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22/7/2018

Recensione de: La Terra dell’Abbastanza

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Due ragazzi investono e uccidono per sbaglio un boss della mala. Entreranno in un vortice che li risucchierà in qualcosa molto più grande di loro. Il film ha ottenuto 3 candidature e vinto un premio ai Nastri d'Argento. In Italia al Box Office La terra dell'abbastanza ha incassato 107 mila euro.
di Salvatore Amoroso
​Titolo: La terra dell’Abbastanza            
Paese di produzione: Italia
Anno: 2018
Durata: 95’
Genere: drammatico
Regia: Damiano D’Innocenzo, Fabio D’Innocenzo
Sceneggiatura: Ivan D'Ambrosio
Distribuzione: Adler Entertainmanet
Fotografia: Paolo Carnera
Cast: Andrea Carpenzano (Manolo), Matteo  Olivetti (Mirko), Milena Mancini (Alessia), Max Tortora (Danilo), Luca Zingaretti (Angelo).
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​L’educazione criminale di due coatti, ovvero Mirko e Manolo, due studenti all’ultimo anno dell’istituto alberghiero, con tanta vitalità e sogni abbastanza umili nel cassetto. Una notte, casualmente, con la macchina investono e uccidono un passante. Che fare? Intanto scappare e poi chiedere aiuto al padre di Manolo, un personaggio alla deriva che vive in un garage. Questi li tranquillizza invitandoli a starsene zitti e quieti; poi, quando scopre che l’investito è un “infame”, cioé un malavitoso cui il clan dei Pantano sta dando da tempo la caccia: “amo svortato!” dice e spinge il figlio ad andare dal clan e autodenunciarsi come killer volontario e unico.
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​Dopo incomprensioni e litigi che potrebbero incrinare il loro rapporto, entrambi con incoscienza e arroganza si trasformano in “apprendisti criminali” per il clan. Gestiscono prostitute, coprono pedofili, al bisogno uccidono. E mentre si esaltano negli agi che la vita criminale gli concede, per la preoccupazione, che si trasforma in seguito in ostilità, della mamma di Mirko, scivolano progressivamente in situazioni sempre più trucide e pericolose. A cui reagiranno in maniera imprevedibilmente diversa. Significativa la frase: “Ci pensi mai a quella sera?” “A volte. Strano eh…da zero a mille così…buh”.
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​Un debutto folgorante. Non ancora trentenni, gli esordienti Fabio e Damiano D’Innocenzo trovano modi narrativi ed espressivi assai efficaci per una storia semplice e diretta, magari già affrontata da altri, la periferia romana è ormai un sottogenere a parte del cinedramma criminale nostrano. Stupisce ad esempio la maturità con cui scelgono di non fare della violenza un elemento spettacolare e per questo anche ambiguo. A volte la mostrano nella sua crudezza e velocità, a volte si distanziano grazie all’uso di una ripresa fotografica molto consapevole, a volte la tengono fuori campo, senza compiacimenti ma sottolineando piuttosto gli effetti che questa produce nelle menti dei due ragazzi, una immoralità che pare indifferente e che genera conseguenze irrimediabili.
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​E lo confermano gli autori: “Volevamo raccontare come è maledettamente facile assuefarsi al male! Vedere fin dove si può fingere di non sentire nulla”. Inoltre, questo uso sobrio di cosa e come raccontare sposta il peso della tensione tutto sugli attori che rispondono ammirevolmente, sia i protagonisti inesperti ma non acerbi, anzi tutt’altro. Immaginate che Andrea Carpenzano vanta solo due film e un po’ di tv con Immaturi la serie e Matteo Olivetti è praticamente un esordiente. I volti noti di contorno sono semplicemente sorprendenti, come Max Tortora padre rovinato che rovina, Milena Mancini, madre ringhiosa, anima di periferia che non ha perso dignità e umanità e Luca Zingaretti, lucido boss di borgata dalla cattiveria luciferina. Presentato con lusinghieri consensi a Berlino, ha faticato a trovare una distribuzione. Fortunatamente ora arriva sugli schermi. Prodotto dalla Pepito e grazie alla Adler Entertainment. Fortunatamente, perché è uno dei più bei film italiani della stagione, di certo il più inatteso.

Immagini tratte da:


​coming soon
sentieri selvaggi.it
repubblica.it
radiocolonna.it
Io Donna

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