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29/3/2020

Ultras: la recensione

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La nostra recensione di Ultras, il film originale Netflix diretto da Francesco Lettieri che ci porta nel mondo delle tifoserie organizzate, in catalogo dal 20 Marzo.
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di Salvatore Amoroso
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​Genere: Drammatico
Anno: 2020
Regia: Francesco Lettieri
Attori: Aniello Arena (Sandro Russo), Ciro Nacca (Angelo), Simone Borrelli (Pequeño), Daniele Vicorito (Gabbiano).
Sceneggiatura: Peppe Fiore
Fotografia: Gianluca Palma
Musiche: Liberato
Montaggio: Mauro Rodella
Distribuzione: Netflix, Mediaset
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​Lo si capisce subito che 
Ultras non è un film sul calcio. Il campo (il San Paolo di Napoli, nello specifico), non è importante. Anzi, è un pretesto: il ripiego perfetto per un’ideale che intreccia generazioni, relazioni e gerarchie. Sono le tribune il cuore pulsante, l’altare su cui sacrificare anema e sangu. E così, Francesco Lettieri, dopo una lunga carriera come regista di videoclip, esordisce in lungometraggio che non intende fare sociologismo su un fenomeno italiano ed europeo: quei tifosi che vanno oltre il risultato (fanno i cori dando le spalle alla partita, giusto per fare un esempio) per sentirsi invece parte attiva di qualcosa che somigli ad una tribù, ad un gruppo, ad una famiglia.
​

Così, Ultras, che è stato in sala per tre giorni (9,10, 11 marzo) e poi su Netflix ( disponibile sulla piattaforma dal 20 marzo), come fosse una canzone neomelodica, mischia l’eccessivo al poetico: colori, musica e cinema dal grande respiro e dalla grande claustrofobia. In fondo, è la sensazione che prova il protagonista della storia, Sandro (Aniello Arena) che a cinquant’anni è ancora capo degli Apache, anche se allo stadio non può andare per un D.A.SPO. da siglare. Al posto suo, una nuova generazione di ultras: più impulsivi, più arroganti, più affamati. Ma soprattutto più giovani. Allora, Sandro, l’ultimo dei Moicani (partenopei, si intende) si trova tirato in mezzo: la famiglia (dal sangue misto) da una parte, oppure l’amore di Terry (Antonia Truppo) dall’altra, perché magari il tempo per certe cose è passato, e la domenica magari è meglio andare a pranzo sotto il sole di Ischia.
Foto

​E nel film di Lettieri, è preponderante il lato umano: l’azione, nel senso stretto del termine, fa solo muovere i personaggi, costantemente in bilico tra una carezza e un’ingiustificabile propensione alla violenza. Moto ondoso che dovrebbe portarli (il condizionale è obbligatorio) a sentirsi portatori e rappresentati di una cultura, di una città. Sentendo una viscerale esigenza di sottostare ad una bandiera o ad una sciarpa logora, da tirare su quando c’è da impugnare la spranga. Il calcio, come detto, non c’entra niente: solo le nuove leve vorrebbero lo scudetto del Napoli, agli altri basta scendere sul campo di battaglia, sfogarsi, andare in guerra. Come fossero parte unica di un esercito di reietti, che rifiutano le regole civili, sociali e moderne.

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Ma, oltre alla teoria, la pratica cinematografica di Ultras è, nel senso più stretto del termine, spettacolare e molto cinematografica: non è un caso se Lettieri punti alla sospensione assoluta di qualsiasi appiglio spaziotemporale servendosi dei frequenti campi lunghi dall’alto, di chiara ispirazione garroniana. Le notti si intrecciano con le mattine in una progressione indistinta, scandita solo dal proseguire delle giornate di un campionato di cui non vedremo mai neanche un singolo fotogramma, gli spostamenti sono tutti istantanei tanto che le andate e i ritorni da Firenze o da Roma sembrano non comportare alcun reale allontanamento o trasferta. Quando davanti al panorama della città i ragazzini connetteranno Napoli al mondo con il significativo dialogo: “se vinciamo davvero crolla Napoli”, “no, crolla il mondo intero”), è perché davanti a loro in quell’istante si stagliano i confini conosciuti di tutto il loro universo, abbracciato dal Vesuvio come unico orizzonte possibile. Striscioni, cori, tatuaggi, petti nudi, l’ossessione per la religione. C’è epica, c’è romanticismo e c’è malinconia. Lo sguardo di Lettieri non giudica mai, né si fa cronaca giornalistica: piuttosto lascia suonare la musica di Liberato (straordinaria We Come From Napoli sui titoli di coda, composta insieme a Robert Del Naja dei Massive Attack), che accompagna le gesta tragiche, disperate e disgraziate di un gruppo di uomini disposti a sacrificare tutto per qualcosa che, in fondo, non comprendono bene nemmeno loro. ​

Immagini tratte da:
​
Locandina:
MyMovies
Immagine1: LaRepubblica
Immagine2: Cinematographe.it
Immagine3: Corriere dello Sport.it

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