di Federica Gaspari
Milioni di spettatori si sono indignati davanti alla sfrontatezza della messa in scena di uno dei finali di stagione più controversi di sempre. Studenti e giovani di tutte le nazionalità hanno trovato non poco materiale su cui riflettere in 13 puntate che hanno messo in luce, pezzo dopo pezzo, tutti gli ingranaggi che regolano le dinamiche dell’ecosistema più pericoloso e angosciante degli ultimi anni, quello della scuola superiore. La prima stagione di Tredici, distribuita in tutti gli angoli del globo raggiungibili dal colosso Netflix, ha saputo accendere inarrestabili discussioni su urgenti problematiche come il bullismo, i problemi mentali e il suicidio. Gli episodi d’esordio della creatura televisiva di Brian Yorkey hanno spaccato in due pubblico e critica con i loro pregi e le loro astuzie. L’annuncio di una seconda stagione ha fatto storcere il naso a molti: cosa avrebbero potuto aggiungere alla storia ulteriori episodi? Le nuove puntate dello show più discusso degli ultimi tempi hanno riportato il pubblico del piccolo schermo tra le aule scolastiche e le camere dei ragazzi della Liberty High School, sempre più inquieti a causa del difficile processo avviato dalla famiglia di Hannah Baker (Katherine Langford) contro la scuola. Secondo la madre della ragazza morta suicida, infatti, nessun professore e nessuna figura di riferimento dell’istituto ha saputo comprendere il dolore vissuto della ragazza e fermare l’ondata di violenze di diversa natura ad opera di bulli come Bryce Walker (Justin Prentice), uno tra i principali accusati. Puntata dopo puntata, ogni ragazzo che ha potuto conoscere la giovane sarà chiamato a testimoniare e a rivivere ricordi, rancori e rimorsi. La sfida affrontata da questa seconda stagione è tra le più ardue e incoscienti della storia recente della televisione. La storia narrata nei primi tredici episodi basati sull’omonimo romanzo di Jay Asher giungeva a un epilogo spiazzante ma ben definito che non sembrava lasciare spazio ad ulteriori sviluppi degni di attenzione. I produttori, tuttavia, hanno tradotto l’entusiasmo e la calda accoglienza del pubblico in una continuazione che non ha saputo replicare con uguale efficacia il successo e la discreta qualità del predecessore. Il meccanismo narrativo imperniato sulle diverse sedute del processo non ha la stessa originalità delle audiocassette di Hannah Baker, diventate quasi il simbolo della forza di una testimonianza di grande impatto. Se l’esordio aveva saputo colpire dritto al cuore dello spettatore senza lasciare scampo, la seconda stagione, priva di qualsiasi ritmo teso e incalzante, non riesce a decollare per buona parte della sua durata lasciando spazio solo a una nebulosa noia imperante che non si dirada nemmeno con le più forzate interpretazioni del cast sovraffollato. Il vero problema di questa nuova pseudo-indagine televisiva nel mondo dei teenagers è la sua assurda e nociva volontà di tratteggiare un immaginario adolescenziale governato dall’esagerazione, dall’assoluta mancanza di sfumature e di vie di mezzo. L’obiettivo, nemmeno troppo velato, di porre le basi per situazioni che si alimentano di un sinistro fascino per la morbosità mostrano tutti i limiti di una serie che, privata del suo velo di novità, mostra tutti i suoi limiti tecnici e non. Bullismo, violenze in ogni forma, dipendenza, controllo sulle armi: non bastano importanti tematiche per creare un prodotto valido bensì servono solidi intrecci e approfondimenti narrativi in grado di trovare i giusti equilibri. Immagini tratte da: www.seat42f.com www.cosmopolitan.com www.mobiviki.com www.vulture.com
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Marzo 2023
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