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7/1/2018

Morto Stalin, se ne fa un altro: la recensione

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Armando Iannucci torna al cinema con l'adattamento di una graphic novel francese sul vuoto di potere creatosi in Unione Sovietica dopo la morte di Stalin. In concorso al 35mo Torino Film Festival e in sala dal 4 gennaio.
di Salvatore Amoroso
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Titolo originale: The Death of Stalin   
Paese di produzione: UK, Francia, USA
Anno: 2017
Durata: 106'
Genere: commedia, drammatico
Regia: Armando Iannucci
Sceneggiatura: Armando Iannucci, David Schneider, Ian Martin, Peter Fellows
Distribuzione: I Wonder Pictures
Fotografia: Zac Nicholson
Montaggio: Peter Lambert
Colonna sonora: Christopher Willis
Scenografia: Cristina Casali
Cast: Steve Buscemi (Nikita Kruščëv); Simon Russell Beale (Lavrentij Berija); Paddy Considine (Compagno Andrjev); Michael Palin (Vjačeslav Molotov); Jeffrey Tambor (Georgij Malenkov); Jason Isaacs (Georgij Žukov); Rupert Friend (Vassilij Stalin); Olga Kurylenko (Maria Judina).

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​La sera del 28 febbraio del 1953 Radio Mosca diffonde in diretta il "Concerto per pianoforte e orchestra n.23" di Mozart. Toccato dall'esecuzione che ascolta nella sua dacia di Kountsevo, Joseph Stalin chiede una registrazione. Ma nessuna registrazione era prevista per quella sera. Paralizzati dalla paura, direttore e orchestra decidono di ripetere il concerto. Tutti tranne Maria Yudina, la pianista che ha perso famiglia e amici per mano del tiranno. Convinta a suon di rubli, cede, suona e accompagna il disco con un biglietto insurrezionale. L'orchestra si vede già condannata al gulag. Ma l'indomani Stalin è moribondo. Colpito da un ictus, muore il 2 marzo scatenando un conflitto feroce per la successione tra i membri del Comitato Centrale del PCUS.
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​La dittatura più spietata raccontata come una commedia nerissima, all’insegna dell'adagio: “una risata vi seppellirà”. Morto Stalin, se ne fa un altro; per una volta un titolo italiano all’altezza e in linea col tono satirico di un film, adattamento di una graphic novel francese, affidato alle mani sapienti e caustiche al punto giusto di Armando Iannucci. Scozzese di origini italiane, padre napoletano e madre di Glasgow, si è fatto un nome seminando fiele e ironia nei corridoi del potere, con le serie Veep e The Thick of it.
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​Il clima di quei giorni è reso con dialoghi taglienti ed efficaci: “sono esausto, non ricordo più chi è morto e chi no”, talvolta di grana grossa e farseschi, in maniera da rendere bene, per paradossale che possa sembrare, quell’atmosfera di raggelato terrore collettivo, quella patina costante di dissimulazione. Il regista scozzese, complice anche un cast d'eccezione, tra cui spicca uno Steve Buscemi al meglio di sé, costruisce un'opera degli eccessi, in cui il black humor raggiunge tonalità tanto cupe quanto esilaranti.
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​Ma come si dice, quando il gatto non c'è, i topi ballano. E d'improvviso la stregua di personaggi fedeli a Stalin, fino a poco prima ridicolmente inetti, si rivelano, pur senza perdere i connotati più ironici e grotteschi, veri maestri d'astuzia: dopo un funerale farsa, si avvia quindi un lungo ciclo di successioni al potere. Come un gioco della sedia in cui, ogni volta che termina la musica, qualcuno resta in piedi, i ministri Malenkov, Berija e Chruščëv si succedono al governo. E proprio qui, tra le scene di chiusura del film, in quei titoli di coda che evocano un futuro di somiglianze, si insinua l'arguzia del titolo italiano: il gioco è concluso? È bastata la fine dell’Urss per porre fine all'effetto domino del potere? È nel silenzio, nello schermo nero e nell'uscita dalla sala dello spettatore, che Iannucci dà la probabile risposta negativa a queste domande.

​Immagini tratte da:

Locandina: Torinoggi.it
Immagine 1: Coming Soon
Immagine 2: Coming Soon
Immagine 3: Coming Soon
Immagine 4: FilmTV

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