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2/10/2016

Mine vaganti

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di Maria Luisa Terrizzi

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DATA USCITA: 12 marzo 2010
GENERE: Drammatico
ANNO: 2010
REGIA: Ferzan Ozpetek
ATTORI: Riccardo Scamarcio, Alessandro Preziosi, Nicole Grimaudo, Lunetta Savino, Ennio Fantastichini, Elena Sofia Ricci, Carolina Crescentini, Ilaria Occhini, Daniele Pecci, Massimiliano Gallo, Bianca Nappi, Paola Minaccioni, Matteo Taranto, Carmine Recano, Gea Martire, Crescenza Guarnieri
SCENEGGIATURA: Ferzan Ozpetek, Ivan Cotroneo
FOTOGRAFIA: Maurizio Calvesi
MONTAGGIO: Patrizio Marone
MUSICHE: Pasquale Catalano
PRODUZIONE: Fandango
DISTRIBUZIONE: 01 Distribution, Fandango
PAESE: Italia
DURATA: 110 Min
Tommaso (Riccardo Scamarcio) rivela al fratello Antonio (Alessandro Preziosi) l’intenzione di confessare alla famiglia di non aver mai studiato economia, di essere uno scrittore e di essere gay, con la precisa speranza di venire allontanato e di poter, finalmente libero, vivere la propria vita a Roma. La famiglia Cantone gestisce l’omonimo pastificio a Lecce e Vincenzo (Ennio Fantastichini), il capofamiglia, desidera che i figli lo affianchino nella gestione dell’attività. Antonio, a sorpresa,  batte sul tempo il fratello e confessa prima di lui la propria insospettabile omosessualità. Mine Vaganti è un film del 2010 (vincitore di cinque Nastri d’Argento e del Premio speciale della Giuria al Tribeca Film Festival) diretto da Ferzan Ozpetek che racconta la storia di un microcosmo famigliare entro il quale si riflettono pregiudizi e cliché nei confronti dell’omosessualità (per esempio la speranza che sia una malattia e per giunta curabile) e si delinea uno scarto tra l’immagine ideale cucita addosso ai propri figli e le persone che essi veramente sono, con la conseguente ed inevitabile delusione delle aspettative familiari e sociali.
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Un film con un bel ritmo in cui si ride, ma non solo. L’ottusa e ridicola cecità di  mediocre borghese conduce Vincenzo a non accorgersi dell’omosessualità di entrambi i figli e a preoccuparsi esclusivamente delle reazioni della gente, dalla quale crede ossessivamente si essere deriso. Antonio è gay e Vincenzo lo ha cacciato di casa: non gli importa nulla della felicità del figlio, conta solo l’onta, la macchia indelebile che ha sporcato l’onorabilità della stimata famiglia Cantone e che gli procura peraltro un infarto.

A controbilanciare la grettezza del personaggio interpretato da Fantastichini- che pure riesce con le sue paranoie da moralista benpensante a risultare tragicomico- una splendida Valeria Occhini nei panni della nonna, figura poetica e delicata, che ha un rapporto complice e speciale con i nipoti. La nonna porta sul proprio cuore il peso di un amore impossibile, quello nei confronti del cognato Nicola. Una sofferenza durata tutta la vita che ha fatto di lei una persona diversa: sensibile, comprensiva e anticonvenzionale, amante della libertà quanto dei sensi, convinta che <<se non si sbaglia per contro proprio, non vale la pena di vivere>>. Suggestivo l’espediente narrativo attraverso cui sono affiancate alle scene del presente della storia l’immaginario itinerario di una sposa. La donna piangente vestita di bianco è la nonna mentre Nicola la conduce dal futuro marito attraverso un assolato paesaggio  pugliese. Non capiamo subito si tratti di lei, lo intuiamo dai racconti della donna durante il film, che da lei prende il nome. Mina vagante è qualcuno che crea disordine, scombina e cambia i piani. E così è la donna, che riesce con un gesto drammatico  a riunire attorno a sé la propria famiglia, compreso il nipote Antonio.
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Attorno alle figure antitetiche di Vincenzo e della madre, ruotano una serie di personaggi e situazioni di vario registro e spessore. La malinconica e solitaria Alba, innamorata di Tommaso, la strampalata zia Luciana, l’incredula madre Stefania, la sminuita figlia femmina, la servitù e gli effeminati amici gay di Tommaso. Questi ultimi, omosessuali volutamente caricaturali, regalano siparietti comici nel maldestro tentativo di dissimulare l’evidente orientamento sessuale.
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La vita di Antonio e Tommaso è una vita a metà fino a quando non riescono ad essere chi veramente sono, fuoriuscendo dalla trappola in cui la famiglia li ha relegati. Pur trattando tematiche di un certo livello, il film riesce ad alternare e a dosare registro drammatico e toni più leggeri. Il ritratto parodistico del pater familias sintetizza il perfetto adeguamento ad una morale sociale ipocrita  che, al polo opposto, si scontra con l’apertura mentale della non più giovane madre, in possesso di una visione nitida e privilegiata circa la possibilità di un’esistenza felice. Affascinante è la scelta di una chiusura corale: i personaggi ballano  formando coppie insolite in cui passato e presente, reale ed immaginario si mescolano e si sfiorano sulle note di Sezen Akasu, una danza dai ritmi balcanici che include ogni differenza.


  Immagini tratte da:

- Immagine 1 da iodonna.it
- Immagine 2 da duaslibras.wordpress.com
- Immagine 3 da apuliafilmcommission.it
- Immagine 4 da film.tv.it

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