In questi giorni si è parlato molto dell’impatto che aziende come Netflix e Amazon hanno avuto sull’industria cinematografica. Le recenti affermazioni di Pedro Almodovar a Cannes hanno semplicemente alimentato una discussione che già da qualche mese anima esperti del settore e non. Dopotutto, la presenza dei due colossi dell’intrattenimento ai più prestigiosi festival non è più un’eccezione: prodotto dopo prodotto, entrambi hanno saputo conquistare ruoli di prestigio insieme a un’ampia fetta di pubblico. Il successo è probabilmente da attribuire alla capacità di mantenere sempre una buona qualità sapendo soddisfare spettatori dai gusti molto diversi fra loro. Netflix, in particolare, ama giocare con i generi canonici sia con le serie tv che con i film. L’attesissimo War Machine è figlio della suddetta filosofia che, in questo caso, cerca di reinventare il war movie classico contaminandolo con satira, senza dimenticare importanti messaggi.
Tratta dal libro The Operators: The Wild and Terrifying Inside Story of America’s War in Afghanistan del giornalista Michael Hastings, l’ultima fatica registica di David Michod porta sul piccolo schermo la storia del generale statunitense Glen McMahon (Brad Pitt), uomo dalle peculiari abitudini, stimato dai suoi subalterni e scelto per porre fine al conflitto in Afghanistan. Su di lui si concentrano tutte le maggiori aspettative del paese.
La figura del protagonista è dichiaratamente ispirata a quella del generale Stanley McChrystal, travolto dalle polemiche sulle sue stesse dichiarazioni contro il governo Obama nel 2010 e rimosso dall’incarico affidatogli in Afghanistan. Brad Pitt, nei panni del controverso protagonista, catalizza l’attenzione del pubblico. Il suo ingresso in scena è paragonabile a quello di una rockstar acclamata da migliaia di fan: è un uomo fiero del suo operato e dei suoi successi, un uomo che non accetta fallimenti. L’attore statunitense costruisce il personaggio attraverso tic, movenze esilaranti e abitudini assurde, mostrando il lato più ottuso di questa figura al comando a cui sono state affidate importanti responsabilità. Le relazioni interpersonali e la visione del mondo in bianco e nero rendono volutamente McMahon un personaggio distante dalla realtà, un paradosso vivente che incarna errate convinzioni e aspirazioni di una nazione e di una intera classe dirigente incapace di comprendere la realtà dei fatti.
Al fianco di un valido Brad Pitt, figura una sempre convincente Tilda Swinton che, nei panni di una giornalista tedesca preoccupata dal carattere del generale, per prima entra in contrasto con McMahon intorno a cui si riunisce un nutrito gruppo di militari disposti a eseguire ogni suo ordine. Durante la visione si incontrano, inoltre, diversi funzionari governativi, tutti rappresentati nella loro incoerenza e incapacità di affrontare problemi concreti. Tra tutti è rappresentativo il presidente afghano che, interpretato mediocremente da Ben Kingsley, risulta essere un semplice fantoccio.
La poco accurata alternanza di toni e gli eccessi della parte finale, nonostante tutto, non compromettono completamente una visione che, supportata da una buona colonna sonora curata da Nick Cave e Warren Ellis, si rivela godibile e soprattutto curiosa per la sua volontà di trattare temi pacifisti attraverso personaggi nati e cresciuti per l’arte militare. Immagini tratte da: Immagine 1: Locandina – www.heyuguys.com Immagine 2: Brad Pitt – www.businessinsider.com Immagine 3 Tilda Swinton – www.sorrisi.com
0 Commenti
Lascia una Risposta. |
Details
Archivi
Giugno 2023
Categorie |