Presentato e vincitore per la sezione Orizzonti all’ultimo Festival Internazionale di Arte Cinematografica di Venezia, Nico, 1988 dell’italiana Susanna Nicchiarelli porta sullo schermo gli ultimi anni di Nico, alias Christa Päffgen, cantante e modella tedesca, nota soprattutto per la sua collaborazione con i The Velvet Underground. Ma proprio in controtendenza con l’immagine più nota e iconica di Nico, il film della regista italiana decide volutamente di non essere un biopic completo, ma di soffermarsi solo su una parte della vita di Nico. Se il film inizia con uno dei ricordi più intensi e significativi di Christa, il bombardamento della città di Berlino durante la Seconda Guerra Mondiale, subito dopo ci troviamo davanti a una Nico matura, regina del dark rock, pronta a portare la sua musica per l’Europa. Dimenticati i capelli biondi e i servizi patinati per Vogue, Elle e altri giornali, dimenticata l’amicizia con Andy Warhol e il periodo nella Factory, ci troviamo davanti alla “sacerdotessa delle tenebre” e ai suoi ultimi anni di vita.
Magistrale interpretazione di Trine Dyrholm, attrice danese vincitrice nel 2016 dell'Orso d'argento come migliore attrice per La comune di Thomas Vinterberg. La Dryholm riesce a renderci gli ultimi anni di una Nico che tra vizi e fragilità non abbassa mai lo sguardo. Sfiorita la bellezza giovanile, tra una dose di eroina e innumerevoli sigarette Christa non si tira indietro davanti a niente: né alle domande riguardanti il rapporto con il figlio Ari, cresciuto dai genitori di un padre che non lo ha mai riconosciuto (Alain Delon) e in bilico tra depressione e autolesionismo, né davanti a chi continua ad associare la sua immagine soltanto al suo periodo d’oro giovanile.
Così come è emerso dal materiale che Susanna Nicchiarelli ha visionato ed esaminato per costruire il film, realtà e apparenza si sono spesso scontrate nella vita di Nico: famosa per una gioventù dall’apparenza patinata, Nico ha dovuto spesso smentire chi lo definiva il periodo più felice della sua vita, rivendicando invece la sua personalità e la libertà di poter creare qualcosa che la rappresentasse davvero solo in età più matura, quando lo stesso Jim Morrison la esortò a “mettere in musica i propri sogni”. Ed è proprio quest’arte l’altra grande protagonista di Nico, 1988. La musica che attraversa Nico, 1988 è quella potente e vibrante che non ha più niente a che fare con il disco composto con Lou Reed, The Velvet Underground & Nico, ma che invece afferma Nico come una musicista dal talento originale, capace di influenzare i movimenti gothic e new wave.
La Dryholm si conferma un’artista a tutto tondo e se già si ammira la sua interpretazione, occhi e orecchie dello spettatore rimangono letteralmente attaccati allo schermo grazie alla sua performance canora. Una voce cavernosa, graffiante, ferita (la stessa Dryholm ha dovuto sporcarsi e rovinarsi la voce per renderla al meglio), ma magnetica: dall’intensa scena del concerto illegale in cui i movimenti di camera ci fanno ballare al ritmo di “My heart is empty”, alla struggente versione di “Nature Boy” di David Bowie fino alla dichiarazione di amore incondizionato per il figlio con “Ari’s song”. La Nico meno conosciuta è quella che emerge in superficie dal film di Susanna Nicchiarelli; una donna terribilmente umana, una donna che cerca di ricostruire il rapporto con il figlio tanto amato, forse un’anti-icona, alla continua ricerca non del consenso, bensì di un suono; un suono perfetto che nell’immaginario della regista è lo stesso che da bambina aveva sentito durante i bombardamenti di Berlino. Nella realtà non possiamo sapere cosa cercava Nico, ma ci resta sicuramente tutto quello che ci ha lasciato. Foto tratte da: https://www.comingsoon.it/film/nico-1988/54255/scheda/ http://www.repubblica.it/speciali/cinema/venezia/edizione2017/2017/08/25/news/susanna_nicchiarelli_non_solo_icona_tragica_vi_racconto_l_ultima_nico_-173830823/
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Maggio 2023
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