di Matelda Giachi
“I heard you paint houses”. Ho sentito che lei dipinge le case.
E’ il titolo del libro che ha ispirato l’ultimo capolavoro di Martin Scorsese. Un saggio, per la precisione, in cui l’ex procuratore Charles Brant raccoglie le memorie del sicario Frank Sheeran, detto “l’irlandese”, dopo averlo personalmente incontrato. Glielo ha portato un giorno l’amico Robert De Niro, dopo anni che cercavano un buon soggetto per tornare a lavorare insieme. E anni ancora sarebbero passati prima di poter tradurre quest’idea in un film. Principalmente perché è un progetto che nasce non solo per un pubblico esterno ma ancor prima per i suoi stessi ideatori. Come tale, voleva essere portato avanti alle loro condizioni. Condizioni che, per le più grandi major cinematografiche, rappresentavano un rischio troppo grande. Ha dichiarato lo stesso Scorsese in conferenza a Roma: per poter fare una cosa del genere, bisogna che qualcuno te ne dia la possibilità. E’ qui che è entrata in gioco Netflix, in tutta la sua arroganza di nuova potenza, con una proposta impossibile da rifiutare: un budget ancora più alto di quello richiesto, distribuzione sia classica in sala che poi sulla piattaforma streaming, totale libertà sulla scelta del final cut e, soprattutto, intraprendenza per la disponibilità all’uso di una nuova forma di tecnologia, quella che ha permesso il ringiovanimento digitale dei tre protagonisti, affinché non dovessero essere sostituiti da altri attori più giovani. Una tecnica ancora sperimentale che ha richiesto ulteriori sei mesi di lavorazione dopo la fine delle riprese e che non dava alcuna assicurazioni in merito al risultato. Citando una giustissima osservazione di Roberto Recchioni per BestMovie, viviamo un tempo in cui spesso le più grandi case cinematografiche cercano di tenersi al passo coi tempi prestandosi sempre di più a progetti inerenti al genere Marvel, mentre le nuove case investono sui mostri sacri per acquisire credibilità e rispetto. “I heard You Paint Houses” sono anche le prime parole che Jimmy Hoffa, interpretato da Al Pacino, rivolge a Frank “l’irlandese” quando si incontrano per la prima volta. Dove dipingere case sta per uccidere uomini, in riferimento al sangue che schizza sulle pareti. Scorsese, con The Irishman, torna al genere gangster movie di cui è stato uno dei maestri. Solo a inizio film però riprende realmente se stesso e si concentra sull’azione, sulla scia di Quei Bravi Ragazzi. Presto la regia assume tutto un altro tono, più riflessivo, maturo. Quella di un uomo che, il tempo che vediamo scorrere in pellicola, lo ha già visto passare e se ne sta rendendo conto. Non si era mai soffermato troppo a chiedersi che fine avrebbero fatto i suoi gangster, adesso sì. The Irishman “è un film che parla di tempo, amore, tradimento, rimorso e, fondamentalmente, della mortalità di tutti noi”. C’è un velo di malinconia che però è solo lieve. Il regista stesso, mentre pronuncia queste parole in conferenza stampa, ha una gran serenità negli occhi. Ha infuso i suoi protagonisti di consapevolezza e accettazione di questo destino. The Irishman è, a tutti gli effetti, una riunione tra amici; Scorsese e De Niro riescono a richiamare per il loro progetto anche il terzo moschettiere, Joe Pesci che, salvo rare apparizioni, manca dal grande schermo dalla fine degli anni ’90. Pesci ha la classe degli attori di altri tempi e regala un’interpretazione da Oscar, come se non se ne fosse mai andato. A completare il tavolo, come D’Artagnan, come nuovo membro, un Al Pacino al massimo della sua forma. I duetti che si sviluppano tra il trio di attori nel corso dell’opera valgono già da soli il film, in particolar modo alcuni scambi di battute in italiano tra De Niro e Pesci, ai limiti della tenerezza nonostante si parli di omicidi a sangue freddo. A voler cercare, dei difetti si trovano sempre; qualche minuto di indugio di troppo forse il buon vecchio Martin se li è concessi e il ringiovanimento degli attori in qualche momento è visibile e plasticoso. Ciononostante, The Irishman è, a tutti gli effetti, un gran film opera di quello che ormai è uno dei più grandi registi della storia del cinema. La sua regia è ancora una volta elegante, a tratti cruda, a tratti poetica. Un omaggio a se stesso, agli amici di una vita. Un congedo non certo dal cinema, perché Mr. Scorsese sembra avere ancora moltissimo da raccontare, ma da un genere che ha segnato intere generazioni. Voto: 9,5 P.S. Mentre in conferenza stampa si è presentata inesorabile una domanda più da quote rosa che da meetoo, non fatevi sfuggire una piccolissima figura femminile che è una delle, se non “la” chiave di lettura di tutto il film.
Immagini tratte da:
www.imdb.com www.bestmovie.it www.washingtonpost.com www.thedailybeast.com www.dailymail.co.uk
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Maggio 2023
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