di Federica Gaspari
Tra gli appuntamenti più importanti della stagione 2018 delle serie tv figura la seconda stagione di uno show ispirato a un romanzo distopico degli anni ’80. Sono passati più di trent’anni dalla pubblicazione originale ma le inquietudini e le paure più radicate sembrano essere le stesse immaginate da Margaret Atwood nel suo libro Il racconto dell’ancella. La prima stagione di The Handmaid’s Tale poteva contare su un importante materiale di partenza e su significative riflessioni sulla realtà. I 13 nuovi episodi, distribuiti da Hulu negli Stati Uniti e da TimVision in Italia, avevano il compito di esplorare l’universo di Gilead, superando le affidabili parole dell’autrice e tracciando un percorso interamente nuovo, sempre capace di intrecciare distopia con la più assurda e paradossalmente concreta realtà. Il finale della prima stagione preannunciava l’inizio di un’attesa ribellione che poteva porre finalmente fine all’oppressivo regime instauratosi con la caduta degli Stati Uniti. Questa effimera luce di speranza, tuttavia, con i nuovi episodi non sembra essere riuscita a infuocare gli animi dei personaggi che, ancora una volta, si ritrovano intrappolati in un rigido sistema di oppressori e oppressi, una contrapposizione che si concretizza con il rapporto tra le due assolute protagoniste di questa seconda stagione, June/Difred (Elisabeth Moss) e l’altera signora Waterford (Yvonne Strahovsky), moglie del comandante a cui è stata assegnata l’ancella. L’attesa della nascita del primogenito dei Waterford darà vita a un gioco di tensione e, talvolta, anche di vendette. Dopo una prima stagione che ha introdotto il pubblico al mondo di contraddizioni e regole alla base di Gilead, la serie sceglie un ritmo più pacato per indugiare maggiormente su quella che è la vera ricchezza di questo prodotto di MGM Television: l’insieme dei personaggi. In un modo molto simile a quello scelto dagli sceneggiatori di Westworld, The Handmaid’s Tale si insinua tra le pieghe più scomode dei profili psicologici dei suoi protagonisti, sfumandone i tratti e confondendo il netto confine tra bene e male con motivazioni e speranze profondamente umane. Si assiste così alla straordinaria crescita del personaggio magistralmente interpretato da Yvonne Strahovky, una figura perennemente in bilico tra aguzzina e vittima per cui si provano reazioni contrastanti. Il suo granitico desiderio di maternità si scontra con una cieca fedeltà nei principi che lei in passato ha aiutato a teorizzare. “They should never have given us uniforms if they didn’t want us to be an army” Un’estrema cura per i dettagli delle scenografie, dei costumi e della fotografia è la costante in un prodotto preciso, studiato sotto ogni aspetto e sempre di altissimo livello nonostante la trama, lungo i 13 episodi, soffra in alcuni punti di cali di tensione. Anche per questa seconda stagione, però, bisogna riconoscere il grande merito di affrontare temi delicati che, nonostante siano stati recentemente riconsiderati grazie al movimento Time’s Up, non vengono trattati con superficialità né con posizioni di rito e banali bensì vengono analizzati gradualmente e minuziosamente concentrandosi sull’aspetto cardine della questione. La soluzione, la speranza, infatti, arriva proprio dalla solidarietà femminile, dalla capacità di unire le forze per sconfiggere un sistema che non può essere affrontato in solitaria. Nonostante la mancanza dell’effetto novità, The Handmaid’s Tale conferma il suo ruolo prestigioso nell’universo delle serie tv e, con 20 nomination agli Emmy del 2018, sfida tutti i suoi agguerriti rivali del piccolo schermo. Immagini tratte da: www.pinterest.com www.moviefone.com www.hollywoodreporter.com www.digitaltrends.com Potrebbe interessarti anche:
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Marzo 2023
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