di Salvatore Amoroso
Ispirato al libro “Moneyball: The Art of Winning an Unfair Game” di Michael Lewis che tratta la vera storia di una squadra di baseball, gli Oakland Athletics, "L’arte di vincere" è uno dei migliori film d’argomento sportivo che riesce a coniugare una precisa ricostruzione storica con l’analisi di certe trame esistenziali. ![]()
Genere: drammatico
Anno: 2011 Regia: Bennet Miller Attori: Brad Pitt (Billy Beane), Jonah Hill (Peter Brand), Philip Seymour Hoffman (Art Howe), Robin Wright (Sharon), Chris Pratt (Scott Hatteberg), Stephen Bishop (David Justice), Reed Diamond (Mark Shapiro) Sceneggiatura: Aaron Sorkin, Steven Zaillian Fotografia: Wally Pfister Musiche: Mychael Danna Montaggio: Christopher Tellefsen Distribuzione: Sony Pictures Italia
In un periodo come questo dove tutte le nostre certezze sono state azzerate c’è bisogno di storie come ‘’Moneyball’’. Molti lo scambieranno solamente per un film "sportivo", una pellicola sul baseball che arriva dagli Usa, di fatto irricevibile da qualsiasi altro pubblico al di fuori della patria. Non è così. Il saper perdere può insegnarci tanto, dalla sconfitta possiamo ottenere il meglio di noi stessi. La sequenza della partita decisiva, che qui è spezzata in un anti climax, fugace apparizione di ombre, osservata da un costernato Brad Pitt all'interno degli spogliatoi è una delle cose più toccanti che potete ammirare nel cinema contemporaneo. "Moneyball" è un'opera speculare e gemella al "The Social Network" di Fincher, non solo perché firmata da uno degli sceneggiatori (Aaron Sorkin) di quel film, ma poiché ne prosegue la disamina, complessa e pessimista, sulle tante sfaccettature del Sogno americano, sul progresso e l'avanzare del capitalismo. "Come si fa a non essere romantici con il baseball?" si chiede uno dei protagonisti del film. Eppure la pellicola di Bennet Miller (regista dell'ottimo "Truman Capote - A Sangue Freddo") pare interrogarsi su un presente in cui il romanticismo e i sentimenti hanno abbandonato lo sport così come ogni altro ambito dell'agire umano.
"L'arte di vincere" dice il titolo italiano, ma forse sarebbe più corretto "La scienza di vincere", perché è proprio così che il general manager Billy Beane interpretato da un magistrale Brad Pitt, aiutato dallo scaltro analista Peter Brand ovvero Jonah Hill, in uno dei ruoli più sorprendenti della sua carriera, cerca di mettere in piedi la sua squadra "perfetta". Con l'ausilio di un software per computer che calcola la percentuale di basi raggiunte da tutti i giocatori della Major League, Beane riesce a massimizzare le ristrettezze del budget della propria squadra, scandalosamente inferiore a quello di altri team, utilizzando giocatori aprioristicamente scartati e sottovalutati da altri per deficit fisici o comportamentali. E questo nonostante opposizioni e sberleffi di colleghi e amici. "Dobbiamo comprare vittorie, non giocatori" gli consiglia il giovane statista, e difatti Beane ha l'intuizione giusta, comprende che il gioco può essere frutto di un calcolo, di una previsione matematica. Nell'agire del GM degli Oakland's Athletics si nascondono i germi di un nuovo modo di intendere lo sport e il futuro, così come in quello di Zuckerberg e i suoi amici nerd, forse inavvertitamente e involontariamente, si profilava una nuova concezione del capitalismo globale. "Adattarsi o morire", come sentenzia Beane ad un certo punto. E le altre squadre hanno seguito il suo esempio a ruota.
Il film di Miller sfugge al contempo ai classici meccanismi del biopic, concentrandosi pochissimo sul lato umano e "privato" dei suoi protagonisti. Beane come il suo aiutante Brand sembrano vivere solo per il loro lavoro, costantemente impegnati sul campo da gioco o in angusti uffici trattando la compravendita di nuovi giocatori con altre squadre. Non ci è dato sapere molto sulla loro vita o il loro passato. Beane ha un divorzio alle spalle e una figlia che vede qualche volta, ma il suo volto rassegnato e i suoi occhi esplicano più di tante immagini. "Moneyball" è un racconto di formazione adulto e privo di sensazionalismi, in cui si impara a convivere con sé stessi e con il fallimento. Il fallimento nei propri affetti, nella propria carriera da battitore, il fallimento nel vedere la propria squadra perdere poco dopo aver assaporato il gusto della vittoria. "Sei un perdente papà" canta la figlia a Billy nel finale. Ma noi, come il protagonista, siamo consapevoli che la Storia e il presente, si sono formati anche grazie alle intuizioni di "perdenti" come Beane o nerd antipatici come Zuckerberg.
Immagini tratte da:
Locandina: MyMovies Immagine1: ScreenWeek.it Immagine2: ComingSoon.it Immagine3: ComingSoon.it
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Marzo 2023
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