di Matelda Giachi
C’è chi paragona la vecchiaia ad un ritorno all’infanzia: la conoscenza del mondo si sgretola e la sicurezza acquisita con l’addentrarsi nella vita adulta regredisce con essa. Anthony (il protagonista porta il nome stesso del suo interprete, per omaggiarlo) è un anziano che vive solo; no con la figlia e il marito. No la figlia è nubile. No, è divorziata. Si sta trasferendo a Parigi con un nuovo compagno; forse. Nella sua testa niente è più chiaro, la sua mente è come la stanza degli specchi dei luna park americani, quella che compare in innumerevoli inseguimenti cinematografici e seriali per creare ulteriore confusione e suspance, perché non si sa quale di quei mille riflessi moltiplicati all’infinito sia l’immagine reale. Si attacca a ciò che crede immutabile, oggetti: un quadro, un orologio, le pareti della casa di sempre, ma anche questi cominciano a giocare a nascondino con lui.
Florian Zeller, esordiente alla regia nel trasporre la sua stessa piece teatrale, racconta la fragilità dell’età anziana. Avrebbe potuto lasciarci comodi sulle nostre poltrone, spettatori passivi di uno spettacolo a tratti commovente, a tratti patetico, prede ciascuno della personale sensibilità nei confronti della vecchiaia. Ma “niente è come sembra”: cambiano i volti, cambiano gli scenari, cambiano le dinamiche e le interazioni. Alla regia sembra esserci il cervello stesso del protagonista e come lui neanche noi sappiamo quale, delle molteplici possibili, sia la realtà. Siamo costretti all’attenzione, a cercare indizi per rimettere insieme i pezzi, a immedesimarci. E questo scorcio drammaticamente reale sulla condizione umana prende quasi i tratti del thriller.
Anthony Hopkins regala tra le interpretazioni più alte della sua carriera, ma non lo sa. Mentre l’Academy lo premia come miglior attore protagonista non è presente alla cerimonia; dorme sereno nella sua casa nel Galles. E un po’ ce lo immaginiamo, al suo risveglio: “Buongiorno Sir, stanotte ha vinto un Oscar”. Ed eccolo lì, più social di tanti ventenni, un po’ spettinato ma vestito di un’eleganza in via d’estinzione, che ringrazia per il riconoscimento e omaggia, da vero gentiluomo, Chadwick Boseman, per cui tutti ci aspettavamo l’Oscar postumo. Ma è impossibile guardare The Father e restare insensibili all’intero spettro di emozioni umane con cui Hopkins colora il suo protagonista, mentre lotta con tutto se stesso per combattere un male che non vede e lo consuma, traditore, dall’interno. C’è qualcosa di sublime nelle lacrime che inevitabilmente rigano il volto. E ci sono ruoli per cui, alcuni attori, sembrano stati illuminati ed Anthony Hopkins di sicuro lo è stato. Voto: 8/10
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Giugno 2023
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