E stasera cosa cucino? Con Quomi e Fanceat la risposta in un click
Giornata faticosa a lavoro, non siete riusciti a passare dal supermercato e non avete proprio idea di cosa cucinarvi stasera. Magari vorreste anche evitare di ricorrere alla pizza da asporto come due sere fa. Da oggi (anche in Italia) la risposta la trovate in un click e la cena arriva a casa vostra in una scatola! Due giovani start-up, Quomi e Fanceat sono pronte a cambiare il vostro modo di preparare la cena. Non si parla di un banale servizio a domicilio, ma di un vero e proprio “cooking on demand”: il cliente tramite il sito può selezionare quelle che preferisce tra le ricette proposte, dopodiché quello che riceverà a casa sarà una scatola contenente tutti gli ingredienti e le indicazioni per realizzare le pietanze scelte. I prodotti sono freschi e selezionati, le preparazioni più complicate e più lunghe arrivano già pronte, il tutto è confezionato dentro una scatola di facile trasporto, mentre all’interno si trova un contenitore isotermico e del gel refrigerante per garantire la conservazione dei prodotti. ![]()
Il principio che le guida è questo, ma ognuna ha specifiche particolari, vediamole più da vicino.
Quomi nasce a Milano e ha come suoi fondatori Daniele Bruttini e Andrea Bruno che, dopo una lunga esperienza all’estero, hanno deciso di tornare in Italia e scommettere sulla qualità dei prodotti del nostro territorio. Proprio questo è uno dei punti forti di Quomi: qualità ed eccellenze italiane come materie prime e come fornitori aziende bio o partner Slow Food. Inoltre, l’assenza di qualsiasi intermediario contribuisce al buon rapporto qualità – prezzo. Le ricette proposte vanno a soddisfare un vasto gruppo di clienti: se ne trovano senza glutine, senza lattosio e vegetariane. ![]()
Fanceat invece nasce a Torino, dall’idea di Tommaso Cremonini, Carlo Alberto Danna e Giulio Mosca. La mission è un po’ diversa: l’idea è quella di permettere alle persone di gustare piatti di grandi chef, realizzandoli e gustandoli a casa loro. Non si scelgono le pietanze, ma i menù, tutti composti da tre portate (quattro per quelli stellati) e spediti direttamente da prestigiosi ristoranti. Tra questi Magorabin di Torino, Trattoria Zappatori di Pinerolo, La Locanda del Notaio di Como, I Castagni di Vigevano, Gardenia di Caluso e molti altri. In aggiunta si può inserire nel pacco anche il vino, in abbinamento ai piatti scelti, suggerito da un sommelier professionista. In questo caso le ricette sono divise tra quelle di pesce, di carne o vegetariane.
Il sito offre anche un servizio di assistenza clienti attraverso una chat molto veloce e semplice da utilizzare, in modo da scacciare via tutti i vostri dubbi.
Sicuramente entrambe le idee sembrano molto ben strutturate e hanno vari aspetti positivi; fra tutti sicuramente il fatto di avvicinare gradualmente e in maniera guidata le persone alla cucina, offrendo cibi freschi e gustosi. Materie prime di qualità, dal sapore autentico potrebbero far “riscoprire” il vero sapore degli alimenti, di quello che mangiamo, offrendo una valida alternativa a piatti confezionati o surgelati e cibo spazzatura, sempre più consumato dalla nostra società. Resta il dubbio sul fatto che trovando molte preparazioni già pronte più di cucinare sembra quasi di assemblare dei piatti, ma è anche vero che entrambe le start up nascono con l’idea di offrire un’alternativa a chi non ha soprattutto tempo di cucinare. Altro dubbio è dato dal fatto che non è ovviamente una cosa a cui si può ricorrere ogni sera, perché per quanto il rapporto qualità prezzo sia buono, prendersi il tempo per fare una buona spesa e sfogliare un ricettario o consultare uno dei numerosi siti web di cucina, è sicuramente meno dispendioso e può portare ugualmente a un ottimo risultato.
Quomi e Fanceat offrono quella che potremmo definire “un’esperienza di cucina”, una coccola, un modo di avvicinarsi alla cucina e ai prodotti del nostro territorio; lo fanno in maniera egregia e, a questo punto, sta solo al cliente sfruttarne ogni punto di forza anche “fuori dalla scatola”.
Link per approfondire:
https://quomi.it/ https://fanceat.com/ Foto tratte da: https://universofemminiledisarah.wordpress.com/2016/03/04/mai-piu-a-corto-di-idee-e-di-ingredienti-con-quomi/ http://www.treatabit.com/article/fanceat https://www.mangiaebevi.it/fanceat-la-startup-italiana-conquistato-just-eat/
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Il ramen non sarà sicuramente una novità per gli amanti della cucina giapponese né per chi è appassionato di anime e manga: quale protagonista non si ritrova prima o poi a mangiare degli spaghettini ondulati accompagnati da rondelline bianche con una spirale rosa? Il ramen è infatti un piatto unico, una pietanza molto sostanziosa che prevede la cottura di tagliatelle di frumento nel brodo, questo può essere misto, di carne o di pesce. La pietanza è completata da salsa di soia, pezzetti di carne di maiale, alghe nori, cipollina verde o porro, funghi shiitake, germogli di soia o uovo sodo. Quello che forse molti non sanno è la probabile origine cinese e non giapponese di questo piatto. Sono ancora in corso battaglie e studi sulla paternità del ramen, ma il fatto che il nome originario fosse “shina soba” (“zuppa alla cinese”) sembra non lasciare molti dubbi. Oggi la parola “shina” (Cina) è stata eliminata (i giapponesi non hanno particolare stima dei loro vicini), preferendo chiamarlo “chuka soba” o appunto ramen. Arrivato probabilmente a metà del XX secolo in Giappone, il ramen ha riscosso un grande successo ed è stato introdotto subito nella cucina tradizionale. Oggi esistono numerose tipi di ramen, ogni regione o area ha la sua variante; i più famosi sono quelli di Sapporo, Tokyo, Kitakata, Hakata (distretto della città di Fukuoka) e Yokohama. Quest’ultima addirittura ospita dal 1994 il Museo del Ramen. Una maggiore diffusione di questa pietanza si è avuta a livello mondiale quando nel 1958 Momofuku Ando ha inventato le tagliatelle istantanee, rendendo possibile la preparazione del ramen a chiunque e ovunque, semplicemente aggiungendo dell’acqua calda al preparato. In realtà il ramen non è un piatto difficile da preparare, ma essendo composto da vari elementi la sua preparazione casalinga può scoraggiare molti. Vi propongo di seguito una mia personale versione della zuppa più amata in Giappone: Ingredienti per 4 persone: 320 g di noodles, 300 g di lonza di maiale, 2 porri, 2-4 uova, miso, zenzero, un bicchierino di sake, salsa di soia, germogli di soia. Procedimento: Preparare il brodo aggiungendo in una pentola con abbondante acqua, miso, un po’ di zenzero grattugiato o un cucchiaino di quello in polvere, un cucchiaio di salsa di soia. Tagliare la lonza di maiale a fettine e ricavarne delle listarelle. Pulire i porri e tagliarli a rondelle. Far saltare i porri e la carne in padella con un filo d’olio. Aggiungere un bicchierino di sake e lasciar sfumare. Insaporire con un due cucchiai di salsa di soia. Far assodare le uova, lasciando il tuorlo morbido. Sgusciarle e tagliarle a metà. Cuocere i noodles nel brodo per il tempo richiesto sulla confezione. Terminata la cottura mettere in ogni piatto un po’ di brodo con i noodles, la carne con il sughetto e i porri, mezzo uovo (o uno intero, a vostro piacimento) e alcuni germogli di soia per guarnizione. Buon appetito!
Ramen casalingo
Foto tratte da:
https://it.answers.yahoo.com/question/index?qid=20080703093407AA8euN5 https://japonismo.com/blog/rincones-secretos-de-japon Foto dell’autore
A tavola con i grandi artisti
Let’s bake ART non è sicuramente un libro di cucina qualsiasi, ma piuttosto l’ambizioso e coraggioso progetto di una giovane giornalista italiana. Mariapia Bruno ha pubblicato questo volume, che coniuga arte e cucina, con ilmiolibro.it nel giugno del 2015; da giugno del 2016 è disponibile anche la versione inglese e quella digitale per Kindle. Arte e cucina, dicevamo: alcuni di voi si staranno chiedendo qual è il legame che le unisce. Come ci spiega l’autrice di questo volume, il nesso è più saldo di quello che si può pensare. Raffigurazioni di nature morte, momenti di convivialità, scene di quotidianità casalinga, alimenti che diventano simbolici, iconografici: tutto questo può diventare ed è stato il soggetto di opere d’arte. Per di più molti celebri artisti rivolgono un’attenzione particolare al cibo e alla cucina in senso pratico; spesso sono dei veri e propri bongustai, chef dilettanti che a volte arrivano a dedicare un volume alle loro pietanze preferite. Avevo già parlato in un altro articolo del sontuoso volume Les dîners de Gala di Salvador Dalì, ma anche Claude Monet raccolse in un libro le sue ricette di famiglia, mentre Tommaso Marinetti scrisse e ideò il manifesto della “cucina futurista”. Questi sono solo alcuni degli artisti che ritroverete nel libro di Mariapia Bruno. Il libro ha una grafica colorata e accattivante: dipinti famosi e fotografie di opere d’arte si alternano a fotografie di pietanze, trafiletti dedicati ad artisti e correnti artistiche si fanno spazio tra le ricette. All’inizio troviamo alcune pagine introduttive in cui l’autrice si rivolge ai lettori per spiegare l’idea che l’ha portata alla composizione di questo volume: Vi siete mai chiesti se anche a loro fosse venuta l’acquolina in bocca durante l’esecuzione di una natura morta con frutta e dolciumi? Se una volta posato il pennello anche loro varcavano la soglia della cucina pronti, come tutti i comuni mortali, a preparare la cena? In seconda battuta troviamo qualche accenno allo sviluppo della cucina dal Seicento fino all’epoca contemporanea, periodo a cui farà riferimento l’autrice. In seguito ci troviamo davanti a ben 79 ricette, suddivise tra antipasti, zuppe e piatti unici, pasta, pesce, carne, uova, contorni e dolci. Le ricette sono tutte originali e riprodotte dalla stessa autrice che, ispirata dall’estro degli artisti, si è cimentata ai fornelli, realizzando anche dei video che potete visionare sul canale Youtube Let’s Bake ART. Sfogliando il libro passerete dalle “enchiladas tapatias”, cucinate da Frida Kahlo nella sua famosa Casa Blu, alla “torta dell’affetto”, ricetta inviata direttamente dalla designer italiana Simonetta Starrabba; niente riassume meglio di questo l’essenza di Let’s bake ART: un libro che è recupero e conservazione della tradizione e della cultura, attraverso due espressioni dell’estro umano: l’arte e la cucina.
Galleria con alcune immagini tratte dal libro
Link per approfondire:
https://letsbakeart.wordpress.com/ https://www.youtube.com/channel/UCD3zzmcuB0u7DHn0_TpPSog Foto Gentilmente fornite da Mariapia Bruno
Un giro nel capoluogo piemontese tra piatti tipici e locali.
La Mole con il suo Museo del Cinema, il Museo Egizio, il Parco del Valentino, Palazzo Reale, Palazzo Carignano, il Museo di Arte Orientale (MAO), la chiesa della Gran Madre di Dio: di sicuro in quanto a patrimonio artistico-culturale Torino non ha niente da invidiare a nessuna città italiana e la stessa cosa la possiamo dire a livello enogastronomico.
La cucina piemontese è ricca di sapori e le cantine conservano vini rinomati in tutto il mondo: Barbera, Nebbiolo, Barbaresco e Barolo, ma anche Dolcetto e Moscato. Il Piemonte è anche una regione che può annoverare numerosi prodotti a marchio IGP (Indicazione Geografica Protetta) o DOP (Denominazione Origine Protetta): tra i primi la nocciola del Piemonte e il salame di Cremona, mentre il secondo gruppo è ricco di formaggi: Bra, Taleggio e Castelmagno, solo per citarne alcuni.
Per quanto riguarda la tradizione culinaria, la mattina vi consiglio di provare il bicerin (“il bicchierino”), bevanda tradizionale piemontese, calda e analcolica, che prende origine da una bevanda del 1700 dal nome “bavareisa”, preparata con caffè, cioccolato e crema di latte e servita in bicchierini tondi e trasparenti. Potete gustarlo quasi in ogni bar e caffè di Torino, anche se la ricetta originale è gelosamente custodita Al Bicerin, storico locale del centro, vicino al Santuario della Consolata. Se invece siete amanti degli animali e preferite gustarla in un contesto completamente diverso, vi consiglio il Neko Café, in via Bogino 5/d, dove ad accogliervi troverete 9 simpaticissimi gatti. Se al bicerin volete abbinare un dolce tipico non avete che l’imbarazzo della scelta: canestrelli, baci di dama, torta alle nocciole, krumiri, amaretti, torta al gianduia oppure un semplice gianduiotto. ![]()
Se invece siete pronti per un pranzo o una cena in tipico stile torinese tra gli antipasti troverete il vitel tonné, la battuta di manzo o tartara e la bagna càuda; quest’ultimo è un piatto conviviale, composto da una salsa a base di aglio, olio e acciughe tenuto in caldo in contenitori di terracotta riscaldati, in cui i commensali possono intingere pezzetti di verdure. Tra primi piatti sicuramente la pasta fresca ha un posto di rilievo con gli agnolotti, pasta ripiena di carne di forma quadrata, spesso condita semplicemente con burro e salvia, e con i tajerin, sottili tagliatelle condite con sugo di carne o tartufo. Si trovano spesso sui menù dei ristoranti anche risotti di vario tipo e gnocchi, conditi il più delle volte con una fonduta di formaggio. Arriviamo ai secondi piatti dove, se escludiamo la tinca, domina sicuramente la carne; potete scegliere tra il bollito misto con salse di diverso tipo (bagnèt verd, bagnèt ross e mostarda) e il brasato al Barolo, ma anche la finanziera, piatto molto antico a base di frattaglie di pollo e di manzo, così chiamato perché, sebbene nato in ambiente povero, pare che fosse molto apprezzato dalle classi più agiate e dai rappresentati della finanza piemontese. Infine potete concludere con il bônet, dolce al cucchiaio, a base di cacao e amaretti, lo zabaione, crema a base di uova, aromatizzata con il Marsala e servita con biscotti secchi, o le pesche cotte in forno e ripiene agli amaretti.
Nel centro città potete trovare numerosi ristoranti e osterie dove gustare questi piatti tipici, vi consiglio, in via delle Rosine 1, “La Cantina”: ottima cucina, personale gentile e ricco assortimento di vini.
Prima di concludere non dimenticate che Torino è la patria del Vermut e dell’aperitivo. Infatti, nel 1786, Antonio Benedetto Carpano comincia a produrre un particolare vino aromatizzato con oltre 30 tipi di erbe e spezie: si tratta appunto del Vermut, destinato a diventare la base di numerosi cocktail. San Salvario, via Po e piazza Vittorio Veneto sono la sede di numerosi locali dove fare un’ottima apericena con amici, sia a buffet sia con servizio al tavolo. Tra questi vi consiglio sicuramente, al numero 10 di Piazza Vittorio Veneto, Just Cocktail Bar: ottimi cocktail a base di frutta fresca, ricchi taglieri con i tipici grissini torinesi e piatti caldi appagheranno sicuramente il vostro appetito.
Link per approfondire:
http://www.bicerin.it/ http://www.nekocafe.it/ https://www.facebook.com/cantinavb/ https://www.facebook.com/Just.Turin/ Immagini tratte da: http://www.bicerin.it/ http://ricette.giallozafferano.it/Bagna-caoda.html Foto dell’autore http://torino.mentelocale.it/70850-torino-aperitivi-torino-7-locali-non-perdere/
Il nostro report sulle due giornate del Festival del Giornalismo Alimentare
Si è tenuta la scorsa settimana presso la Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino la seconda edizione del Festival del Giornalismo Alimentare. Attraverso questo breve report della nostra esperienza proveremo a darvi un quadro generale dell’evento. ![]()
Il Festival ha aperto i battenti giovedì 23 febbraio nella cornice dell’Auditorium Vivaldi. Dopo i discorsi di apertura del sindaco di Torino, Chiara Appendino, dell’assessore alla Cultura e Turismo della Regione Piemonte, Antonella Parigi e della Prorettrice dell’Università di Torino, Elisabetta Barberis, i primi incontri hanno affrontato subito alcuni nodi centrali in termini di alimentazione e sostenibilità. Spreco alimentare e buona conservazione sono state le parole chiave; cosa possiamo fare per limitare lo spreco alimentare? Questa è sicuramente una domanda importante da porsi, soprattutto considerando che se i rifiuti alimentari fossero un Paese sarebbero al terzo posto al mondo per emissioni di gas, subito dopo a Cina e Stati Uniti. A proposito di ciò, Cinzia Scaffidi (vice presidente di Slow Food Italia) ha esortato a realizzare quell’ossimoro che è lo sviluppo sostenibile, cioè una maniera di venir incontro ai propri bisogni, senza impedire alle generazioni future di fare lo stesso, ricorrendo alle risorse naturali. In altre parole, citando il famoso slogan di Slow Food, è necessario rendere tutto “buono, pulito e giusto”, non soltanto i presìdi. A questo proposito Belinda Goldsmith (direttrice di Thomson Reuters Foundation) ha sottolineato l’importanza di considerare il cibo “buono” non in base alla sua estetica o per le sue presunte proprietà benefiche, ma “buono” in quanto tale, buono per noi e per il nostro pianeta. Per incentivare i giornalisti a fare informazione sulla sostenibilità ambientale, Thomson insieme alla Fondazione Barilla ha deciso di indire un premio giornalistico su questo tema.
Ma la sostenibilità ambientale non può prescindere dai cambi climatici a cui è sottoposto il nostro pianeta e proprio per questo Giuseppe Ruocco (direttore Sicurezza Alimentare del Ministero della Salute) ha annunciato che è questo il tema che l’Italia ha scelto di presentare al prossimo G7. Ma se da un lato lo spreco alimentare è incentivato da una produzione industriale intensiva, è anche vero che lo spreco europeo è uno spreco per il 53% casalingo, che avviene cioè all’interno delle mura domestiche, come ha riportato, da una ricerca del 2012, Eleonora Bianchi di Altroconsumo. Siamo quindi un popolo di spreconi; ma come migliorare? È qui che entra in gioco l’importanza di tutta una serie di iniziative e informative che servono a rendere il consumatore consapevole. Dall’applicazione “Una buona occasione (UBO)” presentata da Roberto Corgnati, ai progetti “Cuki Save Bag” e “Cuki Save the Food” promossi da Cuki Cofresco, senza dimenticare alcune buone regole quotidiane che ognuno di noi dovrebbe adottare: preparare sempre una lista prima di andare al supermercato, conservare bene gli alimenti e imparare a leggere correttamente le indicazioni di scadenza prima dell’acquisto. Dopo un inizio così denso, il pomeriggio si è sciolto in argomenti più vari, ma non meno interessanti. In sala mostra Luca Iaccarino di La Repubblica ha moderato un incontro che ruotava intorno a due figure centrali nel panorama del giornalismo alimentare: quella dei critici gastronomici e dei food blogger. Diversi esponenti delle due categorie hanno spiegato il loro modo di approcciarsi all’enogastronomia e l’etica che li guida. Ci siamo poi spostati di nuovo nell’auditorium, cambiando completamente tematica. Soggetto principale dei due incontri è stata la sicurezza alimentare. Impossibile in questo caso non parlare del sistema di etichettatura 1169/2001, orientato alla sicurezza alimentare e nutrizionale. Molto è stato fatto: indicazioni di origine e provenienza, gli allergeni non sono più solo segnalati, ma evidenziati, la dichiarazione nutrizionale è passata da facoltativa a obbligatoria, è stato introdotto un criterio per le dimensioni del carattere degli ingredienti, … Ma purtroppo, come ha segnalato Roberto La Pira, direttore di Il Fatto Alimentare, c’è ancora molto da fare, soprattutto per quanto riguarda la circolazione delle informazioni sugli allarmi alimentari. Fino al 2010 infatti le informazioni sui prodotti richiamati erano quasi assenti in Italia e fino a 4 anni fa quasi nessuna catena di supermercati (unica mosca bianca l’azienda svedese Ikea) segnalava i prodotti richiamati, nonostante l’obbligo legislativo. Ad oggi le cose sono sicuramente migliorate, ma senza dubbio si può fare di più, fornendo informazioni immediate ed efficienti per il consumatore.
Alcune foto del primo giorno del Festival
Per noi la giornata è stata abbastanza ricca e intensa, ma il giorno dopo, venerdì 24 febbraio, torniamo in prima fila per seguire più da vicino quello che potremmo definire il “sistema del cibo”. Un sistema di cui il consumatore non sembra fidarsi più in larga scala, preferisce invece rivolgersi ai mercati locali, magari anche riunendosi in gruppi d’acquisto dotati di una loro politica. Come ha fatto giustamente notare Roberto Sensi (ActionAid, Iuct) il sistema alimentare è retto da giochi di forze, ma quello che è importante è garantire il diritto al cibo, cibo che sia adeguato e accessibile per tutti. Oggi le politiche territoriali possono fare molto in questo senso, considerando che la globalizzazione e il libero scambio hanno, in un certo senso, deterritorializzato il cibo (acquistiamo e mangiamo alimenti provenienti da ogni parte del mondo), mentre come abbiamo detto il consumatore tende a preferire un ritorno al territorio, al locale. Queste riflessioni ci hanno fatto entrare subito nel merito del secondo intervento: “Quando un prodotto tipico trascina un territorio”. Non a caso “made in Italy” è il secondo brand più conosciuto al mondo, preceduto soltanto da “Coca Cola”. Spesso si crede che per farlo il prodotto debba avere una certificazione, ma non è così: si pensi per esempio al tartufo o alla pizza, prodotti apprezzati e conosciuti in tutto il mondo. Se la qualità intrinseca del prodotto è imprescindibile, non è detto che sia sufficiente; come ha fatto ben notare Danilo Poggio di La Stampa, è anche lo spirito imprenditoriale, il saper valorizzare bene le proprie risorse e farle conoscere, porta alla valorizzazione sia del prodotto sia del territorio che gli dà i natali. Per fare questo è necessario essere obiettivi e oggettivi, ma anche fare squadra.
Concludiamo la nostra esperienza a Torino con una conferenza sulle biotecnologie in agricoltura moderata da Patrizio Roversi di “Linea Verde”, a cui è intervenuta anche la Professoressa Manuela Giovannetti del Centro nutraceutica e alimentazione per la salute dell’Università di Pisa. Abbiamo già avuto modo di parlare di biotecnologie e anche in questa occasione la prima cosa che i relatori hanno tenuto a specificare è che le biotecnologie verdi non sono solo OGM, ma comprendono anche tutta una serie di procedure che sono alla base della produzione di alimenti come pane, formaggio, vino e birra. Dopo questa fondamentale premessa, sono stati analizzati i casi delle piante di prima generazione, piante rese resistenti agli erbicidi e vendute con essi, e di quelle di seconda generazione, resistenti agli insetti e ai parassiti. Il dibattito si è concluso con l’esortazione a una maggiore accordo tra scienza ed etica, che unite e non in conflitto possono sicuramente contribuire al miglioramento di alcune gravi problematiche in campo alimentare e agricolo.
Alcune foto del secondo giorno del Festival
Link per approfondire:
http://www.festivalgiornalismoalimentare.it/ https://www.facebook.com/foodjournalismfest/?fref=ts http://nutrafood.unipi.it/ http://www.fao.org/home/en/ http://www.slowfood.it/ https://www.barillacfn.com/it/ http://www.trust.org/ https://www.altroconsumo.it/ http://www.ilfattoalimentare.it/ http://www.unabuonaoccasione.it/it/app Foto tratte da: - http://www.festivalgiornalismoalimentare.it/ - Foto dell’autore. |
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Febbraio 2021
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