di Matelda Giachi
La recensione
![]()
Genere: Drammatico
Anno: 2019 Regia: David Fincher, Andrew Dominik, Carl Franklin Cast: Jonathan Groff, Holt McCallany, Anna Torv, Stacey Roca, Joe Tuttle, Michael Cerveris, Lauren Glazier, Albert Jones, Sierra McClain Produzione: Denver and Delilah, Jen X Productions Inc. Distribuzione: Netflix Paese: Usa
Il termine “serial killer” nasce negli anni ’70; se ne attribuisce la paternità al detective dell’FBI Robert K. Ressler, che ha ispirato la figura di Bill Tench protagonista di Mindhunter. La stessa serie Netflix si ispira ad un libro scritto da due ex agenti del Bureau.
Nella prima stagione abbiamo visto come i detective Bill Tench e Holden Ford, rispettivamente interpretati da Holt McCallany e Jonhatan Groff, attore di Glee ma soprattutto di Broadway, abbiano con fatica dato origine ad una sezione dell’FBI che si occupa di studiare la mente di pluriomicidi tramite interviste ad individui già incarcerati, al fine di agevolarne la cattura tramite comprensione e anticipazione del comportamento.
La seconda stagione, rilasciata da Netflix il 16 agosto, ha il pregio di non essere solo un seguito, ma un’evoluzione della precedente. Sulla base dei primi 10 episodi costruisce ulteriori strutture narrative, prendendo una piega nuova. Prima di tutto, finalmente qualcuno inizia a credere nel progetto facendone il proprio investimento. Sarà un interesse reale o dettato dal possibile risvolto di immagine e di carriera che si legherebbe al suo successo? Mentre le interviste continuano portando all’incontro con criminali del calibro del figlio di Sam e di Charles Manson e seguaci, è giunto anche il momento di scendere sul campo e applicare quello che si è imparato finora, con tutti gli errori, le imprecisioni e lo scetticismo e l’ostruzionismo con cui ogni uscita dagli schemi prestabiliti è destinata a scontrarsi.
Un incrocio tra una sorta di documentario e la serie tv: forse è questo il vero punto di forza di Mindhunter che conquista lo spettatore. Personaggi fittizi ma ispirati a persone reali che si muovono all’interno di un pezzo di storia del crimine e della lotta ad esso. Con questo script a metà tra realtà e finzione, gli ideatori della serie portano i loro detective ad Atlanta. Qui, tra il 1979 e il 1981, si sono verificate almeno 28 uccisioni di bambini e adolescenti di colore. L’indagine finisce per essere il filo conduttore dei nuovi nove episodi, nel quale si inseriscono senza difficoltà momenti in cui si approfondiscono invece le vite dei tre protagonisti principali, le loro relazioni e problematiche personali.
Sembrava impossibile eguagliare la qualità della prima stagione, soprattutto perché, al di là della storyline centrale che unisce gli episodi, le serie di genere crime tendono a diventare ripetitive. Ma Mindhunter non cade nel tranello e anzi cresce e si conferma il migliore prodotto originale Netflix eguagliabile forse solo da Narcos.
Ogni cosa è portata avanti con scrupolo e intelligenza. Impressionante la somiglianza raggiunta nel riportare in più famosi criminali del tempo, almeno quanto l’eccellenza interpretativa di ogni membro del cast. Ad una struttura narrativa solida e capace di tenere col fiato sospeso, dove niente è scontato e prende la direzione immaginata, si aggiunge la genialità di un finale che lascia aperte tutte le domande. E con esse, non solo la curiosità dello spettatore, ma anche l’invito a un rinnovo quanto meno per una terza stagione, che sembra promettere di portare avanti le vicende di Bill e Holden ancora una volta in maniera diversa. Nel frattempo, il caso degli omicidi di Atlanta non è ancora stato chiuso. Voto: 9
0 Commenti
Lascia una Risposta. |
Details
Archivi
Giugno 2023
Categorie |