura nelle vite di due agenti, il giovane Holden Ford (Jonathan Groff) e il più esperto Bill Tench (Holt McCallany), che, insieme alla psicologa Wendy Carr (Anna Torv), elaborano un nuovo innovativo approccio per le investigazioni sui più efferati crimini: attraverso diversi incontri con spietati killer rinchiusi in prigione, i protagonisti cercano di ricostruire le dinamiche che hanno portato a epiloghi tanto crudeli quanto disumani. Ai piani alti all’FBI, però, questi metodi sperimentali potrebbero sembrare pure e semplici perdite di tempo: un assassino è un assassino, niente di più, niente di meno. Le complicazioni della vita privata di ogni personaggio, inoltre, non aiutano la riuscita di un’operazione complessa e spesso ostacolata. 
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La crescente e martellante distribuzione di serie di genere thriller/poliziesco ha abituato il pubblico a un consumo disattento e superficiale, incapace spesso di superare la basilare struttura di procedural. Rievocando il suo gioiellino incompreso Zodiac, Fincher, alla regia anche di quattro episodi dello show Netflix, sfida questa diffusa concezione mettendo in scena un’evoluzione articolata e sconvolgente in ogni suo aspetto. È una sfida, tuttavia, diretta soprattutto allo spettatore che, comodamente seduto sulla sua poltrona, diventa protagonista lasciandosi catturare dalle situazioni, dalle difficoltà e dalle conquiste del gruppo protagonista attraverso lunghi e avvolgenti dialoghi, non facili e prevedibili immagini della spietatezza dei criminali interrogati. Inizialmente, gli ostacoli per Ford non sono pochi. Parallelamente lo spettatore, ai primi due episodi, si sente confuso, disorientato e sopraffatto poichè ciò a cui assiste è completamente diverso da quanto atteso: bisogna immergersi senza paura per comprenderlo.
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In un’epoca in cui molti tabù iniziano a crollare, il personaggio di Ford mette in luce, con estrema freddezza, il lato nascosto di quelli che in precedenza erano semplici criminali come tanti altri. Jonathan Groff nei panni del protagonista mette in scena le sue difficoltà nel muoversi in un ambiente delicato, visto di cattivo occhio dai colleghi. L’evoluzione del suo personaggio è affascinante: da moderato e pacato negoziatore, l’agente diventa unica possibile guida nella mente di spietati omicida. La sua lucidità viene messa a dura prova: le più piccole crepe potrebbero essere fatali nella sua vita. A Holden viene affiancato un Holt McCallany più esperto e disilluso: i suoi tentativi nell’intrecciare sociologia e criminologia si sono spesso rivelati fallimentari. La razionalità del gruppo risiede nella figura di Wendy, interpretata splendidamente dall’algida Anna Torv, avvolta dal mistero e ancora da esplorare, probabilmente, con la seconda stagione.
Mindhunter, con la sua cura per i dettagli sia nella narrazione che nelle scenografie e nella messa in scena, è un prodotto che richiede attenzione instillando nella mente del pubblico una buona dose di curiosità a tratti macabra. Uno degli show più riusciti dell’anno.

 
Immagini tratte da:
Immagine 1 - http://www.cinechronicle.com/
Immagine 2 e 3- https://www.cinematographe.it/

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