Di Federica Gaspari
Lasciati alle spalle i più importanti festival di fine estate, la stagione cinematografica sembra già aver definito i titoli e soprattutto i nomi dei suoi front runner nella corsa per i grandi premi. A pochi mesi dalla fine del 2021, infatti, è già tempo di pronostici, di piccole grandi scommesse costruite su quanto osservato tra le sale festivaliere e non solo. Le scorse settimane tra Locarno, Venezia e Toronto, si è consumato il primo confronto “a distanza” tra tre delle interpreti più quotate per i premi da protagoniste: Jennifer Hudson con Respect, Kirsten Stewart per Spencer e Jessica Chastain in The Eyes of Tammy Faye. La critica internazionale ha puntato tutto su questi tre nomi che sullo schermo danno vita a personaggi e personalità estremamente diverse che richiedono, a loro volta, narrazioni peculiari capaci di catturarne lo spirito. Proprio di soul, spirito, si parla in Respect, il primo dei tre film citati ad approdare nelle sale italiane insieme al suo racconto biografico per episodi presentato all’ultima edizione del Locarno Film Festival. Al centro della scena, ovviamente, c’è la regina del soul, Aretha Franklin, figura leggendaria del mondo della musica che richiedeva indubbiamente un biopic più carismatico. Negli anni Cinquanta una bambina afroamericana di dieci anni trova nel canto gospel l’opportunità di aprirsi alla sua comunità e al mondo, raccontando emozioni e sentimenti altrimenti soffocati da un terribile lutto. Il suo nome è Aretha Franklin (Jennifer Hudson), un nome che sarà difficile da dimenticare negli anni seguire grazie a una carriera folgorante, segnata da successi travolgenti quanto da cadute difficili da affrontare. In tre decenni dedicati alla musica e alle sue sfumature, si ripercorre così anche una vita intrecciata ai maggiori avvenimenti che segnarono la società statunitense, tra lotte per l’uguaglianza e affermazione della propria indipendenza. In passato, ben due prodotti per piccolo e grande schermo, una stagione di Genius e il doc Amazing Grace, avevano cercato di catturare l’essenza di un talento così complesso e stratificato come quello di Aretha Franklin. Confrontarsi con decenni di musica dall’eredità senza pari deve essere stato una sfida difficile per l’esordiente Liesl Tommy che, con la sua prima regia cinematografica, non trova le giuste note per far risplendere ulteriormente il soggetto. Nemmeno una sceneggiatura spenta come un canone fin troppe volte ascoltato riesce a risollevare il ritmo di una narrazione poco appassionata, ben distante dall’animo della protagonista ma anche dalle vette del genere raggiunte con il ben più ispirato Rocketman. In assenza di una vera ispirazione alla cinepresa e alla scrittura, il film allora si sorregge sulla bravura cristallina di Jennifer Hudson, interprete invidiabile sia per recitazione che per doti canore. Chi era rimasto già incantato dalla sua performance da Oscar per Dreamgirls, troverà nuovi motivi per stupirsi davanti a un’interpretazione che cresce di intensità insieme al suo personaggio, riuscendo a dare profondità ai momenti chiave della storia e dell’eredità culturale di Franklin sia come donna che come rappresentante di una comunità. In un crescendo di emozioni, Hudson riesce ad accompagnare verso un gran finale sulle note di Amazing Grace un film altrimenti dimenticabile, reclamando un posto d’onore nella corsa ai prossimi riconoscimenti importanti.
Immagini tratte da: Universal Pictures
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Marzo 2023
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