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3/6/2021

Valley of the Gods

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di Federica Gaspari
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​Genere: drammatico
Anno: 2019
Regia: Lech Majewski
Attori: Josh Hartnett, John Malkovich, Bérénice Marlohe, Keir Dullea, Jaime Ray Newman, John Rhys-Davies
Sceneggiatura: Lech Majewski
Fotografia: Lech Majewski, Pawel Tybora
Montaggio: Eliot Ems, Norbert Rudzik
Paese: Polonia, Lussemburgo
Durata: 131 min

I lunghi mesi trascorsi lontani dagli schermi pongono ora il pubblico e gli artisti davanti a sfide imponenti ma anche accattivanti. Cosa si vuole ricercare in sala? Quali storie e visioni possono risvegliare appassionati e non dal torpore delle comode visioni da poltrona domestica? Il cinema di Lech Majewski è una scossa perfetta per esplorare nuove prospettive e mettersi in gioco da spettatore uscendo dai consueti confini di scelte rassicuranti e accomodanti. Valley of the Gods è solo la più recente creatura di un regista che svela di amare l’arte e il processo creativo in ogni sua forma. In sala dal 3 giugno, questo titolo si presenta come un’esperienza sensoriale difficile da dimenticare, capace di dividere quanto di accendere stimolanti confronti. 
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Abbandonato dalla giovane moglie e in piena crisi sul lavoro, il copywriter John Ecas (Josh Hartnett) abbandona la sua vita di certezze e consuetudini per lanciarsi, su consiglio del suo terapista, in un’avventura – soprattutto spirituale – nel profondo Utah, nella leggendaria terra della Monument Valley, per scrivere un libro da tempo bramato. In questo luogo che incute stupefacente soggezione, l’uomo si confronta con l’antico popolo Navajo che considera i naturali monumenti rocciosi della valle come le dimore sacre degli spiriti delle loro divinità pronte a risvegliarsi. Nel frattempo, nel cuore di una dinamica e caotica metropoli, l’uomo più ricco del mondo, Wes Tauros (John Malkovich), quando non si finge senzatetto per le vie della città, vive in un’elegante e fantascientifica residenza dove organizza periodicamente feste e sfarzosi spettacoli. Cosa porterà all’incontro tra queste due personalità? Come si intrecceranno queste diverse culture e approcci alla realtà? ​
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L’ultima opera di Lech Majewski prova a rispondere a queste domande. Oppure no, e forse la chiave per scoprire il potenziale di questo lungometraggio risiede proprio nel suo essere costantemente sfuggente e criptico. Sin dal prologo, è infatti chiaro che il regista e sceneggiatore polacco non ha alcuna intenzione di concentrarsi sullo sviluppo di una struttura narrativa solida e fluida che risponda lucidamente a domande, bensì vuole dare libero sfogo a intuizioni, immagini e soprattutto concetti. Gli interrogativi che sorgono durante la visione davanti a scelte ardite e svolte che mischiano poesia visiva e ardito surrealismo spingono a riflettere sui contrasti volutamente posti al centro della scena, sia sul piano visivo che concettuale. Realtà e fantasia, ricchezza e sacralità, tradizione e cambiamento: Majewski gioca con i massimi sistemi, contrapponendo su un primo livello di lettura la mitologia navajo e la concezione di potere contemporanea – un uomo talmente ricco da fingersi povero per ritrovare senso nella sua quotidianità. Costruendo una densa riflessione in dieci capitoli sulla mitologia moderna di una crisi d’identità collettiva, il film si consuma in un finale ancora più indecifrabile delle sue premesse. Questa crisi può essere risolta (forse) solo con una rinascita – di idee? di obiettivi? Questa risposta spetta al singolo spettatore.
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Una poetica complessa e a tratti oscura, tuttavia, non adombra una potenza visuale stupefacente sorretta da buone interpretazioni. Un valido Hartnett e il “solito” Malkovich si muovono su palcoscenici spettacolari nella loro lontananza e, soprattutto, fervida fotografia. Affermando la propria cifra in un gioco di rimandi a Malick, Hitchcock e Kubrick – ironico anche per questo rivedere Dullea nelle vesti di un sibillino maggiordomo -, Majewski dona concretezza alla sua arte multiforme con architetture oniriche e invenzioni anticonvenzionali che non temono il giudizio del pubblico.

Oscuro nelle intenzioni ma travolgente nella sua messa in scena, Valley of the Gods entusiasmerà chi vuole tornare a stupirsi davanti al grande schermo con la potenza di un’arte visionaria e senza freni che non ha bisogno di spiegazioni.

Immagini tratte da:
www.cgentertainment.it/

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